IAI
Il campanello d’allarme

Grazie, Califfato! Grazie, Califfo!

6 Ott 2014 - Giuseppe Cucchi - Giuseppe Cucchi

Ringraziare il Califfato ed il Califfo? Sembra un proposito assurdo ma in fondo noi occidentali, ed in particolare noi europei, dobbiamo parecchio ad entrambi.

Le malattie più gravi spesso restano inosservate, in incubazione, fino a quando è ormai troppo tardi per fermarle. A noi occidentali stava succedendo la stessa cosa.

Il lunghissimo periodo di pace di cui abbiamo goduto, in Europa, dalla seconda guerra mondiale in poi, ci faceva credere ad un futuro, almeno per i paesi della Ue, del tutto privo di violenza bellica, in cui sarebbe bastato mantenere in vita un simulacro di Forze Armate: quanto bastava per fornire un contributo accettabile alle varie missioni di più o meno intenso peacekeeping decise, o benedette, dalle Nazioni Unite.

Niente più nemici né guerre
Per gli Stati Uniti le cose erano un poco diverse, ma nella sostanza anch’essi si illudevano di poter tirare il fiato e di avere la possibilità di incassare il dividendo della dottrina Obama, di quella smart strategy che tentava di scaricare su attori regionali alleati il costo e la responsabilità degli interventi indispensabili, senza però che ciò intaccasse il potere americano.

I risultati di queste illusioni, nutrite mentre la malattia dilagava inosservata e le nostre frontiere europee da “cintura di amici”, come le chiamava Romano Prodi venti anni fa, si trasformavano nel “ring of fire“, termine usato recentemente dall’Economist, sono stati deleteri.

Da un lato il rapporto transatlantico è stato giudicato superato, mentre la Nato combatteva una battaglia, apparentemente persa in partenza, per ridefinire i suoi compiti ed evitare di essere anemizzata, magari dolcemente e senza strepito.

Dall’altro il potenziale bellico dei paesi membri si riduceva progressivamente, nel costante tentativo di recuperare dalla difesa quelle risorse che facevano difetto in altri settori considerati prioritari. C’é stata così una caccia senza respiro al cosiddetto “dividendo della pace“, che si è scaglionata senza interruzione su tutti i venticinque anni passati dalla caduta del Muro di Berlino e che per molti aspetti dura ancora, nonostante tutti i campanelli di allarme stiano suonando a distesa.

Per di più, questa riduzione dei potenziali nazionali è avvenuta in maniera completamente scoordinata, quasi una corsa in cui ciascuno dei partecipanti sembrava temere che l’altro lo potesse sopravanzare.

In questo spirito la maggioranza delle truppe americane stanziate in Europa se ne è tornata a casa, o ha raggiunto teatri operativi diversi, mentre i livelli di organici e di efficienza delle singole nazioni europee sono scesi a dei minimi assolutamente inaccettabili.

Nell’azione Nato contro la Libia, conflitto corto e di intensità tutto sommato molto ridotta, noi europei siamo rimasti rapidamente senza munizioni per gli aerei ed abbiamo dovuto acquistarle dagli Stati Uniti. Un fatto che la dice lunga sia sui livelli delle nostre scorte, sia sulla nostra capacità produttiva nel settore.

Neanche Putin è riuscito a svegliarci
Su questa situazione di fatto, che l’opinione pubblica, i governi e le forze politiche dei nostri paesi si rifiutano con ostinazione di vedere, si era ad un certo punto scatenato il ciclone Putin.

Neanche lui però , con tutta la sua consumata abilità di scacchista strategico, condita di annessioni, creazione di stati fantoccio-cuscinetto, volontariati fasulli che ricordano quelli nazisti e fascisti nella guerra di Spagna, è riuscito a generare uno shock sufficiente a far sì che il malato si accorgesse di quanto era progredita la malattia.

Quando la tensione fra ucraini e russi ha assunto aspetti realmente preoccupanti, il vertice della Nato, svoltosi pochi giorni or sono, ha dovuto tristemente constatare che l’Alleanza avrebbe incontrato difficoltà fortissime a schierare in frontiera anche una sola Divisione di forze alleate.

Ha quindi cercato di riconfortare i suoi terrorizzati membri del nord est con soluzioni fantasiose, relative alla dislocazione in aree avanzate di depositi di armi e materiali ed alla creazione di forze di reazione molto, molto, molto rapide, il tutto ben in fieri, naturalmente!

Ad aggravare ulteriormente il quadro è giunta poi la notizia di questi giorni, che riporta come anche le Forze Armate tedesche siano in condizioni pietose, del tutto degne di “una cicala del sud”, e non certo all’altezza di una “formica del nord”, oltretutto chiaramente destinata alla leadership europea.

Il fatto è, parliamoci chiaro, che nessuno ha mai realmente creduto alla possibilità di una guerra vera della Russia contro l’Occidente. Non ci abbiamo creduto qui e non ci hanno creduto in Russia. Basta vedere come tutte le reali preoccupazioni si siano concentrate e tuttora si concentrino da un lato sugli effetti delle misure di embargo sull’economia nazionale, dall’altro sull’ipotesi di trovarci a corto di gas in un inverno che le previsioni promettono particolarmente rigido.

E poi è arrivato il Califfo
Dopo Putin però sono entrati in scena il Califfo ed il Califfato, ed entrambi fanno paura. Sia perché si ricollegano a ricordi ancestrali di nemici spietati e guerre durissime, protrattesi per secoli e secoli. Sia perché i combattenti di questa nuova jihad agiscono con una logica di eliminazione fisica dell’avversario, reale o potenziale che sia: una logica che noi non riusciamo più a comprendere.

Sia perché la rapidità della avanzata dell’Isis ha dimostrato quanto tale appello, oltretutto soffuso da un alone di vittoria, possa avere fascino sulle masse arabe disperate del Medio Oriente, della Penisola e del Nord Africa.

La presenza fra le forze del Califfato di alcune migliaia di musulmani europei di seconda e terza generazione ci ha inoltre costretti a comprendere come questo non possa essere definito unicamente come un conflitto alle frontiere, ma sia invece un conflitto che, almeno potenzialmente, abbiamo già in casa.

Il sintomo si è così manifestato e la malattia è divenuta palese. Che cosa aspettiamo a questo punto per verificare quali siano le nostre lacune e per ricostruire uno strumento di sicurezza interno ed esterno che sia all’altezza di affrontare la sfida? Magari orientandoci su quella soluzione europea che è forse l’unica che ci consentirebbe di essere efficaci, realizzando nel contempo anche economie di scala?

E cosa aspettiamo a dire grazie al Califfo ed al Califfato, che ci hanno – magari un po’ brutalmente – strappati al sogno per riconsegnarci alla realtà?

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