Italia, ultimi dei primi oppure primi degli ultimi?
Di solito scrivo poco e, quando lo faccio mi limito a trattare di cose delle quali sono responsabile professionalmente. Ma le tenebre attuali mi spingono a fare un’eccezione. Scrivo queste righe per parlare del deterioramento dell’immagine del nostro Paese; e lo faccio dalla prospettiva di qualcuno che ha vissuto all’estero per la maggior parte degli ultimi venticinque anni.
Venticinque anni fa, prima di assumere un incarico alla ormai defunta Unione dell’Europa Occidentale (Ueo) a Parigi, ebbi una serie di incontri preparatori con funzionari della Farnesina. Uno di questi incontri non l’ho mai dimenticato.
Ve lo riassumo: “Caro Roberto, quando sarai all’estero scoprirai che ci sono Paesi che contano di più ed altri che contano di meno. I Paesi in Europa che contano di più sono la Germania, la Francia e l’Inghilterra. L’Italia non si trova nel gruppo di punta, ma vorrebbe esserci, e comunque viene subito dopo. Quando ti troverai in situazioni dove bisogna scegliere se fare parte del gruppo di punta oppure accontentarsi di essere primo, oppure fra i primi, del gruppo che segue, cerca comunque sempre di fare parte del gruppo dei tre Paesi che contano di più”.Questo consiglio sulla nostra ambizione non l’ho mai dimenticato. Ma mi ha fatto soffrire. Perché con il passare degli anni ho scoperto che nei fatti l’Italia non è stata in grado di dare seguito alle proprie ambizioni. Le cause sono molte: mi limito a menzionare le mancanze di leadership politiche forti e determinate, oppure le amministrazioni, agli Esteri e alla Difesa, ma anche altrove, troppo poco controllate e dirette dalle proprie classi politiche.
La nostra debole consapevolezza di cosa sia l’interesse nazionale. E le solite, croniche, debolezze nella conoscenza linguistica dell’inglese e del francese da parte di politici ed amministrazioni – un handicap enorme nell’interazione con altri Paesi negli ambienti multilaterali. Per capire, farsi capire ed essere capiti.
Negli anni del dopoguerra, che dalla prospettiva di oggi potremmo descrivere come ‘tempo stabile’, quando usufruimmo della protezione americana e della Nato e partecipammo all’avanzamento dell’integrazione europea a piccoli passi, fummo in grado di sguinzagliarci, affidandoci in gran parte all’outsourcing. Ma gli anni del tempo stabile sono finiti: adesso siamo in piena tempesta, e non se ne vede la fine.
Il progetto di integrazione europea è in una crisi esistenziale dalla quale l’Unione europea probabilmente non uscirà tutta d’un pezzo; e anche istituzioni del dopoguerra come l’Osce e la Nato stanno soffrendo, con risultati esistenziali ancora incerti.
Schengen è moribonda. E ci ritroviamo con una Russia difficile ed irrispettosa delle frontiere e del diritto internazionale, abbiamo il terrorismo fondamentalista in Europa ed in casa, paesi fragili o falliti come la Siria e la Libia come vicini di casa, e migliaia di rifugiati alle porte, con previsioni in aumento.
Siamo esposti, ma non facciamo parte del gruppo che conta (oppure perlomeno ci prova) e abbiamo perso standing nel conglomerato bituminoso che segue. Il bluff di una politica estera e di sicurezza nazionale chiara e coerente non funziona più ed abbiamo iniziato a pagarne le conseguenze e a vederne i risultati. E se non ci sbrighiamo ad agire ed a rimboccarci le maniche, anche l’Italia come Stato-nazione potrebbe essere a rischio.
Esempi della deriva in corso potremmo trovarne a centinaia. Facciamone alcuni:
– Il nostro presidente del Consiglio a gennaio, quando esprime irritazione nel dovere scoprire sui giornali che cosa la Germania, la Francia e la Commissione stanno cucinando per l’Unione europea.
– L’editorialista Wofgang Muenchau a febbraio, quando sul Financial Times afferma che il sistema di Schengen potrebbe essere sospeso indefinitamente oppure svilupparsi in una versione in miniatura – con dentro solo la Germania, la Francia e i Paesi Benelux. Ed aggiunge che l’Italia comunque non ne farebbe parte.
– Vienna ad inizio aprile, quando annuncia di voler mandare i propri militari al passo del Brennero per proteggere i propri confini con l’Italia. Non lo dice apertamente, ma probabilmente considera l’Italia incapace di gestire il problema dei rifugiati. A parere di chi scrive l’Austria si sta muovendo per fare parte del nuovo gruppo che conta e che si sta formando. E l’Italia rischia di rimanerne fuori.
Chiudo con una riflessione sullo stimolante articolo di Altiero Spinelli del 1965 ripubblicato nell’International Spectator nello scorso dicembre. L’autore afferma che il governo italiano non fu fra gli iniziatori della politica atlantica ed europea e parla della sterilità della politica estera italiana dopo le uscite di scena di Sforza e De Gasperi.
Quando dice che siamo una potenza di secondo rango, che di solito non contribuisce con le proprie idee (“we do not as a rule bring any contribution of ideas but accept their growth or deterioration with indifferent equanimity”) e parla della nostra passività negli organi multilaterali dei quali facciamo parte. Parole dure e crude. Sfortunatamente, dopo venticinque anni trascorsi all’estero, non posso far altro che condividerle, pienamente ma con tristezza.
Possiamo ancora evitare lo scatafascio, oppure è già troppo tardi? Per me vale ancora la pena tentare. Forse iniziando da un Consiglio di Sicurezza nazionale degno del proprio nome.
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