Se in Svizzera finisce il paradiso
Il negoziato sull’intesa fiscale fra Italia e Svizzera si è concluso. Le trattative cominciate tre anni fa con diversi governi e delegazioni parzialmente diverse si sono chiuse a Milano il 23 febbraio scorso.
In questi anni sono cambiati gli ambasciatori a Berna e a Roma ed è cambiato il capo negoziatore svizzero. Tuttavia il pacchetto di febbraio non è conclusivo. Lascia aperte alcune brecce che vanno riempite da lavori ulteriori.
Questi si svolgeranno in seno a gruppi negoziali che si riuniranno fra marzo e l’estate. L’ossatura delle delegazioni è tuttavia restata intatta. Sono mutate le istruzioni, specie in campo italiano. L’obiettivo è di terminare presto perché il quadro complessivo sia chiaro.
Voluntary disclosure
Preme trovare un accordo con la Svizzera che applichi in anticipo e in via bilaterale certe clausole che fanno parte del pacchetto accettato da Berna all’Ocse.
Preme trovarlo perché la sua applicazione coincida con l’entrata in vigore della legge sulla cosìdetta voluntary disclosure, l’emersione volontaria delle fortune “dimenticate” presso conti esteri e non solo svizzeri.
Lo scambio d’informazioni con le autorità fiscali svizzere rafforza il potenziale della legge nazionale. Insieme costituiscono una placida forma di pressione verso il contribuente “smemorato” e un deterrente per chi non voglia recuperare la memoria volontariamente.
Svizzera, frontalieri e cittadini Ue
Il negoziato è complesso e a misura dei progressi aumentano i capitoli oggetto dello stesso. Dopo la votazione plebiscitaria del 9 febbraio 2014 (la vittoria del “no all’immigrazione di massa”) irrompono sulla scena due temi.
Cosa accade sul piano bilaterale nell’ipotesi che la Svizzera, per attuare il risultato referendario, denunci l’accordo sulla libera circolazione delle persone con l’Unione europea (Ue)? Quale è il regime fiscale da applicare ai lavoratori frontalieri nell’ipotesi che la denuncia dell’accordo riguardi pure loro?
Dietro a questi due quesiti premono ragioni di fondo. La prima rinvia al rapporto fondamentale che la Svizzera intende intrattenere con l’Ue. La seconda rinvia al malessere che il Cantone Ticino avverte nei confronti della “invasione” dei frontalieri provenienti in maggioranza dalla Lombardia. In pochi anni sono arrivati a superare quota sessantamila e le previsioni parlano di crescita ulteriore.
Trovare un accordo mentre la legislazione svizzera sta per mutare e con stime imprecise circa il fenomeno del lavoro mobile è impresa difficile.
Occorre introdurre clausole che fotografino lo statu quo e che, siano al contempo aperte a recepire le novità. Clausole che consentano anche un passo indietro: alla situazione antecedente lo stesso accordo in trattazione. Di qui certe formule che appaiono contraddittorie, e probabilmente lo sono. Si concorda un certo regime rebus sic stanti bus, si torna al passato se cambia il quadro normativo generale.
Stratégie de l’argent propre
Cedere all’enfasi di passaggio storico è facile. In effetti la svolta ci sta ed è importante. Non è la “fine del segreto bancario svizzero”, come ha titolato qualche giornale. Il segreto ha cominciato a svelarsi ben prima dell’intesa di febbraio. Reca il segno delle controversie con gli Stati Uniti che portarono all’accordo Facta, ma non ancora alla chiusura di tutte le indagini a carico di banchieri svizzeri.
È il frutto della “stratégie de l’argent propre” inaugurata dal Consiglio federale non senza contrasti sul piano domestico. Se il segreto è caduto anche prima di febbraio, di sicuro la recente intesa contribuisce a picchettare la trasparenza e la collaborazione fra le autorità fiscali. Le indagini a richiesta sui conti “dimenticati” vanno in questo senso.
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