L’Italia e la scommessa degli affari tunisini
Una delegazione imprenditoriale italiana sbarcata in Tunisia. A dirigerla, il 9 maggio, il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni che ha partecipato al Business Forum organizzato da Confindustria in collaborazione con Ice-Agenzia, l’Associazione bancaria italiana e con il patrocinio del Ministero dello sviluppo economico e dello stesso Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale.
La missione imprenditoriale – oltre 170 rappresentanti di imprese, banche ed associazioni – è stata ricevuta dal capo del governo tunisino, Habib Essid, presso la sede dell’Utica, l’Unione tunisina del commercio e dell’artigianato, insignita nel 2015 del Premio Nobel della Pace assieme all’Ugtt, principale sindacato dei lavoratori, la Lega Tunisina per la difesa dei diritti dell’uomo e l’Ordine nazionale degli avvocati, per aver contribuito alla ripresa del processo di transizione dopo una fase di stallo del dialogo politico.
Obiettivo principale del Business Forum è stato quello di rilanciare la cooperazione bilaterale tra Italia e Tunisia ed approfondire le opportunità offerte dal mercato locale non solo in termini di commercio, ma anche di partenariati industriali e di investimenti, attraverso sessioni tecniche di approfondimento sul quadro legislativo nazionale in materia e una serie di incontri tra singole imprese in diversi settori: in particolare, agro-alimentare, energie rinnovabili, infrastrutture e costruzioni.
Tunisia, ponte sul Mediterraneo
L’Italia è attualmente il secondo partner commerciale ed investitore della Tunisia dopo la Francia, con un interscambio bilaterale nel 2015 di circa 5,5 miliardi di euro e un saldo commerciale in attivo. Secondo le statistiche delle Agenzie nazionali Api e Fipa e come ha ricordato anche nel corso dell’incontro Mourad Fradi, presidente della Camera di Commercio e dell’Industria tunisino-italiana, nel Paese nordafricano sono presenti circa 800 imprese, miste, a partecipazione italiana o a capitale esclusivamente italiano, la maggior parte delle quali totalmente esportatrici, che impiegano oltre 60mila persone.
Gli Ide dell’Italia verso la Tunisia, così come le esportazioni, sono tendenzialmente cresciuti negli ultimi anni, registrando una diminuzione tra 2008-2009 e nell’immediato post-2011, per riprendere, già dall’anno successivo un trend positivo.
La tradizionale presenza dell’Italia in Tunisia, considerata, oggi più del passato, come un nodo cruciale per la sicurezza nel Mediterraneo e come un ponte che apra al Medio Oriente, è rilevante soprattutto nel settore manifatturiero, in particolare del tessile/abbigliamento; in quello energetico – si pensi al gasdotto trans-tunisino Ttpc controllato da Eni che collega Italia e Algeria, ma anche al progetto di interconnessione elettrica sottomarina Elmed tra Italia e Tunisia – e delle infrastrutture.
Tra i principali gruppi italiani presenti in Tunisia troviamo colossi come Almaviva, Benetton, Marzotto, Miroglio Group, Pirelli, Riva Acciaio, ma soprattutto piccole e medie imprese meno note al grande pubblico.
Questo Forum si inserisce in un quadro più ampio di strategie di ripresa economica che il governo tunisino si appresta a sostenere, soprattutto dopo la recente approvazione del Piano di sviluppo quinquennale 2016-2020 che mira al rafforzamento del flusso degli investimenti esteri ed anche alla sua diversificazione, aprendo ai mercati del Golfo ed alla Russia, dopo l’annuncio della creazione di una linea marittima diretta per favorire gli scambi commerciali che dovrebbe collegare il porto tunisino di Radès e quello russo di Novorossiiysk sul Mar Nero.
Inoltre, una parte sostanziale degli investimenti – il 70% secondo quanto dichiarato dal ministro tunisino dello sviluppo, Yassine Brahim – dovrebbe beneficiare le regioni sfavorite dell’interno e del sud del Paese, tradizionalmente escluse dalle politiche di sviluppo economico a vantaggio della capitale e delle regioni costiere del Sahel.
Un paese in cerca di stabilità
A distanza di cinque anni dall’inizio della Primavera araba, l’economia tunisina, che assiste da oltre vent’anni ad un indebolimento progressivo del suo tasso di crescita medio, stenta ancora a decollare, con un modello che resta principalmente dipendente dalla domanda estera, che si tratti di investimenti o turismo.
Con le continue manifestazioni e sit-in e la pressione jihadista al confine con la Libia e l’Algeria, la stabilità sociale del Paese dipende, ora più che mai, da una ripresa economica che ha bisogno, anzitutto, di risposte politiche.
A due anni dall’adozione della nuova costituzione (gennaio 2014) e dalle legislative nell’ottobre 2014 che hanno segnato la vittoria del partito laico Nidaa Tounes – fondato dall’attuale presidente della Repubblica tunisina Béji Caid Essebsi come contraltare al partito islamista Ennahda – la Tunisia è ancora alla ricerca di stabilità politica, con il nuovo anno che si è aperto con un rimpasto di governo a seguito della crisi interna, e successiva scissione, al partito di Essebsi.
L’attenzione degli investitori è ora sulle riforme strutturali in cantiere, come il nuovo codice degli investimenti, la legge sul partenariato pubblico-privato e una normativa di dettaglio sulle energie rinnovabili.
Ma la creazione di un clima favorevole agli investimenti dipende anche, in larga parte, dalla capacità della Tunisia di gestire la questione terrorismo, interno ed internazionale. Anche se una riforma del settore di sicurezza sarebbe altamente auspicabile, appare ancora in sospeso.
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