G7 Energia e crisi ucraina
Oggi e domani si terrà a Roma il G7 Energia, che sarà guidato dal ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi. Nel pieno della crisi in Ucraina, l’incontro riflette la necessità dell’Europa di accelerare l’integrazione in ambito energetico, ed in particolare di trovare un approccio condiviso sul tema della sicurezza degli approvvigionamenti.
Considerate le divergenze tanto a livello europeo che in sede transatlantica, l’incontro dei ‘sette grandi’ rappresenta un’importante occasione per effettuare una valutazione comune delle priorità in materia energetica, per definire le principali criticità e per proporre soluzioni concrete per far fronte alle perduranti minacce alla sicurezza energetica.
Il nodo russo
Molto, ovviamente, gira attorno alla questione russa. Mosca infatti garantisce il 30% dei consumi di gas europei, oltre la metà dei quali transitano attraverso il territorio ucraino. Alla luce di questi dati, è credibile che l’Unione europea (Ue) – in caso di conflitto bellico o come risultato dell’inasprimento delle sanzioni internazionali – possa rinunciare alle forniture di Gazprom?
Le posizioni nel gruppo dei paesi occidentali, a riguardo, sono estremamente eterogenee. Washington, forte della sua non-dipendenza energetica da Mosca, è chiaramente a favore di approccio risoluto nei confronti del Cremlino. Dal canto loro, i paesi europei – seppur con motivazioni e intensità differenti – sono più caute nell’affrontare la questione russa.
Per alcuni di essi, infatti, uno scontro frontale potrebbe avere ripercussioni drammatiche sul fronte energetico. È il caso della Germania e dell’Italia, i cui legami economici con la Russia vanno ben oltre le questioni energetiche; o dei paesi dell’Europa centro-orientale, quasi completamente dipendenti dal gas di Mosca.
Nel medio-periodo, infatti, in caso di blocco totale delle forniture russe, pur massimizzando le importazioni dai fornitori tradizionali (Norvegia, Algeria e Libia) e dal mercato Lng (Liquefied natural gas), i consumi di questi paesi sarebbero a forte rischio.
In questo contesto, la posizione italiana appare ambigua. Secondo recenti indiscrezioni, proprio mentre l’Austria si accorda con Gazprom per la realizzazione di South Stream, il governo italiano starebbe frenando sul progetto, per concentrarsi su Tap e Itgi.
Partendo dal presupposto che i progetti non sono mutualmente escludenti, resta da chiedersi quali siano le intenzioni del governo (e della nuova dirigenza di Eni) nei confronti di un partner strategico come la Russia, e se ritengano davvero possibile un futuro prossimo senza le forniture russe.
L’opzione Usa
Nel corso della crisi ucraina, gli Stati Uniti hanno più volte offerto il loro gas naturale all’Europa per limitare l’impatto di un’eventuale sospensione degli approvvigionamenti russi. Il gas made in USA, si è detto, potrebbe permettere ai partner europei di affrancarsi dalla dipendenza da Gazprom. In realtà, il contributo americano alla sicurezza degli approvvigionamenti europei sarebbe decisamente meno significativo di quanto proclamato.
Innanzitutto, in termini di volumi disponibili: sebbene gli Usa diventeranno esportatori netti, il gas destinato ai mercati internazionali nel 2018, data in cui dovrebbero entrare in funzione i primi terminal di liquefazione americani, sarà alquanto limitato.
Certamente non sufficiente a rimpiazzare i 135 Bcm attualmente importati dalla Russia (anche assumendo che a pieno regime le attuali infrastrutture europee, terminal Lng esclusi, potranno garantire altri 50 Bcm circa).
La questione dei prezzi rappresenta un ulteriore fattore di incertezza. Oggi, secondo le logiche di mercato, il gas americano troverebbe il suo sbocco naturale sui mercati asiatici, che pagano all’incirca 5 dollari/Mbtu in più rispetto agli hub europei.
In questa situazione, o le già zoppicanti economie europee sono pronte a competere sui prezzi (a patto che si trovi un accordo sul Transatlantic Trade and Investment Partnership, Ttip) con le tigri asiatiche, o è necessario definire (improbabili) meccanismi politici che incentivino gli esportatori americani a vendere il loro gas, sottocosto, in Europa.
In queste condizioni, l’allineamento incondizionato alle scelte e agli interessi americani può rivelarsi rischioso per l’Europa, e in particolar modo per l’Italia. Durante il G7 il nostro governo non potrà evitare di sottolineare l’asimmetria nelle posizioni dei partner atlantici, e far notare che le garanzie fornite dagli Sati Uniti ai partner europei sembrano oggi (così come nel medio periodo) non del tutto sufficienti.
Tap e le altre priorità
Cosa fare, dunque, durante questo G7?
Innanzitutto, l’incontro rappresenta un’opportunità per fare chiarezza sulla strategia energetica del nostro paese, contestualizzandola al contempo nello scenario europeo. L’Italia sarà chiamata a dare un segnale chiaro sulla sua affidabilità come partner energetico internazionale, soprattutto in seguito ai rallentamenti nella realizzazione del gasdotto Tap.
Infatti, le lungaggini amministrative in cui si è imbattuto il progetto non aiutano il nostro paese a presentarsi come attore affidabile nei confronti dell’Azerbaijan e del consorzio Shah Deniz II, che lo scorso dicembre hanno deciso di investire circa 28 miliardi di dollari con l’obiettivo di esportare il proprio gas in Italia.
Se si aggiunge al congelamento del progetto Tauern Gas Leitung (Tgl) tra Italia e Germania, un’eventuale uscita di Tap dal nostro paese sarebbe un duro colpo non solo in termini di sicurezza degli approvvigionamenti, ma anche per le ambizioni del nostro paese di trasformarsi nell’hub europeo del gas e di giocare un ruolo di motore continentale in ambito energetico.
Solo se credibile, l’Italia potrà farsi promotrice – prima al G7 e poi in seno all’Ue – di una politica energetica europea integrata e rafforzata, dove la realizzazione di infrastrutture transfrontaliere e interconnessioni avrà un ruolo fondamentale nel garantire meccanismi di solidarietà tra i membri dell’Unione. Se non riuscirà a raggiungere gli obiettivi (che ormai sembravano acquisiti) in casa propria, è difficile che il nostro governo potrà ritagliarsi un ruolo di primo piano a livello europeo.
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