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America Latina

Venezuela, cercasi mediatori

11 Giu 2016 - Ilaria Masiero - Ilaria Masiero

Giorni critici per il Venezuela. Mentre l’economia è al tracollo e il malcontento cresce tra la popolazione di pari passo con la fame, le posizioni di presidenza e opposizione appaiono tanto polarizzate quanto inamovibili.

In questo quadro, la prospettiva di una risoluzione interna del contrasto che non passi per un conflitto sembra sempre più irrealistica. Lo stimolo a sbloccare la situazione potrebbe venire dall’esterno – ma è bene non farsi illusioni.

Un paese in crisi
Acqua ed energia elettrica razionate, scaffali vuoti in negozi e supermercati, ospedali sforniti di medicinali di prima necessità, criminalità alle stelle: durante la presidenza Maduro, l’infelice combinazione tra cattiva gestione e basso prezzo del petrolio (di cui il paese detiene le maggiori riserve conosciute al mondo) ha portato l’economia al collasso e il popolo all’esasperazione.

Ciononostante, il presidente, eletto nel 2013 con una maggioranza risicata, non sembra disposto a cambiare rotta e scarica la colpa della crisi sugli Stati Uniti, fautori – a suo dire – di una congiura per distruggere il paese.

A nulla serve l’opposizione dell’Assemblea nazionale (eletta nel 2015 e dominata da forze anti-Maduro): il presidente, grazie al suo controllo sul Tribunale supremo di Giustizia, ha di prassi annullato le decisioni del potere legislativo e ha recentemente affermato che l’Assemblea potrebbe presto scomparire.

Il referendum della discordia
Il malcontento ha trovato un canale di espressione nella promozione di un referendum revocatorio – istituto previsto dalla Costituzione. Questo strumento rappresenta la via maestra per una soluzione interna e legale del contrasto politico, senza rotture dell’ordine democratico.

Comprensibilmente, l’opposizione punta i piedi ed esige che si proceda subito alla consultazione popolare. Maduro, al contrario, cerca di impedire il referendum o per lo meno rimandarlo all’anno prossimo, quando, secondo la tempistica prevista per legge, l’eventuale revoca porterebbe alla sostituzione di Maduro da parte del suo vice anziché ad elezioni anticipate.

Con governo e opposizione arroccati ciascuno sulle proprie posizioni, una risoluzione interna (e pacifica) del contrasto appare ormai improbabile, e il paese potrebbe implodere da un momento all’altro. In molti sperano che l’impulso a sbloccare la situazione evitando il peggio venga dall’esterno. Finora, però, questa speranza non sembra ben riposta.

Oas e Mercosur contro Maduro
Alcune organizzazioni internazionali di cui il Venezuela fa parte hanno intrapreso il cammino delle sanzioni, con lo scopo di mettere Maduro con le spalle al muro. È questo il caso dell’Organizzazione delle nazioni americane (Oas), un ente di cooperazione di cui fanno parte tutti gli stati del continente americano.

Il segretario generale dell’organizzazione ha invocato l’applicazione della Carta democratica interamericana, che prevede sanzioni per i paesi in cui si verifichi una rottura dell’ordine democratico. Maduro ha però potuto contare sull’aiuto dei suoi alleati (Nicaragua, Bolivia e gli Stati Caraibici) per gettare acqua sul fuoco.

Una azione simile sta prendendo piede anche nell’ambito del Mercosur (Mercato Comune del Sud – un blocco sub-regionale formato da Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela per promuovere il libero scambio), ma il processo è ancora agli inizi.

Anche ammesso che si riescano ad adottare delle misure sanzionatorie contro il Venezuela, non è scontato che questo aiuterebbe nella soluzione pacifica della crisi. Di fatto, è probabile che le sanzioni peggiorerebbero ulteriormente le condizioni della popolazione senza smuovere Maduro di una virgola. Il presidente, infatti, si è già dichiarato pronto alla resistenza a oltranza – e il suo comportamento finora sembra confermare tale intenzione.

La strada dei mediatori stranieri
Un approccio differente per sbloccare la situazione è quello della mediazione tra presidenza e opposizione ad opera di entità esterne. Si tratta di un percorso problematico fin dai primi passi. Un nodo cruciale, infatti, sta nell’individuare un ente che, oltre ad avere interesse ad ovviare la crisi, abbia anche qualche chance di essere accettato da Maduro come interlocutore in un processo di mediazione.

Questa condizione esclude d’un colpo qualsiasi organizzazione internazionale che abbia tra i suoi membri gli Stati Uniti. Perfino una iniziativa della Santa Sede pare non aver avuto miglior fortuna: un diplomatico del Vaticano ha recentemente cancellato una visita nel paese.

Restano come possibili mediatori i vicini paesi dell’America Latina, che hanno tutto l’interesse (per prossimità geografica e interessi commerciali), oltre che canali preferenziali (attraverso i diversi organismi sovranazionali di cui sono membri, insieme al Venezuela), per far valere la causa del dialogo.

Di fatto è in corso un tentativo di mediazione tra governo e opposizione promosso dall’Unasul (Unione delle Nazioni Sud-Americane – una organizzazione intergovernamentale di cui fanno parte tutti i paesi del Sud America) e condotto dall’ex-premier spagnolo, Luis Zapatero, insieme agli ex-presidenti di Panama e Repubblica Domenicana.

Anche in questo caso, però, non c’è nessuna garanzia di successo: le posizioni di Maduro e dell’opposizione sono già estremamente polarizzate e potrebbe essere troppo tardi per una conciliazione in extremis.

Il Venezuela cammina sul bordo del precipizio e, purtroppo, nessuna delle iniziative intraprese finora lascia ben sperare. Nel dubbio, meglio prepararsi al peggio.

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