Scontro italo-tedesco, il peso delle banche
La polemica, scoppiata fra il presidente del Consiglio italiano e altri esponenti europei, ha radici anche economiche. Al riguardo sono di particolare rilievo i problemi che, negli ultimi mesi, hanno pesato sul settore bancario italiano e si sono intrecciati con il processo europeo di Unione bancaria. Si ricordino quattro fatti.
Aiuti di stato e banca ‘cattiva’
Primo: il passaggio dalla crisi finanziaria internazionale alle crisi europee ha trasformato le banche italiane da caso virtuoso a luogo di accumulazione di prestiti problematici, che hanno ormai superato i 350 miliardi di euro e frenano l’erogazione di credito alle imprese.
Dopo aver perduto l’occasione di finanziare la costruzione di una ‘banca cattiva’ con fondi europei (giugno 2012), il governo ha proposto fuori tempo massimo la costituzione di uno o più veicoli per l’acquisto di crediti problematici a prezzi sostenuti da garanzie pubbliche.
La posizione italiana è così incappata nelle nuove norme europee, emanate nell’estate del 2013, che vietano aiuti di stato per la soluzione di problemi bancari. Proprio in questi giorni si sta delineando un compromesso che rischia, però, di essere inadeguato alla portata del problema.
Obbligazioni ‘subordinate’
Secondo fatto: a metà dello scorso novembre, il governo italiano ha rinunciato al salvataggio di tre ex casse di risparmio (Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti) e di una banca popolare (Popolare dell’Etruria) mediante il ricorso al Fondo interbancario di tutela dei depositi che era stato utilizzato anche di recente per affrontare la crisi di un’altra ex cassa di risparmio (Banca Tercas).
Infatti, sebbene tale Fondo utilizzi risorse private stanziate ad hoc dalle restanti banche, la sua attivazione è pubblica e contrasta – quindi – con le nuove regole europee sopra menzionate.
La soluzione alternativa, che ha portato alla costituzione di una “banca cattiva” e di quattro nuove banche con bilanci ‘ripuliti’, ha causato un sostanziale azzeramento nel valore delle azioni e delle obbligazioni subordinate emesse dalle vecchie Banca Marche, Carife, CariChieti ed Etruria. Dato l’abnorme collocamento di vari tipi di obbligazioni bancarie presso i risparmiatori italiani avvenuto nel recente passato, questa soluzione ha suscitato allarme.
Il ‘bail in’
Terzo fatto: la soluzione adottata è stata realizzata in tempi rapidissimi per sfruttare la finestra temporale fra il recepimento italiano delle nuove norme europee in materia di risoluzione delle crisi bancarie e l’inizio del 2016. Con il nuovo anno è diventato infatti operativo il secondo pilastro dell’Unione bancaria che subordina la ristrutturazione di ogni banca in crisi alla prioritaria copertura delle relative perdite (fino allo 8% delle sue passività) mediante la decurtazione nel valore – in sequenza – delle sue azioni, delle sue varie tipologie di obbligazioni non garantite, dei suoi depositi per l’ammontare eccedente i 100mila euro.
Se applicato al caso delle quattro banche in esame, la nuova procedura di copertura delle perdite (nota come bail in) avrebbe potuto comportare il coinvolgimento anche dei detentori di obbligazioni non subordinate e – almeno in linea di principio – di una parte dei depositanti. Il che avrebbe accresciuto oneri e preoccupazioni per i risparmiatori.
Garanzie sui depositi
Quarto fatto: il bail in e le altre componenti di risoluzione delle crisi bancarie, approvate dal Consiglio Ue fra giugno e dicembre 2013, dovrebbero trovare completamento in un terzo pilastro dell’Unione bancaria: uno schema europeo di garanzia dei depositi.
Alla fine dello scorso anno, la Commissione europea ha avanzato una proposta per la graduale costituzione del relativo Fondo, ma è incorsa nel drastico veto della Germania che ha subordinato la creazione di tale Fondo al fatto che i settori bancari degli Stati membri più fragili riducano la loro esposizione rispetto ai titoli del debito pubblico nazionale.
Gli effetti sul settore bancario
Questi fatti hanno varie implicazioni. Innanzitutto il settore bancario italiano rischia di essere schiacciato da tre macigni: il peso dei crediti problematici e dei titoli pubblici nazionali; i passati eccessi nell’emissione bancaria di obbligazioni che, oltre a non trovare buoni sostituti, ne aumentano la vulnerabilità rispetto al bail in e ne riducono il potenziale di finanziamento.
Inoltre tale settore trarrebbe giovamento dalla cooperazione fra Stati membri e dal completamento dell’Unione bancaria: la prima faciliterebbe la liquidazione dell’eccesso di crediti problematici e di titoli pubblici; la seconda fornirebbe contrappesi rispetto al potenziale destabilizzante del bail in.
Viceversa, la Germania va in direzione opposta: reagendo al pieno utilizzo italiano della flessibilità sui bilanci pubblici, essa ha scelto il settore bancario per sperimentare soluzioni decentrate che spostino l’onere degli aggiustamenti sui singoli paesi.
Gli effetti macroeconomici
Gli atteggiamenti di sfida tra Italia e Ue minano così la capacità del settore bancario italiano di sostenere la crescita del nostro sistema produttivo. Si sarebbe quindi tentati di concludere che la sfida è appropriata solo se ci si aspetta che la flessibilità nella gestione del bilancio pubblico abbia un impatto così positivo sul tasso italiano di crescita da più che compensare l’impatto negativo derivante dai crescenti vincoli bancari.
Il nesso fra maggiore flessibilità nella gestione del bilancio pubblico e aumento nei tassi di crescita risulta però indeterminato se non si specifica l’uso di questa flessibilità. Al riguardo, si dovrebbe entrare nel merito delle iniziative di politica economica inserite nella Legge di stabilità per il 2016. In alternativa, ci si può chiedere se l’Italia non abbia terreni di confronto più costruttivi in ambito europeo.
Un possibile confronto con la Germania
Le critiche italiane, riguardanti le nuove norme sugli aiuti di stato nelle risoluzioni bancarie e sul bail in, e quelle tedesche, relative all’introduzione di uno schema europeo di garanzia dei depositi, hanno una radice comune: l’inefficace gestione di fattori pregressi o, come è più preciso dire, della legacy e degli stock.
Il governo italiano critica le nuove norme europee sulla risoluzione bancaria perché trascurano due elementi: i limitati aiuti statali erogati alle nostre banche durante le recenti crisi; la minore rischiosità che era incorporata nello stock di obbligazioni, emesse da queste stesse banche prima delle nuove norme europee, rispetto alla situazione attuale.
Analogamente, il governo tedesco ritiene inaccettabile che la Commissione europea proponga un fondo unico di garanzia dei depositi senza preventive ‘pulizie’ di vecchie incrostazioni nei bilanci bancari dei paesi più fragili.
La sfida italiana alle istituzioni europee potrebbe, quindi, fondarsi sulla seguente domanda: perché dovremmo accettare una ‘forzatura’ della nostra legacy, qual è quella derivante dall’applicazione del bail in al preesistente stock di obbligazioni bancarie e dalla cancellazione dei pregressi aiuti di stato alle altre banche europee, quando la Germania non accetta la ‘forzatura’ della sua legacy, derivante dalla cancellazione della rischiosità specifica incorporata nello stock di titoli pubblici detenuti nei singoli settori bancari?
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