Gli alleati si preparano per la partita di Varsavia
Il vertice Nato di Varsavia del prossimo luglio sarà un importante momento di confronto tra le diverse visioni alleate sulle minacce alla sicurezza euro-atlantica e le possibili risposte per assicurare la difesa degli stati membri e lavorare alla stabilizzazione del vicinato.
Agenda di Varsavia
Dall’inizio della crisi in Ucraina nel 2014, su spinta principalmente dei Paesi dell’est e nord Europa, la Nato si è concentrata maggiormente sul fianco orientale e sul rischio di un’aggressione russa anche tramite tattiche di “guerra ibrida”.
Viceversa, gli stati membri che si affacciano sul Mediterraneo, in primis l’Italia ma non solo, hanno spinto per bilanciare l’attenzione della Nato sul fianco sud, benché la natura non-convenzionale delle minacce e dei fattori di instabilità su questo fronte – dal terrorismo islamico alla crisi migratoria – renda più difficile identificare un possibile contributo dell’Alleanza alla sicurezza della regione euro-mediterranea.
Tale dinamica sta influenzando anche la preparazione del vertice di Varsavia, condotta attraverso riunioni ministeriali, militari e informali. Preparazione che ha risentito anche di un presidente Usa a pochi mesi dalla sua uscita definitiva dalla Casa Bianca e quindi meno in grado di esercitare la tradizionale leadership statunitense all’interno dell’Alleanza.
Due sembrano essere i temi principali nell’agenda di Varsavia: da un lato deterrenza e dialogo e dall’altro la proiezione di stabilità. In un’ottica Nato questi principi dovrebbero garantire una risposta a 360 gradi all’insieme di minacce alla sicurezza euro-atlantica e applicarsi lungo tutto il perimetro dell’Alleanza.
Nei fatti, tuttavia, mentre il binomio deterrenza-dialogo è pensato principalmente nei confronti di Mosca, il problema di proiettare stabilità si pone soprattutto in Medio Oriente e Nord Africa.
Deterrenza e distensione per i figli della Guerra Fredda
Guardando ad est, il dibattito interno alla Nato sembra spostarsi dalle misure di rassicurazione dei Paesi dell’Europa centro orientale – tema emerso nel precedente vertice del Galles – verso il terreno ben più impegnativo della deterrenza convenzionale e nucleare della Federazione russa.
Sono ora in discussione un rafforzamento e un ulteriore sviluppo delle misure contenute nel Readiness Action Plan del 2014, incluse frequenza e portata delle esercitazioni alleate sul fianco orientale e pre-posizionamento di equipaggiamenti militari in loco.
Sembra profilarsi lo stazionamento di un battaglione multinazionale dell’Alleanza in ognuno dei Paesi confinanti con la Federazione russa, sui 500 uomini, a rotazione continua in modo da non infrangere apertamente l’Atto fondativo delle relazioni Nato-Russia del 1997 che, tra le altre cose, impegna gli alleati a non stazionare in modo permanente significative capacità militari nei Paesi membri di nuova adesione.
Questi ultimi avevano chiesto un impegno militare anche maggiore sul confine orientale, ma capitali quali Roma, Parigi, Madrid e Berlino hanno preferito un approccio più bilanciato per evitare che Mosca lo percepisse come un’escalation militare.
Questo approccio comprende anche la ripresa delle riunioni formali del Consiglio Nato-Russia, avvenuta il 20 aprile con un primo incontro a livello di ambasciatori in cui si è discusso di Ucraina, Afghanistan e altri temi importanti nei rapporti tra l’Occidente e Mosca.
Un incontro definito in gergo diplomatico “franco”, cioè di confronto duro, cosa che non stupisce visti i disaccordi esistenti tra le parti. È tuttavia significativo che le parti siano tornate a parlarsi nel forum istituzionale creato a Pratica di Mare nel 2002 sotto gli auspici italiani e che vi sia la volontà da parte Nato di tenere ulteriori riunioni del Consiglio con l’approssimarsi dell’appuntamento di Varsavia – anche al fine di spiegare le decisioni in cantiere nel prossimo vertice per ridurre l’impatto negativo sulla percezione russa dell’aggressività alleata. Proprio in quest’ottica rientra l’organizzazione in corso di un secondo incontro del Consiglio Nato-Russia.
Si tratta di un necessario equilibrio tra misure militari e diplomatiche niente affatto nuovo per la Nato che, dall’adozione nel 1956 del Rapporto dei tre saggi – uno dei quali era Gaetano Martino – fino al 1991, ha portato avanti il duplice approccio di deterrenza e distensione. Il problema oggi è adattare questo binomio alle condizioni dell’attuale contesto internazionale, e trovare per esso il consenso necessario in un’Alleanza che include anche Paesi che hanno vissuto la Guerra Fredda dall’altro lato della Cortina di Ferro.
Fianco sud: quo vadis?
Se un compromesso ragionevole sembra possibile per l’approccio alleato al fianco orientale, le idee sono ancora poco chiare su quello meridionale. Proiettare stabilità è sicuramente un obiettivo logico e condivisibile, ma rimane da vedere cosa implichi nel concreto per la Nato.
Chiaro è l’intento dell’Alleanza di investire maggiormente nella cooperazione bilaterale con i Paesi del Medio Oriente e Nord Africa al fine di rafforzarne le forze armate e di sicurezza (il cosiddetto Defence Capacity Building – DCB). L’obiettivo è quello di accrescere la loro capacità di contrastare in loco quegli attori che alimentano crisi e conflittualità di cui poi è anche l’Europa a pagare il prezzo, in primis in termini di crisi migratoria e terrorismo islamico.
Giordania, Iraq e Tunisia sono in cima alla lista di partner da aiutare tramite il DCB, e non a caso il Re di Giordania sarà a Varsavia per il vertice.
Anche sulla sicurezza marittima del Mediterraneo, dopo l’avvio nel 2016 della missione Nato nell’Egeo si stanno studiando passi ulteriori, anche su spinta italiana, quali la trasformazione dell’attuale missione Nato Active Endeavour, avviata dopo l’11 settembre 2001 con un mandato di contrasto al terrorismo, in una missione più ampia per la maritime security, si spera in sinergia con la missione Sophia dell’Unione europea e quelle nazionali dell’Italia.
Aldilà di DCB e sicurezza marittima, non è però chiaro come sfruttare e potenziare i partenariati bilaterali e regionali Nato per proiettare stabilità sul fianco sud, quale potrebbe essere nella regione euro-mediterranea la cooperazione con l’Ue – ancora ostaggio delle dispute ideologiche turco-greco-cipriote – e, infine, quale contributo potrebbe dare l’Alleanza alla lotta all’autoproclamatosi “stato islamico” in particolare, ma non solo, sul fronte dell’intelligence.
Tutti temi su cui anche l’Italia è chiamata a dare un maggiore contributo, nel suo stesso interesse di Paese europeo al centro del Mediterraneo.
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