Italia, corsa al seggio Onu
Il 28 giugno prossimo l’ Assemblea generale delle Nazioni Unite procederà al rinnovo dei dieci membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza. Attualmente questo organo è composto di quindici membri: cinque membri permanenti e con diritto di veto ( Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito e Francia ) e dieci non permanenti, con mandato biennale non rinnovabile immediatamente.
L’Italia si è candidata a uno dei posti di membro non permanente spettante al gruppo dei Paesi occidentali per il biennio 2017-2018. I Paesi occidentali concorrenti dell’Italia sono i Paesi Bassi e la Svezia.
Lo Statuto delle Nazioni Unite prevede che i membri non permanenti siano scelti tenendo in considerazione il loro contributo “al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale ed agli altri fini dell’Organizzazione, ed inoltre ad un’equa distribuzione geografica”. Quest’ultima viene assicurata dalla prassi di attribuire un numero fisso di posti ad ogni gruppo regionale ( 3 all’Africa, 2 all’Asia-Pacifico, 1 all’Europa orientale, 2 ai Paesi occidentali, 2 all’America Latina ) e, all’interno di ogni gruppo regionale, dal rispetto di ragionevoli periodi di tempo tra una candidatura e quella successiva.
Contributo italiano al mantenimento della pace
L’Italia si è proposta per l’elezione al Consiglio di Sicurezza dopo dieci anni dalla precedente candidatura; e questo è certamente un ragionevole lasso di tempo. Le nostre credenziali sono ineccepibili per quanto riguarda il requisito del mantenimento della pace: siamo il primo contributore di truppe, tra i Paesi occidentali, alle operazioni di pace delle Nazioni Unite.
Le nostre credenziali sono ugualmente ineccepibili per quanto riguarda il contributo agli altri principali fini dell’ Organizzazione (promozione della soluzione pacifica delle controversie, del rispetto della legalità internazionale e del disarmo, protezione dei diritti umani). Lo sono meno per quanto riguarda l’aiuto pubblico allo sviluppo, dove l’ Italia è largamente indietro rispetto ai suoi concorrenti.
I principi cui s’ispira la nostra politica estera richiamano quasi alla lettera i fini assegnati alle Nazioni Unite dal suo Statuto. Ciò spiega l’importanza fondamentale che il nostro Paese attribuisce al ruolo delle Nazioni Unite e il contributo di eccellenza che l’Italia ha costantemente dato alla loro azione in materia di mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, anche sedendo periodicamente nel Consiglio di Sicurezza. La solida reputazione che l’Italia ha saputo guadagnarsi negli oltre sessanta anni di appartenenza alle Nazioni Unite non è stata raggiunta però agevolmente.
Siamo diventati membri delle Nazioni Unite nel 1955, dieci anni dopo la loro costituzione. Abbiamo dovuto superare i giudizi negativi che circondavano il nostro Paese a causa delle folli avventure belliche fasciste e delle tragiche vicende attraverso le quali l’Italia aveva posto fine alla guerra contro le Potenze Alleate: vicende che ci avevano valso il risentimento dei vinti e il disprezzo dei vincitori. Si tratta di giudizi, e pregiudizi, dei quali non ci siamo ancora liberati completamente.
Riforma del Consiglio di Sicurezza
Accanto a questa costante opera in difesa e promozione del ruolo delle Nazioni Unite e dei principi sui quali è basato il loro Statuto, l’Italia svolge da quasi un quarto di secolo, insieme a molti altri Paesi che condividono la nostra impostazione, una azione determinata e intelligente volta a rafforzare il carattere democratico delle Nazioni Unite, nel cui ambito da tempo è sentita l’ esigenza di adattare composizione e metodi di lavoro del Consiglio di Sicurezza alla odierna realtà internazionale.
La composizione di questo organo è rimasta invariata dal 1965, quando i membri delle Nazioni Unite erano 117: ora sono 193. A partire dal 1993 sono state avanzate varie proposte per allargare il Consiglio di Sicurezza e per migliorarne i metodi di lavoro, incluso il ricorso al potere di veto.
L’ Italia si è immediatamente dichiarata disponibile a dare il proprio apporto per rendere il Consiglio di Sicurezza maggiormente democratico, rappresentativo e responsabile nei confronti di tutti i membri delle Nazioni Unite. Ma si è opposta all’aumento dei membri permanenti e ha svolto un ruolo cruciale per contribuire a bloccare, a partire dal 1995, il ripetuto tentativo di Brasile, Germania, Giappone e India di promuovere una revisione dello Statuto intesa ad attribuire a questi Paesi lo status di membri permanenti.
Il ragionamento che ha mosso l’azione del nostro Paese è che, secondo il diritto internazionale, tutti i Paesi sono uguali: hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Questo principio deve valere anche nell’ambito dell’Organizzazione che li raccoglie tutti e nella quale tutti si riconoscono.
La presenza nel Consiglio di Sicurezza di Sicurezza di cinque membri con diritti speciali (seggio permanente e diritto di veto) si giustifica solo perché questi cinque Paesi sono stati i principali, anche se non gli unici, vincitori della seconda guerra mondiale e, come fondatori delle Nazioni Unite, si sono attribuiti una posizione speciale nel loro ambito, quando ne hanno scritto lo Statuto. Sarebbe profondamente antidemocratico e contrario ai fondamenti del diritto internazionale estendere oggi ad altri Paesi diritti discriminatori che vengono dalla storia; e la storia, come noto, non si può cambiare.
Vale la pena di ricordare un episodio del passato,significativo ma poco noto, avvenuto durante un viaggio in Giappone, alla metà degli anni ‘90, dell’allora ministro degli Affari esteri Susanna Agnelli. Durante l’incontro, il suo omologo giapponese aveva esposto a lungo i motivi che rendevano essenziale l’attribuzione al Giappone (e alla Germania ) dello status di membro permanente del Consiglio di Sicurezza. La Signora Agnelli osservò laconicamente: “Caro Collega, Lei non penserà che l’Italia abbia perso, da sola, la seconda guerra mondiale?”. Il Ministro giapponese concluse immediatamente il colloquio senza reagire e si ritirò.
La proposta italiana
La discussione sulla riforma del Consiglio di Sicurezza continua a registrare molteplici e contraddittorie proposte che finiscono per incrociarsi con il veto di uno o più dei membri permanenti. Per far progredire il negoziato, l’Italia ha presentato, insieme agli altri Paesi che da tempo condividono la sua posizione di fondo, una proposta di compromesso, che prevede l’istituzione di una terza categoria di membri, con mandato più lungo degli attuali seggi biennali e rinnovabile.
A parere di chi scrive, si tratta di un’ipotesi utile per far progredire il negoziato, ma che va maneggiata e modulata con cautela, se non si vuole indebolire la logica del principio sul quale si basa la posizione italiana: che tutti gli Stati sono uguali e hanno gli stessi diritti nelle Nazioni Unite; con l’eccezione del Consiglio di Sicurezza, dove i Cinque permanenti hanno acquisito la loro posizione speciale come imposizione del vincitore al termine della seconda guerra mondiale.
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