Nessun allarmismo per l’esito del referendum italiano
Dissento fortemente dall’analisi di Gianni Bonvicini “I rischi per l’Italia se vince il NO” e ancor più dalla sua conclusione: “Dire no alla riforma significherebbe negare il nostro interesse europeo e internazionale a giocare un ruolo da grande nazione”. L’accusa di disfattismo e di antipatriottismo mi pare davvero fuori luogo.
Riforme inutili e inefficaci
Credo che sia praticamente impossibile dimostrare che uno qualsiasi dei capi di governo che contano nell’Unione europea, Ue, conosca le riforme costituzionali imposte da Matteo Renzi e sia in grado di valutarne, compito difficile anche per gli italiani, l’utilità e l’efficacia.
Tanto per cominciare la riforma del bicameralismo italiano, che non è affatto “perfetto” come scrive Bonvicini, produrrà un Senato di consiglieri regionali e sindaci che si occuperanno, certamente senza farne sfoggio durante le loro campagne elettorali regionali, (con quale preparazione e con quali conoscenze?), della politica europea. È una scelta assolutamente fuori luogo.
Secondo, nel momento in cui sarebbe opportuno valorizzare le regioni e le autonomie locali, anche per attuare compiutamente il principio di sussidiarietà, le riforme approvate reintroducono la “supremazia statale” in molte materie. Avrebbero, invece, se miriamo congiuntamente a rappresentanza ed efficienza, dovuto mirare a un accorpamento delle regioni e a un’incentivazione della loro efficienza anche in tutti gli ambiti nei quali, a cominciare dall’utilizzo dei fondi europei, debbono operare.
Un bicameralismo non “perfetto”, ma produttivo
Nulla di tutto questo. Bonvicini sembra credere alla non-produttività del Parlamento italiano e alla sua presunta lentezza e farraginosità. Invece i dati, che ho riportato nel mio volumetto NO positivo. Per la Costituzione. Per buone riforme. Per migliorare la politica e la vita (Edizioni Epoké 2016) indicano tutt’altro. Il bicameralismo italiano ha regolarmente “fatto”, ovvero approvato, più leggi e in tempi comparativamente più brevi dei bicameralismi tedesco, francese e inglese.
Inoltre, il governo, anche quello di Matteo Renzi, ha regolarmente ottenuto le leggi che voleva, spesso nei tempi da lui desiderati, magari ricorrendo alla decretazione d’urgenza e imponendo il voto di fiducia. Semmai, il problema italiano è che le leggi sono quantitativamente troppo e qualitativamente malfatte. Per colpa dei governi, dei ministri, dei direttori generali dei ministeri.
Governi deboli o inaffidabili?
Governo “debole”, Presidente del Consiglio ingabbiato? Supponendo che qualcuno possa credere, senza dati, a queste fattispecie, dovrebbe allora interrogarsi sul perché nelle riforme costituzionali che saranno sottoposte a referendum non si trovi nulla che riguardi direttamente e specificamente né il governo né il suo capo.
Rimanendo in Europa sarebbe stato semplicissimo e auspicabilissimo introdurre il voto di sfiducia costruttivo la cui esistenza tantissimo ha giovato alla stabilità dei Cancellieri tedeschi e delle loro compagini governative.
Allo stesso modo, una forte Camera delle regioni avrebbe dovuto essere impostata come il Bundesrat tedesco. Naturalmente, punto che, ne sono certo, Bonvicini condivide con me, la “forza” di un capo di governo nell’Ue non dipende tanto e neppure essenzialmente dalla struttura del suo Parlamento, dall’organizzazione del potere locale, da una legge elettorale che contempli un cospicuo premio di maggioranza (che i greci avevano, to no avail, e che hanno recentemente abolito).
Quasi tutte le democrazie europee meglio funzionanti hanno sistemi elettorali proporzionali e governi di coalizione, più rappresentativi delle preferenze dei loro elettorati e con programmi in grado di accogliere in maniera più soddisfacente interessi e preferenze diversificate.
La forza di quel capo di governo dipende dalla sua credibilità politica e personale che implica non fare promesse che non può mantenere e non farsi paladino di riforme costituzionali controverse le quali, creando conflitti interistituzionali e confusione di competenze, renderanno le sue promesse ancora più difficili da mantenere.
Unità d’intenti
Infine, un “sistema-paese” diventa e rimane un interlocutore affidabile, non soltanto per e nell’Ue, anche quando non solo, ma in primis, i suoi politici e poi gli intellettuali e gli istituti di ricerca non fanno allarmismo, quando dichiarano convintamente (e cooperano a fare sì che…) che l’esito di consultazioni democratiche sarà comunque governabile. Che i nostri partner europei non hanno nulla di cui preoccuparsi. Che l’allarmismo interno ed esterno non è affatto giustificato.
Che i sostenitori del NO non sono nemici del loro Paese, ma pensano semplicemente che altre riforme siano possibili e migliori e sanno anche quali riforme introdurre.
Questo, soltanto, questo è il messaggio da inviare ai quotidiani economici stranieri, alle grandi banche d’affari, all’ambasciatore Usa, che avrebbe fatto meglio a parlare dopo avere ascoltato i rappresentanti dei due fronti, ai partner europei.
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