Italia-Egitto: occhi puntati su collaborazione migratoria
A seguito del passaggio del cosiddetto “emendamento Regeni” – ovvero la decisione del nostro parlamento di bloccare l’esportazione di pezzi di ricambio di F-16 verso l’Egitto – il Cairo ha minacciato di riconsiderare la cooperazione bilaterale in materia di immigrazione irregolare.
Ricordando scenari tutt’altro che remoti, l’Egitto ha messo pressione all’Italia, agitando lo spauracchio di un nuovo flusso di migranti pronti a salpare le coste egiziane in direzione italiana.
Italia-Egitto: gentlemen’s agreements sui flussi migratori
Le minacce egiziane si basano sulla consapevolezza che negli ultimi vent’anni, in Italia come in Europa, il desiderio di porre un freno ai flussi migratori è divenuto una priorità ogni anno più importante.
La collaborazione di polizia avviata a livello bilaterale tra Italia-Egitto negli anni 2000 si è concentrata sul controllo delle frontiere (attraverso formazione, equipaggiamento e scambio di informazioni con le forze dell’ordine locali) e su accordi di riammissione che rendano possibile il rimpatrio o l’allontanamento di migranti privi dei requisiti per soggiornare nel nostro Paese. Per queste ultime pratiche Roma è stata anche richiamata dal Consiglio d’Europa.
La collaborazione bilaterale è divenuta più urgente durante la stagione delle “primavere arabe”, quando l’immigrazione verso il nostro continente è cresciuta esponenzialmente. Soprattutto a seguito del ritorno al potere dei militari nell’estate 2013, Italia ed Egitto hanno stretto gentlement’s agreements che hanno avuto un significativo impatto sulla gestione delle frontiere.
Le minacce avanzate all’indomani del passaggio dell’emendamento Regeni rischiano però di agitare le acque. Dobbiamo quindi preoccuparci?
Nessun travaso dalla rotta balcanica a quella egiziana
I flussi egiziani sono particolarmente preoccupanti a causa della loro composizione, in prevalenza donne e bambini, maggiormente soggetti allo sfruttamento da parte di trafficanti di esseri umani e associazioni criminali.
Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, l’Egitto è il Paese da cui provengono il maggior numero di minori non accompagnati. Solo in Italia, nel 2015, ne sarebbero arrivati 1.711.
Ma se questo è motivo di preoccupazione, meno serie sono le minacce prettamente numeriche che provengono dalla chiusura della rotta balcanica.
Mentre il ministero degli Esteri egiziano si è detto preoccupato in primis per il flusso di siriani (500 mila secondo i dati del Cairo, 114.911 per l’Unhcr) i numeri del 2016 mostrano che ad aumentare, in Egitto, sono sempre gli stessi migranti, quelli provenienti dall’Africa sub-sahariana che non hanno mai preso in considerazione la rotta balcanica.
Non solo non si può parlare di un travaso dalla rotta balcanica a quella egiziana, ma le percentuali riguardanti i Paesi di partenza delle imbarcazioni sono rimaste pressoché invariate nel corso degli anni, mantenendo la Libia in una posizione di assoluta prevalenza.
L’Egitto ha certamente visto un incremento nel 2016, ma se rappresenta un’alternativa ai rischi di un passaggio per la Libia – viaggio ormai famoso per i sequestri e i ricatti organizzati dalla mafia delle migrazioni – percorrere la rotta egiziana resta comunque più impegnativo perché richiede un tragitto di 750-900 miglia, un viaggio di 10-15 giorni che si svolge in un mare poco monitorato e lontano dalla costa, aumentando la possibilità di naufragi e morte.
Tesi tristemente confermata dall’affondamento di un barcone di 450 migranti partiti dall’Egitto per l’Italia il 21 settembre.
Interessi economici e cooperazione migratoria
Nonostante le minacce, anche dopo l’inizio della crisi bilaterale, l’Egitto ha continuato a controllare le sue coste. Pur lamentando la mancanza del sostegno europeo, fra marzo e giugno vi sono stati più di 5 mila arresti per tentate partenze irregolari.
Al-Sisi ha anche parlato di un ulteriore rafforzamento dei controlli frontalieri e della lotta all’immigrazione irregolare in seguito al recente naufragio che ha attirato l’attenzione sulla rotta egiziana. E a continuare sono stati anche centinaia di rimpatri dall’Italia.
Roma, principale mercato per le esportazioni egiziane e primo partner commerciale dell’Egitto fra i Paesi europei e terzo a livello globale, è infatti considerata il fondamentale interlocutore europeo dell’Egitto.
Il fatto che il Cairo abbia un forte interesse nel mantenimento di un rapporto di collaborazione con l’Italia si intuisce anche dai recenti tentativi di contenimento delle minacce, confermati da alcuni dibattiti parlamentari durante i quali è stato rivolto un invito alla calma.
Per evitare che la minaccia attuale diventi reale, il premier Matteo Renzi sembra però intenzionato a spingere sin da ora l’Unione europea a replicare in tutta l’Africa accordi simili a quello siglato con la Turchia, come del resto fatto in Libia.
Cercasi strategia a lungo termine
Al posto dell’esternalizzazione del controllo migratorio, strategia a breve termine e a volte incoerente con i valori fondanti dell’Unione, è necessaria una strategia a lungo termine che preveda la possibilità di raggiungere l’Europa in modo regolare per richiedenti asilo, un potenziamento della migrazione economica e una politica che miri alla creazione di possibilità economiche e stabilità nella regione Mena.
Soprattutto però, le partnership non devono più essere euro-centriche, ma bilaterali, rispondendo ai bisogni e alle politiche degli Stati con cui vengono stretti i patti. La politica dei ricatti deve cedere il passo ad un dialogo fondato su comprensione e fiducia reciproche.
Che l’Egitto sia il primo a saperlo, è dimostrato dal suo tentativo di ridare credibilità al rapporto con l’Italia. Questo passa però anche dal caso Regeni. Dopo i goffi e ripetuti tentativi di depistaggio egiziani, solo un’assunzione di responsabilità per la morte di Giulio potrebbe risanare la relazione bilaterale che sembra ripartire come le rotte aeree verso il Mar Rosso.
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