IAI
Nato e Italia

Crisi e instabilità, affrontare la spina nel fianco sud

17 Nov 2015 - Paola Sartori, Alessandro Marrone - Paola Sartori, Alessandro Marrone

Gli attentati di Parigi rendono ancora più urgente una riflessione sull’approccio dei Paesi Nato alle crisi in Nord Africa e Medio Oriente, a partire da Libia e Siria, sia a livello nazionale che di Alleanza atlantica.

È evidente che le crisi locali e regionali nell’area del Mediterraneo producono effetti negativi sulla sicurezza dei Paesi europei, siano essi violentemente diretti come nel caso del terrorismo islamista, oppure indiretti come nel caso della difficile gestione di massicci e drammatici flussi migratori.

È altrettanto evidente che, se lasciate a se stesse, le crisi in questa regione peggioreranno, come avvenuto in Libia e Siria dal 2011, finendo col destabilizzare anche stati che sembravano all’inizio non direttamente coinvolti, come avvenuto in Iraq a partire dal 2013 – e come rischia di avvenire oggi in Libano e Giordania – creando spazio per lo Stato Islamico o altri gruppi terroristici e/o criminali.

Non solo difesa collettiva
L’attuale Concetto Strategico Nato, approvato nel 2010, stabilisce tra i tre compiti chiave dell’Alleanza (core tasks) le operazioni di gestione delle crisi al di fuori del territorio degli Stati Membri e la sicurezza cooperativa inclusi i partenariati – assieme ovviamente alla difesa collettiva da attacchi esterni, sulla base dell’articolo 5 del Trattato di Washington.

Tale impostazione riflette la storia degli ultimi vent’anni di operazioni Nato “fuori area”, dai Balcani occidentali alla Libia, e la realtà attuale con le operazioni in corso in Afghanistan, a sostegno delle autorità locali contro insorti e terroristi, e nel Golfo di Aden a contrasto della pirateria.

Né si può dimenticare che l’articolo 5 è stato attivato dai Paesi membri solo una volta in 66 anni di storia Nato proprio nel caso di un attacco terroristico, quello dell’11 settembre, e ha portato all’intervento in Afghanistan, di fatto la più massiccia ed impegnativa campagna militare della storia dell’Alleanza.

La Nato, con l’intervento militare voluto da Parigi, Londra e Washington, ha avuto un ruolo decisivo nel rovesciamento del regime di Gheddafi, cui non è seguito un altrettanto risolutivo impegno nella stabilizzazione della Libia uscita a pezzi da tale rovesciamento.

Fianco est e/o fianco sud
Vi sono quindi le condizioni, i precedenti e l’esperienza – nel bene e nel male – per una riflessione su un eventuale impegno della Nato sul “fianco sud”, in termini sia politici che militari.

È mancata tuttavia finora la volontà politica da parte di molti alleati di riflettere seriamente su che cosa l’Alleanza potrebbe fare di utile per la sicurezza euro-atlantica in Nord Africa e Medio Oriente, e come.

Una conferenza IAI in programma il 19 novembre a Roma affronterà il doppio tema del dibattito all’interno della Nato sulla strategia verso il “fianco sud”, e della politica di difesa italiana nell’attuale contesto internazionale.

Sulla prima tematica, dal 2014 si è registrata una certa divergenza tra le percezioni delle minacce tra stati membri, con Paesi Baltici e Polonia – ma anche Regno Unito, Norvegia ed altri – fortemente impegnati nel chiedere un maggiore ruolo della Nato sul “fianco est” quale deterrente ad un’eventuale aggressione russa, anche di natura “ibrida” come quella avvenuta in Ucraina.

Dal canto loro Italia, Spagna ed altri Paesi mediterranei hanno tenuto il punto che l’Alleanza deve perseguire tutti e tre i core tasks del Concetto Strategico – non solo la difesa collettiva – e deve essere pronta ad agire a 360 gradi, incluso il fianco meridionale, non solo ad est.

Questi Paesi sono stati però finora meno efficaci nell’articolare una propria visione strategica di quale potrebbe essere il contributo dell’Alleanza rispetto alle sfide alla sicurezza che provengono da sud, anche perché esse risultano meno facilmente identificabili e comprensibili rispetto alla minaccia russa sul fronte orientale. Il risultato è stato un certo riorientamento della Nato sulla difesa collettiva e sul fianco est, come dimostrato anche dal Readiness Action Plan approvato nel vertice del Galles nel 2014.

Leadership Usa ridotta, tana liberi tutti?
Gli Stati Uniti hanno esercitato una minore leadership nel determinare la direzione e l’agenda dell’alleanza, in linea con la tendenza dell’amministrazione Obama a disimpegnarsi il più possibile dagli oneri della gestione della sicurezza regionale in Medio Oriente e Nord Africa, elemento che ha aumentato la tendenza dei Paesi europei e sostenere con più forza le rispettive visioni nazionali o regionali.

Ciò si è riflesso nel processo di elaborazione della Political Guidance alleata, il documento che periodicamente da attuazione al Concetto Strategico in vigore in relazione al processo di pianificazione militare Nato. Infatti, l’adozione di questo documento nel 2015 è stata più difficile e laboriosa rispetto al passato proprio a causa delle diverse percezioni delle minacce – e quindi delle priorità Nato – tra i Paesi membri.

I compiti a casa per l’Italia (e non solo)
In questo contesto, il prossimo vertice Nato in programma a Varsavia a luglio 2016 rappresenta una tappa importante. Sia i Paesi membri che le strutture dell’Alleanza sono al lavoro per preparare i dossier su cui i capi di stato e di governo saranno chiamati a decidere, o a ratificare decisioni già prese in sede ministeriale o militare.

L’attuazione del Readiness Action Plan con una maggiore attenzione alle componenti marittima e aerea; la definizione di piani militari per rispondere ad eventuali crisi sul versante meridionale; la revisione della missione navale Nato Active Endeavour in corso nel Mediterraneo con compiti di contrasto al terrorismo; gli eventuali scenari di utilizzo della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF) – la punta di lancia delle forze di reazione rapida Nato – sono tutte questioni da considerare anche alla luce delle minacce alla sicurezza euro-atlantica che vengono dal fianco sud.

Per considerarle adeguatamente è però necessario che i Paesi Nato, ed in particolare l’Italia e quelli che si sentono maggiormente esposti verso questo tipo di minacce, facciano i compiti a casa, a livello nazionale e regionale.

Ciò implica definire una visione politica chiara e concrete proposte militari in risposta a tali minacce da portare al tavolo con gli alleati, incluso rispetto ad un possibile ruolo Nato sul fianco sud.

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