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Ue Immigrazione

Il piano italiano per uscire dall’empasse

26 Mar 2015 - Enza Roberta Petrillo - Enza Roberta Petrillo

Non sarà ancora una svolta, ma il cambio di passo c’è ed è già un buon inizio. Sul tavolo dell’ultimo Consiglio Affari Interni dell’Unione, è arrivato il piano italiano per fronteggiare l’aumento dei flussi migratori dalla sponda Sud del Mediterraneo.

Un traguardo raggiunto con il sostegno diplomatico del capo della diplomazia Ue Federica Mogherini e del commissario agli Affari interni DimitrisAvramopoulos, autori di una lettera indirizzata ai ministri degli Affari esteri europei, per sollecitare “una forte azione politica e una risposta operativa” al numero crescente di persone che continuano a partire dalle coste libiche in condizioni di estrema vulnerabilità.

Un monito raccolto senza indugi dal governo italiano, consapevole che i 9 mila migranti sbarcati sulle coste meridionali dall’inizio dell’anno – circa il 43% in più rispetto allo stesso periodo 2014 – potrebbero aumentare con la primavera, esponendo i migranti a rischi crescenti.

I dati parlano chiaro. Dall’inizio dell’anno, ha documentato l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, circa 470 migranti hanno perso la vita nel Mar Mediterraneo, rispetto ai 15 scomparsi nello stesso periodo dello scorso anno. Un’ ecatombe annunciata che ha spinto il ministro dell’Interno Alfano ad accelerare la diffusione del piano italiano o per uscire dall’empasse. “La nostra idea è di costituire dei campi in Africa, sull’altra sponda del Mediterraneo, in modo tale che lì si facciano le richieste d’asilo e che lì si dica sì o no. Coloro a cui si dice no restano lì, gli altri ovviamente devono essere ripartiti e divisi in modo equo fra tutti i Paesi europei”.

Una gestione europea, ripensando Dublino
Linea che espressa con altre parole implicherebbe una gestione europea del dossier immigrazione che poggi allo stesso tempo sulla condivisione degli oneri connessi alla concessione della protezione umanitaria e sul rafforzamento della cooperazione con i paesi di provenienza e transito.

Obiettivi ambiziosi, già lanciati dal recente processo di Karthoum, che l’Italia punta a portare avanti in sinergia con organizzazioni umanitarie multilaterali, come l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr) e l’Organizzazione Mondiale per le migrazioni (Oim), organizzazioni storicamente impegnate in missioni umanitarie e non di polizia.

La priorità è evitare altre morti nel Canale di Sicilia. Per fare questo la proposta italiana punta ad offrire ai migranti un canale di ingresso in Europa regolare e alternativo basato su un sistema di “safeharbours”: centri di raccolta localizzati in Niger, Sudan e Tunisia da cui i richiedenti asilo potrebbero inoltrare la loro domanda al paese Ue prescelto, dove verrebbero poi trasferiti se la loro richiesta venisse accolta.

Se approvato, il piano italiano implicherebbe un radicale ripensamento del sistema di Dublino e darebbe sostanza alla stringente necessità di potenziare il burdensharing, l’equa distribuzione dei titolari di protezione umanitaria tra tutti i 28 Stati membri dell’Ue.

L’ipotesi italiana, dettagli e criticità
Nell’ipotesi italiana, i centri potrebbero essere realizzati sulla base dei programmi di protezione regionale, iniziative di assistenza comunitaria lanciate nel 2005 per potenziare le capacità di protezione offerte dai paesi terzi che fungono da paesi di provenienza e transito verso l’Unione.

Già nel 2010 la Commissione aveva esteso questo tipo di intervento ai paesi del Corno d’Africa e del Maghreb con l’obiettivo di “migliorare la protezione dei rifugiati attraverso soluzioni durature, come il ritorno, l’integrazione locale e il re-insediamento”.

Ambizioni che hanno vacillato sia per la fragilità degli interlocutori istituzionali delle due regioni, sia per l’assenza di coerenza tra il livello d’intervento locale, nazionale e regionale, con i programmi e le iniziative sviluppate dall’Ue per garantire protezione ai migranti ospitati nei paesi terzi.

Adesso l’Italia ci riprova, integrando la marcata esternalizzazione delle politiche migratorie di quel programma, con la possibilità di richiedere la protezione direttamente dai paesi di transito. Da qui i migranti dovrebbero essere ridistribuiti in Europa con ricollocamenti su base volontaria o altri canali legali, compresi i visti umanitari.

Un cambio di strategia non da poco e che destabilizzerebbe alle radici il sistema d’asilo vigente ad oggi basato sul regolamento Dublino III del 2013. Atto che impone al primo stato europeo raggiunto dal migrante di farsi carico della responsabilità dell’esame della domanda d’asilo.

Per ora la proposta italiana avrebbe già incassato l’appoggio di Francia e Germania. Sostegni di peso, senza dubbio, ma che potrebbero non bastare per vincere lo scetticismo delle cancellerie capeggiate da molti dei paesi di recente ingresso nell’Ue.

L’appoggio franco-tedesco, le riottosità dell’Est
Riottosità sintetizzate perfettamente dal ministro lettone Rihard Koslovskis, presidente di turno del Consiglio dei Ministri dell’Ue che ha commentato la proposta italiana con un cauto “Le posizioni sono ancora divergenti”. Alfano ha rilanciato l’inderogabilità della questione. “E’dovere della comunità internazionale trovare una soluzione. La strada diplomatica resta quella principale. Se non si risolve la questione libica è inutile parlare di immigrazione con la speranza di bloccare le partenze”.

Valutazioni condivise in toto da Vincent Cochetel, direttore del Bureau UnHcr per l’Europa che ha ammonito:“Il mantenimento dello status quo non è un’opzione praticabile. Non agire di fronte a queste sfide comporta solamente la morte di altre persone”.

Una partita aperta, per ora, che con potrebbe restare aperta almeno fino al prossimo maggio, quando la Commissione europea dovrebbe varare la nuova Agenda per l’immigrazione, finalizzata a rendere più efficace l’asilo, gestire meglio l’immigrazione regolare, combattere quella irregolare e rafforzare la protezione delle frontiere esterne.

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