Ai ferri corti sulla difesa antimissile
Il progetto di cooperazione Nato-Russia sulla difesa missilistica non è solo sospeso, è forse irrimediabilmente fallito. Eppure l’obiettivo del progetto era proprio quello di esorcizzare quei fantasmi del passato che la crisi ucraina rischia invece di risuscitare.
Dal vertice di Lisbona alla crisi ucraina
Al vertice di Lisbona del novembre 2010, la Nato decise di avviare lo sviluppo di una propria capacità di difesa missilistica e invitò la Russia a cooperare al progetto.
Il vertice Nato-Russia, tenutosi il giorno dopo il vertice Nato, fece ripartire la cooperazione per la difesa contro i missili ‘di teatro’ (essenzialmente, per proteggere le forze impegnate in operazioni) e decise anche di esplorare la possibilità di avviare una cooperazione nella difesa missilistica ‘di territorio’ (per proteggere anche le popolazioni).
Tre anni e mezzo dopo il vertice di Lisbona siamo in piena crisi con la Russia sull’Ucraina. Ad aprile i ministri degli esteri della Nato hanno condannato l’intervento militare illegale della Russia in Ucraina e congelato tutta la cooperazione civile e militare con Mosca, mantenendo aperti solo i canali del dialogo politico nell’ambito del Consiglio Nato-Russia a livello ambasciatoriale e ministeriale, ma non nei gruppi di lavoro.
Un progetto in crisi
La sospensione di qualsiasi forma di cooperazione pratica impedisce la continuazione del dialogo con la Russia sulla difesa missilistica. In realtà il progetto era da tempo in difficoltà: lo scorso ottobre, infatti, la Russia aveva chiesto di sospenderlo temporaneamente, e comunque il dialogo si era già inceppato parecchio prima.
Già nell’estate del 2012, pochi mesi dopo il vertice Nato di Chicago, la Russia aveva informato gli alleati di non essere interessata alla proposta Nato di creare due centri comuni Nato-Russia per sviluppare la cooperazione nella difesa missilistica.
Anche una seconda proposta della Nato di creare un regime di trasparenza sulle rispettive capacità di difesa missilistica non ebbe alcun seguito. Ci si impantanò sulle lezioni da trarre da una comune esercitazione di difesa missilistica di teatro, tenutasi a marzo 2012 in Germania.
Anche l’ipotesi di una cooperazione nella difesa missilistica di territorio, di cui si era iniziato a discutere due anni prima, fu accantonata. Dopo varie bozze di documento – ne circolarono due dozzine – alla fine il documento fu riposto nel cassetto.
Preoccupazioni russe
La preoccupazione di fondo espressa dalla Russia dal 2011 in poi era che la difesa missilistica della Nato potesse indebolire il suo deterrente nucleare. Ma era davvero così?
Per mesi si cercò di capire come si potesse pensare che poche dozzine di intercettori SM3 1A, 1B e 2A in Europa sarebbero stati in grado di raggiungere velocità tali da distruggere i missili intercontinentali russi.
Per un certo tempo la Russia continuò a sostenere di essere preoccupata della dimensione europea del progetto di difesa antimissili, ma a partire dal 2012 chiarì che la sua vera preoccupazione non era legata tanto al progetto Nato, ma a quello di difesa missilistica ‘globale’ portato avanti dagli Stati Uniti – anche in Asia, e perciò sul lato orientale della Russia.
Infine emerse che le preoccupazioni della Russia sul futuro del proprio deterrente nucleare non riguardavano solo la difesa missilistica, ma anche il parallelo sviluppo di altre capacità strategiche da parte degli Usa, da quelle convenzionali a quelle spaziali, in grado di colpire ovunque (ConventionalPrompt Global Strike).
Visto in quest’ottica, il dibattito sulle presunte velocità di alcuni intercettori SM3 posizionati in Europa non toccò il vero nocciolo della preoccupazione russa e fu perciò, in un certo senso, artificiale.
La proposta di Mosca
In questi anni si è anche dibattuto della proposta russa di creare un sistema di difesa missilistica comune.
A Lisbona il presidente russo Medvedev propose di sviluppare un tale sistema comune con responsabilità settoriali, nel quale la Russia avrebbe fra l’altro avuto la responsabilità di difendere i paesi baltici alleati – cosa quest’ultima tutt’altro che gradita ai diretti interessati che preferiscono di gran lunga essere protetti dall’Alleanza in base all’articolo 5 del Trattato di Washington.
Gli Stati Uniti e la Nato risposero che la via da esplorare non era tanto quella di un sistema comune, ma quella di due sistemi separati, ma coordinati, e quindi di beneficio reciproco. Negli anni successivi, Mosca mise in chiaro che intendeva difendere da sè il suo territorio nazionale.
Ma è possibile creare dei sistemi di difesa comune senza accettare l’idea di affidarsi ad altri per la propria sicurezza nazionale? La risposta è negativa. Ecco perché anche il dibattito sul sistema comune fu in un certo senso artificiale.
Solo briciole per Mosca
In queste condizioni, e tenendo conto della mancanza di fiducia che si era instaurata in Russia perlomeno dai tempi dell’abbandono del trattato Abm da parte degli Stati Uniti nel 2002, l’impresa di trovare un accordo ‘a 29’ divenne proibitiva.
Vani furono i tentativi di rassicurare la Russia con dichiarazioni politiche e visioni di una nuova partnership strategica.
A Chicago nel 2012 i più alti vertici politici della Nato dichiararono solennemente che la difesa missilistica dell’alleanza non era diretta contro la Russia e che non ne avrebbe ridotto il deterrente strategico, ma Mosca restò sulle sue posizioni: continuò a chiedere rassicurazioni legali che gli Stati Uniti non erano disposti a prendere in considerazione, anche perché vi videro un tentativo di riportare in vita il trattato Abm.
Nell’estate del 2012 Mosca si irrigidì ulteriormente, iniziò a ritirarsi gradualmente dai vari progetti ancora in corso, e rifiutò di discutere le nuove proposte della Nato sulla creazione di centri di difesa missilistica comuni e su un regime di trasparenza.
Per Mosca quello che l’Occidente offriva non erano che briciole. Peccato, perché, iniziando dalle briciole, avremmo potuto con il tempo arrivare a piatti ben più sostanziosi.
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