Voto illegittimo, ma utile al regime di Damasco
I seggi devono ancora aprire, ma si conosce già il nome del vincitore, Bashar al Assad. Il successo alle urne non servirà però a legittimarlo dinnanzi ai suoi avversari interni né agli occhi della comunità internazionale.
Sia le Nazioni Unite che gli “Amici della Siria” hanno chiaramente disconosciuto la legittimità e il senso stesso di un’elezione che si svolge nelle condizioni in cui oggi è la Siria. Tuttavia, il risultato elettorale permetterà ad Assad di rafforzarsi presso le minoranze del paese e presso quegli ambienti occidentali che lo vedono come un alleato “oggettivo” nella lotta al “terrorismo”, quindi di dividere e indebolire l’azione già debole dell’Occidente.
Mentre dal punto di vista militare vittorie e sconfitte si alternano nelle diverse regioni del paese su fronti sempre più frammentati (i ribelli, il regime, i curdi e, ora, gli jiahisti di Isil oltre quelli di al-Qaida), il passaggio delle elezioni è un’occasione per fare un breve bilancio e riflettere sulla politica dell’Occidente e degli “Amici della Siria”.
Amici della Siria
Il confitto, nato come rivolta antiautoritaria popolare, è diventato via via più complesso a causa della frammentazione delle opposizioni al regime e delle sue forti connessioni regionali e internazionali.
Un intervento più deciso al suo inizio avrebbe probabilmente consentito l’aggregazione di un’opposizione più coesa e impedito, o almeno limitato, la pesante interferenza geopolitica che si è invece verificata. A tre anni dallo scoppio del conflitto, nessun intervento diretto sembra ormai utilmente praticabile. La guerra è destinata a durare, sia per i veti incrociati a livello internazionale, sia perché i contendenti possono tutti negarsi la vittoria, ma nessuno è in grado di coglierla.
Secondo valutazioni largamente condivise, anche ove intervenisse una qualche forma di soluzione, il conflitto e le sue conseguenze sono destinate a protrarsi per almeno un decennio. Occorre quindi anche una strategia di stabilizzazione nel lungo termine.
In queste condizioni, la strategia scelta dai membri occidentali del core group degli “Amici della Siria”, fra cui l’Italia, è in generale di limitazione dei danni sia in Siria sia nella regione (i conflitti politici provocati nella regione dalla guerra civile in Siria; i problemi di tracimazione delle tendenze jihadiste/salafite nella regione, ma anche a livello internazionale).
I membri non occidentali (la Turchia e gli arabi) invece agiscono in una prospettiva di “vittoria”, mantenendosi tuttavia in limiti di compatibilità con le politiche dei membri occidentali. In questo quadro, l’Occidente fornisce alle componenti moderate e democratiche dell’opposizione essenzialmente un aiuto politico-diplomatico e umanitario.
I paesi occidentali lavorano per una soluzione politica, anche se nei fatti l’orizzonte di tale soluzione resta indefinito e le sue condizioni appaiono spesso poco chiare (come quando sembra emergere una coincidenza di interessi fra alcuni membri occidentali del core group e il regime di Assad in tema di “lotta al terrorismo”).
Opposizione ad Assad divisa
Posto che, malgrado le agitazioni di qualche membro del core group, come la Francia, la strategia non può allo stato dei fatti trasformarsi in un più diretto intervento, le politiche da perseguire sembrano due: (a)incentivare e favorire una maggiore coesione fra le opposizioni sia nella dimensione politica che in quella militare (il che richiede una migliore identificazione della linea che separa le organizzazioni salafite “leggere” da quelle “pesanti”, queste ultime in pratica sovrapponendosi a quelle jihadiste); (b) razionalizzare gli sforzi e l’assistenza ai “vicini” onde evitare troppi effetti di tracimazione, specialmente del jihadismo, e sostenerli nella gestione dei rifugiati.
Occorre poi inquadrare tutto questo in un piano a lungo termine di assistenza socio-economica in vista delle conseguenze che il conflitto è destinato a provocare anche dopo la sua soluzione diplomatica.
Profughi e rifugiati siriani in Europa
Per quanto riguarda più specificamente i paesi europei, queste linee di politica, a breve, medio e lungo termine, dovrebbero trovare precisi riscontri a livello della Pesc e delle altre politiche europee, in particolare si dovrebbe mettere in piedi un programma più specifico per la ricezione dei profughi e dei rifugiati siriani in Europa.
Questo significa un adattamento degli accordi sui rifugiati, che forse, alla luce dl panorama che è emerso dalle elezioni del Parlamento Europeo del 25 maggio scorso, potrebbe essere più difficile di quanto già è oggi.
Non solo si sono rafforzati i nazionalisti e quelli che genericamente vengono chiamati populisti, ma anche le forze europeiste di maggioranza (il Ppe) sono divise fra quelli che vorrebbero reagire spingendo avanti coesione e integrazione e quelli, come la Germania, che non vogliono invece rischiare che emerga una solidarietà che poi li impegni sul piano economico e finanziario.
Nel complesso, perciò, benché prudente e moderata, la politica occidentale verso la Siria si preannuncia tutt’altro che facile. Anche le assurde elezioni siriane potranno tornare di grande utilità a Bashar e ai suoi alleati.
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