La “nuova energia” del Messico
Tramite la penna di Ferdinando Giugliano, il Financial Times ha consigliato a Matteo Renzi, fresco di nomina, di affrontare il suo incarico ispirandosi non tanto a Barack Obama o Tony Blair, bensì al meno noto e giovane Presidente messicano Enrique Peña Nieto, in carica da appena due anni. Provocazione o suggerimento lungimirante?
Uno dei punti di fondo dell’azione di Peña Nieto è stata la firma tra maggioranza e opposizione del “Patto del Messico”, che definisce 95 obiettivi in cinque aree considerate strategiche. Il “Patto” ha consentito di sbloccare lo stallo istituzionale in cui versava il paese e, conseguentemente, di avviare una importante serie di riforme, tra le quali quella del settore energetico.
Stop al monopolio di Pemex
La riforma approvata lo scorso dicembre ha interrotto settantacinque anni di monopolio statale nel settore.
Ossigeno puro, in un periodo nero per l’azienda petrolifera statale Petroleos Mexicanos (Pemex), che da sola contribuisce al 34% delle entrate dello stato ma che non riesce a uscire dalla crisi: produzione in calo, consumi in crescita, contrazione delle esportazioni di greggio e aumento dell’import di prodotti raffinati.
In difficoltà anche il campo del gas naturale, il cui deficit potrebbe raggiungere quasi il 50% della domanda interna totale entro il 2020.
Lacune tecniche, mancanza di investimenti e know how da parte di Pemex ostacolano il compimento di una strategia energetica nazionale vincente e il raggiungimento degli obiettivi produttivi in aree ricche ma dallo sviluppo più complesso (ad es. nelle acque profonde del Golfo del Messico e nelle riserve di shale gas nel nord del paese).
Nuove esplorazioni in acque profonde
In questo contesto possono ora entrare in gioco gli operatori internazionali, la cui cooperazione con Pemex attraverso nuove forme di contratto – profit-sharing, production sharing e licenze di estrazione o sfruttamento – dovrebbe rilanciare la produttività e la competitività dell’azienda, aumentando al contempo, secondo fonti governative, la crescita economica annuale del 2%.
Tra le principali novità di questo nuovo capitolo, la creazione di joint ventures nel settore dell’esplorazione (upstream), in acque profonde e nel campo delle risorse non convenzionali, il coinvolgimento di enti privati anche nelle attività della petrolchimica di base, la costruzione di nuove raffinerie, un nuovo regime fiscale di Pemex che potrà essere quotata in borsa e l’istituzione di nuovi enti per gestire l’attività estrattiva.
Sono ambiziosi gli obiettivi su cui punta il governo che spera di accrescere la produzione dagli attuali 2,5 milioni di barili al giorno (b/g) a 3,5 milioni entro il 2025, raddoppiando al contempo anche la produzione di gas naturale fino a circa 100 miliardi di metri cubi all’anno.
Per non suscitare troppe proteste da parte dei più nazionalisti, però, lo stato manterrà la proprietà esclusiva sulle risorse naturali del sottosuolo, vincolando le aziende straniere a utilizzare il 25% di risorse umane e prodotti locali al fine di contribuire allo sviluppo dell’economia del luogo (tranne che nelle aree – troppo complesse – di acque profonde).
Sfide di Peña Nieto
Bisognerà pazientare per valutare l’efficacia della riforma. Il raggiungimento dei risultati potrebbe essere rallentato da eventuali questioni (e conseguenti discussioni) politiche.
L’apertura del settore, inoltre, sarà compiuta in modo graduale, anche per non urtare le sensibilità più nazionaliste, mentre l’introduzione di condizioni fiscali competitive e il lancio degli investimenti richiesti implicano inevitabili tempi tecnici.
Nel frattempo bisognerà accontentarsi dello sviluppo degli asset già esistenti e delle risorse già scoperte. Secondo gli analisti specializzati, infatti, l’andamento della produzione migliorerà solo dopo il 2018.
Il successo della riforma dipenderà molto da come le aziende straniere reagiranno alle condizioni sancite dalle leggi attuative, e al contesto operativo che troveranno in loco (business environment).
Saranno soddisfatti dalla divisione dei profitti, dai termini fiscali, dalla suddivisione del rischio geologico? Si accontenteranno delle aree che saranno loro presentate nel Round Zero, o rimarrà l’ambizione per quelle invece riservate alla competenza esclusiva di Pemex? Gli investimenti saranno scoraggiati dai gravi problemi di sicurezza legati al narcotraffico?
Le sfide che attendono il presidente Peña Nieto sono tanto rilevanti quanto le aspettative che è stato in grado di suscitare. Se riuscirà a quadrare il cerchio tra stabilità politica, crescita economica e rilancio energetico, il Presidente passerà alla storia messicana e non solo per aver vinto la sua scommessa di innovatore.
Pur in un contesto completamente diverso, dunque, si tratta di un esempio che, almeno dal punto di vista del metodo, può essere considerato utile anche per i paesi del vecchio continente.
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