Marò: l’arbitrato, una svolta nella vicenda
Dopo titubanze e smentite, Roma ha rotto gli indugi e ha fatto ricorso all’arbitrato internazionale contro l’India per l’affare dei Marò. Il 26 giugno ha indirizzato all’India l’atto introduttivo del procedimento per la costituzione della Corte arbitrale e il 21 luglio ha chiesto al Tribunale internazionale del diritto del mare, con sede ad Amburgo, misure provvisorie in attesa della decisione della Corte.
Misure Provvisorie e Arbitrato Internazionale
Mentre il Tribunale internazionale del diritto del mare è una giurisdizione permanente, la Corte arbitrale, prevista dall’Annesso VII alla Convenzione del diritto del mare, è una struttura che deve essere costituita all’occorrenza.
La Convenzione sul diritto del mare autorizza uno Stato parte della controversia a chiedere misure provvisorie in attesa di un pronunciamento della Corte arbitrale, la cui costituzione deve avvenire secondo tempi precostituiti, sufficientemente spediti.
Ma la pronuncia definitiva non è rapida e può richiedere anche due-tre anni. Si badi bene che la Corte arbitrale non dovrà pronunciarsi sulla colpevolezza o innocenza dei due Marò, ma su chi ha titolo di giurisdizione per farlo: Italia o India.
L’Italia ha infatti chiesto alla Corte che l’India cessi di esercitare la giurisdizione sui Marò attraverso i propri tribunali e nello stesso tempo che vengano censurati i comportamenti tenuti in violazione del diritto internazionale connessi alla pretesa di esercitare la giurisdizione sui due militari italiani.
In attesa che la Corte arbitrale decida, le misure provvisorie domandate al Tribunale di Amburgo consistono nella richiesta di permanenza in Italia di Latorre, cui è stata concessa una proroga di sei mesi per motivi di salute, e nel ritorno di Girone, costretto a rimanere in India e sottoposto all’obbligo di firma, nonché nella sospensione di ogni procedimento giudiziale e amministrativo in India nei loro confronti.
Il fallimento della soluzione diplomatica
Come si è giunti alla decisione di ricorrere all’arbitrato, da più parti suggerita, ma da altri scoraggiata (incluso chi scrive)?
Per oltre tre anni il Governo italiano, a parte i pasticci sulla riconsegna dei Marò recatisi in Italia in licenza elettorale, ha seguito un duplice binario: da una parte si è difeso, tramite i Marò, nel processo indiano, affermando l’incompetenza della giurisdizione locale; dall’altra ha tentato di risolvere la questione in via diplomatica, prima con l’intervento di un inviato speciale e poi, dopo un nuovo, reiterato e pressante interesse da parte del ministro degli Affari esteri, con l’intervento dello stesso presidente del Consiglio, che si è avvalso, una volta installatosi il Governo Modi, anche delle nostre strutture d’intelligence.
Sennonché, mentre è chiara la via giudiziaria, non molto(o niente) è dato conoscere dei contenuti della trattativa diplomatica, che per sua natura comporta reciproche concessioni. Sarebbe opportuno che il Governo sul punto facesse chiarezza.
L’alea delle misure provvisorie
L’ordinanza del Tribunale del diritto del mare è attesa per il 24 agosto. Si conoscerà quindi se le richieste italiane, cui l’India si oppone, verranno accolte o respinte, in tutto o in parte. La decisione del Tribunale potrà essere modificata, revocata o confermata dalla Corte arbitrale.
Il buon esito della richiesta di misure provvisorie è condizionato dall’urgenza della situazione e dalla dimostrazione che la Corte arbitrale in via di costituzione sarà competente, prima facie, a dirimere la controversia.
Punti che sono stati adeguatamente sceverati dagli avvocati delle due parti, che comprendono giuristi ed esperti di varie nazionalità (il team italiano annovera anche avvocati indiani, mentre quello indiano non conta nessun esperto italiano).
Si badi bene che la competenza sussiste solo qualora si accerti che la controversia abbia per oggetto l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Punto che sembrerebbe lapalissiano, essendo l’incidente avvenuto “in mare”. Ma così non è, come ha tentato di dimostrare la difesa indiana,che ha contestato la rilevanza nel caso concreto delle disposizioni della Convenzione, sciorinate da uno degli avvocati dell’Italia.
Le cose non sono quindi semplici. Per contrastare la richiesta di misure provvisorie di rilascio dei due Marò, nel timore che essi non sarebbero restituiti all’India qualora la Corte arbitrale si pronunciasse a favore della giurisdizione indiana, sono state addirittura avanzate accuse di scarsa affidabilità dell’Italia per non aver inviato in India, contrariamente agli impegni presi al momento del rilascio della Enrica Lexie, i quattro Marò che facevano parte del team militare imbarcato sulla nave (auditi peraltro in videoconferenza) e per il tentativo di fare restare in Italia Girone e Latorre cui era stata concessa la licenza elettorale.
È stata ricordata anche la sentenza della Corte costituzionale, che si è pronunciata per la non esecuzione della sentenza della Corte internazionale di giustizia nel caso Germania c. Italia, costringendo l’agente del Governo italiano a ribattere che l’Italia onorerà la sentenza della Corte arbitrale, qualunque essa sia.
Il lungo cammino intrapreso
Come si è detto, indipendentemente dall’imminente pronuncia sulle misure provvisorie, la procedura per ottenere una decisione del Tribunale arbitrale è piuttosto lunga.
Le parti potrebbero continuare a negoziare e trovare una soluzione soddisfacente per chiudere la controversia. Gli esempi non mancano. La via sarebbe facilitata dall’ottenimento di una misura provvisoria per il rientro in Italia dei due Marò.
Uno degli avvocati di parte indiana ha affermato di essere stato autorizzato a proporre che la Corte speciale, chiamata a giudicare in India i due Marò secondo quanto disposto dalla Corte Suprema di New Delhi, concluda i lavori in quattro mesi qualora non vi fosse opposizione italiana. Ma tale proposta è inaccettabile una volta scelta l’opzione di difendersi dal processo e non nel processo.
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