Ritorno a Mogadiscio
Responsabilità condivisa e local ownership sono le parole d’ordine del processo di stabilizzazione somalo iniziato dopo la fine del Governo federale di transizione, Gft, e l’insediamento di un nuovo parlamento democraticamente eletto nel 2012. Tuttavia, la Somalia è solo all’inizio. Il lungo percorso per uscire dalla crisi richiede impegno e prudenza.
Comunità internazionale impegnata
Il cammino da seguire appare duplice: rafforzare le forze di sicurezza somale e creare le condizioni per riavviare l’economia. I 50 stati riunitisi alla Conferenza internazionale sulla Somalia – presieduta da Mogadiscio e Gran Bretagna il 7 maggio a Londra – hanno confermato il sostegno al governo somalo. Al contempo hanno ribadito la necessità di coordinamento e di sviluppo economico, sottolineando l’importanza della creazione di apparati capaci di fornire servizi alla popolazione.
Si assiste quindi a un ritorno della comunità internazionale in loco. Le Nazioni Unite hanno lanciato una missione di assistenza in Somalia – United Nations Assistance Mission in Somalia – per assistere il governo nella riforma del settore della sicurezza e nell’istituzione di un sistema federale nonché di coordinamento internazionale.
La missione dell’Unione europea è invece quella di addestrare le forze di sicurezza somale, aprendo una sezione a Mogadiscio. Molti paesi, tra cui l’Italia, hanno poi annunciato di aprire loro ambasciate nella capitale.
Approccio calibrato
Fondamentale per la stabilizzazione è l’azione del governo di Mogadiscio che il 14 maggio scorso ha avviato l’adozione del New Deal, un’iniziativa politica modellata sulle esigenze locali, sulla cooperazione e sulla responsabilità delle popolazioni interessate. La natura del conflitto e le varie vicende del Gft hanno dimostrato come la realtà socio-politica somala sia mutevole. Un approccio calibrato che affronti le diverse realtà locali senza perdere la visione d’insieme potrebbe quindi garantire interventi efficaci e sostenibili.
La ricostruzione dello Stato somalo implica rafforzare un federalismo attualmente poco convincente. Il governo federale non ha ancora il controllo esclusivo del territorio e si continuano ad avvertire spinte indipendentiste. Esistono poi situazioni socio-economiche molto diverse.
Costruire uno Stato è conveniente in termini economici, sociali e geopolitici. La sfida è quella di convincere la popolazione a farlo. Compito sicuramente non facile dato che instabilità significa attività illegali remunerative e convenienti per numerosi attori locali ed internazionali.
La riconciliazione passa anche per la decostruzione di alternative illegittime ad un dialogo politico, sociale ed economico democratico ed inclusivo. È quindi necessario un approccio bottom-up che riparta dal livello locale per ristabilire una fiducia tra gruppi sociali logorata dalla guerra.
Quattro imperativi
A causa di una rottura dei meccanismi tradizionali di legittimità sociale, per lungo tempo la violenza ha legittimato il potere politico. È ora necessario definire a chi spetta tale legittimità. La scelta di includere gli anziani, autorità appartenenti ai diversi clan, nella selezione dei candidati per il parlamento ha permesso di includere elementi di legittimità sociale tradizionale.
In secondo luogo, importante sarà il ruolo della diaspora che rappresenta, potenzialmente, la classe media attualmente quasi completamente assente dalla Somalia. In un paese che ha bisogno di ricostruire tutti i suoi apparati, questa è una ricchezza inestimabile.
In aggiunta, bisognerà considerare i giovani. Al-Shabaab – letteralmente Gioventù – ha capitalizzato sulla mancanza di prospettive delle nuove generazioni. La rottura tra Islam moderato e Islamismo è diventata una frattura generazionale che deve essere ricucita affinché i giovani diventino la priorità per garantire un futuro al paese.
Infine serve investire in istruzione e informazione. Queste possono contribuire allo sviluppo della società civile e costituire un importante slancio per una riconciliazione a più livelli e per la promozione dei diritti umani. Le prime a beneficiarne potrebbero essere le donne che a causa della guerra si sono viste negate il diritto all’istruzione.
Iniziative avviate dall’Italia come l’educazione a distanza, la creazione di una Web tv e la pubblicazione da parte dell’Università Roma Tre di un dizionario somalo sono esempi di cooperazione culturale. Probabilmente, seguendo un recente sondaggio delle Nazioni Unite sui mezzi di comunicazione maggiormente utilizzati in Somalia, si potrebbero ora sostenere emittenti radiofoniche locali grazie alle quali è possibile raggiungere anche zone più remote del paese.
La responsabilità primaria risiede nel popolo e nel governo somali, ma la comunità internazionale può ancora fare tanto.
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