IAI
Unione europea

Francia e Germania, l’intesa zoppa

9 Giu 2014 - Riccardo Perissich - Riccardo Perissich

Fra le analisi ingenue e provinciali che circolano dopo le elezioni europee c’è quella che vede l’Italia sostituire una Francia indebolita nell’asse con la Germania. Altrettanto velleitaria è l’analisi di chi vorrebbe l’Italia alla guida di un gruppo di paesi mediterranei contro la Germania. Entrambe peccano di semplicismo.

Non c’è mai stato un asse fra i due paesi che invece sono stati spesso motore dell’integrazione. Sono i due maggiori membri dell’Unione, ma l’importanza del loro rapporto dipende meno da quanto sono vicini che da quanto sono distanti.

Le loro visioni (politiche ed economiche) sono normalmente così diverse che quando con un notevole sforzo di volontarismo cercano un accordo, in generale la maggioranza degli altri può collocarsi nel compromesso possibile.

Sodalizio asimmetrico
Per valutare l’importanza del sodalizio, dobbiamo ricordarne la forte componente emotiva. L’integrazione europea è nata dalla riconciliazione franco-tedesca con la straordinaria offerta di uguale dignità fatta da Monnet e Schuman a una Germania sconfitta.

Nessun altro paese europeo ha intrapreso un simile sforzo di riconciliazione dopo secoli di guerre fratricide; se in Unione europea (Ue) c’è la pace, è in primo luogo pace tra Francia e Germania. Tuttavia il sodalizio nato formalmente paritario, ma a guida francese, ha progressivamente cambiato natura ed è diventato sempre più asimmetrico a favore della Germania.

Del resto, i due paesi lo interpretano in modo molto diverso. La Francia attuale ha ereditato l’idea gollista che “politica europea” coincide con “politica tedesca” e confonde un legame privilegiato con un possibile duopolio.

De Gaulle disse sprezzante (parlava dell’Europa dei sei) che “la Francia e la Germania sono l’arrosto, l’Italia la salsa e gli altri le erbette”. I tedeschi hanno invece sempre giocato a tutto campo in Europa: con Parigi in primo luogo, ma anche con Londra e con tutti gli altri paesi.

Recentemente, con particolare attenzione ai nordici e ai nuovi membri dell’Europa centrale, in particolare la Polonia spesso trattata con condiscendenza dai francesi; pur restando fedele ai legami atlantici ha poi sviluppato una sua politica nazionale verso la Russia, cosa che non era riuscita alla Francia gollista.

Parigi ha sempre affrontato gli allargamenti con riluttanza e ha mancato di capire la nuova dimensione dell’Unione. Sono diventati più distanti, oltre all’economia, anche i sistemi politici: cancellieri stabili a Berlino e cambi di maggioranza a ogni elezione a Parigi.

Francia, nuovo malato d’Europa
Incapace di valutare appieno il prezzo pagato per l’atavica diffidenza verso la prospettiva sovranazionale, una parte dei francesi si sente beffata e, rifiutando la Germania, rifiuta l’Europa. L’altra parte continua a tenere gli occhi esclusivamente fissi su Berlino, ma con un crescente senso d’inferiorità.

Prostrata, apparentemente incapace di riformarsi, in crisi esistenziale e in serio pericolo di disfacimento politico, la Francia ora contende all’Italia il poco invidiabile titolo di “uomo malato” dell’Europa.

Una Germania priva di complessi, (troppo?) sicura di sé, fiera delle sue riforme strutturali, apparentemente immune dall’ondata di populismo dilagante, ma anche egemone riluttante deve conciliare i suoi molteplici obiettivi: consolidare l’eurozona, mantenere il Regno Unito legato all’Europa, ridefinire il rapporto con gli Stati Uniti e la Russia.

Almeno per il momento, il primo obiettivo sarà prioritario; lo sgomento con cui sono stati accolti i risultati francesi contribuirà a rinsaldare, non a indebolire il rapporto. Se crolla la Francia, crolla anche l’euro. Ogni sforzo sarà quindi fatto per aiutare Hollande a portare a termine le riforme annunciate, mai attuate e oggi ancora più difficili.

Il realismo pragmatico della Cancelliera dovrà spingerla verso un’evoluzione delle politiche europee. Quella economica innanzitutto nella direzione di una maggiore flessibilità, ma anche quella dell’energia in senso meno nazionalista e quella dell’immigrazione destinata a diventare più restrittiva ma anche (forse?) più solidale.

Infine la politica estera verso la Russia, condizionata dalla crisi ucraina, dalle esitazioni americane e dalle comprensibili angosce dei paesi dell’est.

Angela Merkel dovrà navigare fra numerosi scogli istituzionali. All’interno, la Corte costituzionale, la Bundesbank e un’opinione pubblica ancora troppo imbevuta di diffidenza verso i vicini. All’esterno, l’oggettiva impossibilità di procedere in tempi brevi a una riforma del trattato.

La grande incognita è se la Francia sarà capace di rispondere all’appello. Se così non fosse, gli scenari cambierebbero e Londra potrebbe sperare di ottenere quel rapporto privilegiato che ha invano cercato in passato.

Italia, addio complesso di Calimero
All’Italia si offre una straordinaria opportunità. Non per creare improbabili assi, ma per riacquistare un ruolo da protagonista. Ciò richiederà una molteplicità di strumenti. Abbandonando il nostro provinciale “complesso di Calimero”, dobbiamo avere idee chiare su ciò che si può ragionevolmente proporre. Non sarà facile; come ha notato Merkel uscendo dal Consiglio europeo, “tutti vogliono più crescita, ma ci sono idee diverse su come ottenerla”.

Inoltre, Roma dovrà stabilire un rapporto non episodico con gli altri membri del Consiglio europeo. La personalità di Renzi non basta. Sarà necessaria, anche oltre il semestre di presidenza, una squadra coesa e competente capace di dialogare a tutti i livelli.

Sarà poi importante stabilire un efficiente rapporto con le istituzioni. Nella Commissione, non scegliendo un rappresentante solo sulla base di considerazioni di politica interna. Nel Parlamento i nuovi eletti del Pd non possono accontentarsi del loro peso numerico nel gruppo socialista, ma dovranno anche essere assidui e concreti.

Infine, ci sono due ragioni per l’accoglienza trionfale avuta da Matteo Renzi al Consiglio europeo: la vittoria elettorale sui populisti e la percezione di una seria determinazione a portare a termine in Italia le riforme strutturali promesse. Per pesare in Europa è la seconda quella che conta.

.