IAI
L’Europa e l’evoluzione in Libia

Un cuore d’asino ed uno di leone

30 Ott 2014 - Roberto Aliboni - Roberto Aliboni

Gli eventi in Libia corrono. Fra le armi e le iniziative di pace, gli europei stanno con un cuor d’asino e uno di leone, oscillando fra incertezza e decisione, timore e coraggio.

I governi europei fanno bene a sostenere la mediazione dell’Onu con la massima fermezza. Tuttavia prudenza vorrebbe che, continuando a sostenerla, inizino anche a pensare ad un piano alternativo, nel caso altri scenari dovessero prevalere.

Le elezioni del 25 giugno hanno polarizzato le eterogenee forze della Libia in due coalizioni che hanno iniziato a combattersi in una vera e propria guerra civile.

I protagonisti dello scontro
Durante i primi sei mesi dell’anno si è assistito nelle istituzioni ad un intenso scontro politico fra forze che si percepiscono come vere eredi della rivoluzione del 17 febbraio e forze invece che, pur avendo iniziato la rivoluzione e preso parte ad essa, sono più interessate ad assicurare una continuità dello stato nazionale libico.

Le prime raccolte essenzialmente attorno ai Fratelli Musulmani e alla città di Misurata, le seconde attorno all’Alleanza delle Forze Nazionali e alla città di Zintan, ciascuna con una miriade di altri alleati locali, tribali e patronali.

In questa lotta si è inserita, esacerbando lo scontro, l’iniziativa dell’ex generale Khalifa Hiftar, che ha messo in piedi, al di fuori delle istituzioni, una forza armata destinata a purgare il paese da islamisti e “terroristi” che Islamisti e “misrati” hanno percepito, non a torto, come una minaccia nei loro confronti.

Alle operazioni militari di Hiftar, iniziate nel maggio sotto il nome di “Dignità”, si è aggiunta la vittoria delle forze “nazionali” nelle elezioni del 25 giugno.

Questa vittoria, basata su una partecipazione al voto del 18% degli aventi diritto e quindi molto debole sul piano della legittimazione politica, ha tuttavia convinto gli islamisti e Misurata che, se non si fossero mossi, sarebbero stati estromessi per sempre da ogni prospettiva politica.

Sono quindi scesi in campo militarmente attaccando, nell’ambito dell’operazione “Alba della Libia”, le brigate di Zintan dispiegate nella città di Tripoli ed estromettendole dopo una furiosa battaglia di due mesi, fra luglio e agosto.

Ai fatti militari si sono subito intrecciati quelli politici. In breve: la fuga in Cirenaica delle istituzioni uscite dalle elezioni – la Camera dei Deputati a Tobruk e il governo a Beida – la resurrezione a Tripoli, da parte della coalizione “Alba”, del Congresso nazionale generale (legalmente dismesso con le elezioni del 25 giugno), e la nomina di un governo rivale sempre a Tripoli.

Abbiamo quindi un paese in guerra con due governi e due parlamenti.

La mediazione Onu voluta dall’Europa
La diplomazia internazionale è scesa rapidamente in campo con un’iniziativa di mediazione da parte delle Nazioni Unite. Si tratta di un’iniziativa largamente ispirata da parte europea, con l’Italia e il ministro Mogherini, la Spagna e l’ambasciatore Léon (nominato inviato speciale dell’Onu in Libia dopo aver svolto le stesse funzioni nell’Ue) in un ruolo di punta.

La mediazione in atto si basa su tre obiettivi: la difesa e il rafforzamento della legittimità e continuità del processo di transizione democratica, l’inclusione in questo processo delle forze politiche in presenza, e la lotta al terrorismo e ai suoi rischi di saldature nella regione.

In breve, l’ambasciatore Léon sta cercando di convincere i deputati che attualmente boicottano il parlamento di Tobruk a rientrarvi, in modo da eleggere un governo di unità nazionale che abbia più piena legittimità e possa riavviare un processo di riconciliazione attraverso un dialogo nazionale (e chiedere interventi armati internazionali se necessario).

Le possibilità di questa mediazione non sono molte, tuttavia non sono inesistenti, poiché le lacerazione fra i rappresentanti politici e civili sono di gran lunga meno aspre di quelle che corrono fra i vari comandanti e patroni delle milizie.

Tuttavia sono molte le difficoltà, soprattutto perché la scelta legittimista – obbligatoria per le Nazioni Unite – non consente una facile inclusione degli oppositori che, bene o male, sono costretti a venire a Canossa.

Inoltre, la separazione fra un processo “politico” e uno “militare”, sebbene non priva di una sua logica, non facilita le cose, poiché essa dovrebbe implicare una rinuncia delle brigate al loro potere e il loro spontaneo rientro nelle caserme.

In questo senso, l’iniziativa parallela dell’Algeria di un negoziato meno formale, al quale parteciperebbero militari e politici assieme, può essere molto utile, a condizione che venga assicurata la complementarietà con la mediazione dell’Onu.

Alle difficoltà intrinseche della mediazione si aggiunge il fatto che i paesi della regione tendono a ingabbiare le parti libiche nei conflitti in atto (in particolare quelli fra i paesi sunniti).

Turchia e Qatar sostengono i Fratelli Musulmani (la Turchia anche il porto-stato di Misurata con il quale continua ad avere importanti rapporti economici); Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita appoggiano l’altra coalizione (che vedono complementare ai loro obiettivi nazionali e regionali di lotta agli islamisti e ai “terroristi”).

I paesi vicini sono formalmente impegnati a sostenere l’Onu, ma i loro interessi nazionali sono diversi e li portano a rafforzare ognuno la sua controparte libica e quindi a ostacolare il negoziato.

Tre possibili scenari
Nel complesso la mediazione si svolge sull’orlo di un precipizio. Cosa accadrà se non avrà successo?

Innanzitutto, il conflitto armato attuale potrebbe stabilizzarsi realizzando le condizioni di uno stato fallito, in cui l’azione degli estremisti islamici potrebbe saldarsi con quelle degli estremisti del Sahel e del Levante e condurre ad una lotta policentrica, similmente a quanto avviene in Siria, nel cui ambito i Fratelli Musulmani o si alleerebbero con gli estremisti (come tendenzialmente sta avvenendo in Egitto) oppure ne sarebbero anche’essi le vittime(come è accaduto in Siria).

Gli effetti di tracimazione verso i paesi vicini e quelli occidentali si moltiplicherebbero. Non potrebbe essere esclusa l’evenienza di un intervento armato dall’esterno.

Un altro scenario potrebbe essere quello di una “egizianizzazione” del processo, ove il generale Khalifa Hiftar raggiungesse la vittoria militare e si accingesse quindi a imitare l’ascesa di al-Sisi al Cairo.

Si obbietta che Hiftar non ha dietro né l’istituzione militare né lo “stato profondo” dell’Egitto. Ciò però di per sé non rende implausibile lo uno scenario, che si realizzerebbe in una versione più rozza e meno efficace ma pur sempre simile alla sostanza autoritaria del suo modello.

Negli ultimi dieci giorni, ci sono stati due sviluppi a favore di Hiftar: uno è il successo della controffensiva che egli ha condotto a Bengasi, accompagnata da quello che sembra arridere alla controffensiva dei “zintani” nella regione di Tripoli; l’altro è la decisione di Tobruk, apparentemente attuata nei fatti, di un inquadramento delle forze di Hiftar come forze armate nazionali.

Come esattamente si evolverà questa decisione resta da vedere: la conclusione ricorrente secondo cui in Libia una vittoria militare non è possibile, potrebbe trovarsi ad essere rovesciata nei fatti; d’altra parte, l’associazione di una vittoria militare (più o meno definitiva) e del ruolo in essa di Hiftar potrebbero non restare senza conseguenze.

Infine, un terzo scenario potrebbe essere la divisione del paese fra est e ovest. Essa già traspare nella situazione odierna, con lo spostamento delle istituzioni in Cirenaica. A questo spostamento si aggiunge il più pieno controllo di una parte maggiore del petrolio libico nell’est del paese.

Nell’aprile scorso, prima dello scoppio della guerra civile, Abdullah al-Thinni, allora capo del governo ad interim e oggi capo del governo di Beida, raggiunse un accordo con il leader dei federalisti cirenaici, Ibrahim Jathran, che prevedeva una redistribuzione delle maggiori istituzioni nazionali fra est e ovest e un cambio nella leadership del corpo che veglia sulle sicurezza dei campi petroliferi a favore dei cirenaici.

È quest’accordo che ha fatto schierare le forze “federaliste” con quelle della coalizione Dignità quando a luglio sono scoppiate le ostilità. L’accordo potrebbe andare al di là delle stesse intenzioni dei firmatari – che prefiguravano l’attuazione di un federalismo libico – e portare a conseguenze più consistenti.

.