IAI, un’esperienza sempre originale
Gli studi internazionalistici sono stati a lungo la cenerentola della ricerca politica in Italia: una cenerentola “nobile”, ma pur sempre cenerentola. Molte le ragioni di una situazione che non ha riscontro fra i nostri principali partner: una concezione esitante dell’interesse nazionale, influenzata da diversi e contrastanti universalismi, una visione ad un tempo parrocchiale ristretta della politica estera, una diversità culturale intrisa di diffidenza fra chi la politica estera la studia e chi ne fa oggetto di professione.
Tutto ciò si riferisce ad un passato quasi interamente trascorso, anche se talune incrostazioni sono ancora visibili, legate al modo di essere e di porsi del nostro paese.Lo IAI ha svolto un importante ruolo di battistrada e ha rappresentato – a quanto mi è dato ricordare – il primo esempio di un centro di ricerca internazionalistica indipendente secondo il modello anglosassone. Non era l’unico, ma i più reputati fra gli altri o erano la filiazione di partiti come il Cespi, o erano giganti in letargo come l’Ispi (di cui, non a caso, si studiò negli anni settanta la possibile fusione/incorporazione con o IAI), o erano enti pubblici in cerca di un ruolo, come l’Ismeo o l’Iila.
Molto dell’emergere sulla scena dello IAI fu dovuto ad Altiero Spinelli, che lo fondò e ne permeò indirizzi e struttura. Spinelli e lo IAI erano in realtà la stessa cosa e quanti vi lavoravano, o vi si accostarono come me, lo fecero in quanto spinelliani: lo IAI in quegli anni si impose molto presto come l’unico centro di riflessione seria sull’Europa e Spinelli contribuì in maniera significativa – grazie anche ad una felice stagione di collegamenti politici – a trasformare l’eredità sempre presente del movimento federalista in una migliore strutturazione della politica europea dell’Italia, che si era rivelata spesso timida e priva di una vera prospettiva strategica.
Soprattutto, fu decisivo nell’imprimergli una connotazione politica più marcata, superando la dimensione più ristretta dell’esercizio diplomatico intergovernativo, in cui pure l’Italia aveva avuto un ruolo rilevante. Partito Spinelli per la Commissione e Bruxelles – avviando un percorso che sarebbe passato per il Parlamento italiano e si sarebbe coronato a Strasburgo – il lavoro continuò con Merlini e Bonvicini.
La costruzione europea si andava facendo più articolata e complessa e gli accenti cambiarono in conseguenza: nel mentre gli “spinelli boys”, con l’eccezione di Silvestri e Aliboni, prendevano via via altre strade.
Lo IAI è stato il primo a curare una rete organica di rapporti con istituti analoghi in Europa e negli Stati Uniti, facendo così uscire la ricerca internazionalistica italiana da una sorta di involontaria clandestinità. Sulla sua spinta si svilupparono altri centri specialistici – fra cui una menzione particolare merita l’Ipalmo – mentre anche l’Ispi riprese almeno parzialmente il suo ruolo di riferimento intellettuale grazie all’impegno del mondo imprenditoriale milanese rappresentato da personaggi come Pirelli e Falck.
L’evoluzione del discorso europeo vide lo IAI svolgere un ruolo di punta nell’approfondimento delle tematiche legate alla sicurezza e alla difesa, che erano state sino ad allora largamente confinate in ambiti militari o, comunque, da questi dipendenti. Fu merito di Silvestri dare a questa dimensione sostanza e rilievo internazionale, dando vita così ad una vera e propria “seconda gamba” della ricerca IAI,che ha contribuito alla formazione di molti dei maggiori esperti italiani del settore attualmente in circolazione.
E oggi? Lo IAI rimane il principale centro di ricerca internazionalistica del paese, ancora saldamente impostato sulle sue due gambe principali. La dimensione di sicurezza è cresciuta in proporzione geometrica: l’Istituto è oggi il “consigliere del principe” non solo per la politica, ma anche per molte imprese, che contribuiscono significativamente alla sua sopravvivenza economica.
La dimensione europea è cresciuta in maniera forse meno spettacolare, ma continua a rappresentare un riferimento insostituibile: in una fase storica in cui l’euroscetticismo avanza a grandi passi e la costruzione europea è sotto attacco, l’entusiasmo neo-federalista dello IAI tiene alto il livello del dibattito, facendo dimenticare qualche occasionale cedimento taleban-sentimentale.
Il campo si è fatto più folto: l’Ispi ha recuperato ruolo e dimensione che aveva perduto da più di quarant’anni e alla tradizionale attività di contatto e disseminazione dell’informazione, ne ha aggiunto una di ricerca ed editoriale di tutto rispetto. I vecchi centri dei partiti non ci sono più, avendo seguito la sorte dei loro referenti, ma il formato è in qualche modo resuscitato attraverso strutture come quelle di Italiani Europei e Arel, che danno dignità scientifica all’azione delle forze politiche che da esse traggono linfa. Ma lo IAI rimane a world apart ed è bene che continui ad essere così.
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