IAI
Transatlantic Trends 2013

In Europa è ancora Obamania

18 Set 2013 - Mario Del Pero - Mario Del Pero

Questo nuova, dettagliata radiografia delle relazioni transatlantiche presenta dati in parte scontati, ma anche qualche rilevante sorpresa. Colpisce, innanzitutto, la persistente – in certa misura rinnovata- forza dell’atlantismo come discorso e finanche ideologia. Simboleggiata bene dall’idea che il vero denominatore tra i paesi europei e gli Stati Uniti, ciò che caratterizza e giustifica l’alleanza atlantica, sia la loro natura democratica: il loro costituire una “comunità di democrazie”. Un elemento che unisce le diverse parti dello spazio transatlantico, ma – quanto meno nelle percezioni e rappresentazioni – le separa e allontana da chi non appartiene a tale spazio.

Dividendo Cina
Particolarmente rilevante è la marcata ostilità degli europei nei confronti della Cina e la preoccupazione nei confronti della sua ascesa. Nell’Unione europea, solo il 30% degli intervistati ha un’opinione positiva del gigante cinese e appena il 26% ritiene desiderabile una leadership internazionale di Pechino. Soprattutto per quanto concerne la dimensione economica, la Cina è concepita più come minaccia che come partner potenziale.

Sembra esservi un chiaro elemento di pregiudizio in queste posizioni anti-cinesi. Agisce però anche una differente prospettiva geopolitica, che allontana Stati Uniti ed Europa. Mentre i primi sono più globali e, quindi, anche asiatici, l’Europa è chiusa entro uno spazio vieppiù atlantico.

Il ri-orientamento delle priorità geopolitiche statunitensi verso l’Asia e il Pacifico è dato noto e spesso esagerato. Vi convergono fattori economici e strategici, pressioni contrastanti verso l’integrazione (le interdipendenze commerciali e finanziarie) e il conflitto (la crescente competizione regionale con la Cina).

Il dato rilevante è che l’opinione pubblica statunitense sembra avere sempre maggiore consapevolezza di questa svolta, al punto da ritenere Giappone, Corea del Sud e Cina – i tre paesi asiatici con i quali maggiori sono le interdipendenze economiche di Washington – più rilevanti per l’interesse nazionale rispetto all’Europa.

Su questo abbiamo una prima, profonda asimmetria transatlantica, visto che gli intervistati europei giudicano invece a larga maggioranza (64 a 27) gli Stati Uniti più importanti dell’Asia. Molto banalmente, quindi, Bruxelles guarda oggi agli Stati Uniti assai di più di quanto questi non guardino al vecchio continente.

Desiderio di leadership statunitense
Un dato, questo, evidenziato anche da due voci storicamente centrali nei Transatlantic Trends: quelle relative alla desiderabilità della leadership degli Stati Uniti e all’immagine che di essi ne hanno i cittadini europei. Nella profonda frattura transatlantica post-2002, questi due indicatori segnalarono in modo inequivoco il tracollo del prestigio degli Stati Uniti in Europa.

Un tracollo che molti commentatori ritennero allora strutturale e in una certa misura definitivo, destinato ad accompagnarsi all’ineluttabile riduzione dell’influenza statunitense nel (e sul) vecchio continente.

Con l’elezione di Barack Obama, questa tendenza è stata rovesciata: nel 2013 il 55% degli europei ritiene “desiderabile” la leadership mondiale degli Stati Uniti (era il 36% nel 2008); il 69% ha un’opinione favorevole dell’azione internazionale degli Stati Uniti (nel 2008, appena il 20% degli intervistati europei approvava l’operato dell’allora presidente George W.Bush).

Tra il 2009 e oggi, il desiderio europeo di leadership statunitense è rimasto immutato. È sceso, dal 77 al 69%, il giudizio positivo sulla politica estera degli Usa. Ma non vi è stato un crollo; al contrario l’entusiasmo europeo per Obama rimane ancor oggi straordinariamente alto, in termini assoluti e relativi (negli Stati Uniti tale giudizio si attesta al 50%, circa venti punti in meno che in Europa).

Uso della forza
Se dal generale di tale politica estera si passa al particolare dei suoi singoli aspetti e metodi, questo dato è ancora più importante. Su di essi, e soprattutto sulla possibilità di utilizzare la forza in contesti di crisi internazionale, i dati si capovolgono, evidenziando un’altra, significativa frattura transatlantica, operativa e di principio.

Prendiamo ad esempio una delle pratiche più controverse dell’amministrazione Obama: l’utilizzo degli aerei droni nel programma di eliminazione mirata di terroristi o sospetti tali. L’Europa così entusiasticamente filo-obamiana dà un giudizio severo di tale pratica. L’America – sulla carta assai meno Obama-entusiasta – approva invece a maggioranza ampissima (il 71%) l’uso intenso, e talora spregiudicato, dei droni.

Dati simili erano emersi nei Transatlantic Trends degli anni passati, anch’essi contraddistinti da un rilevante scarto tra il giudizio generale degli europei su Obama e sulla sua politica estera (estremamente alto) e quello, assai più negativo, su specifici aspetti di tale politica e sull’uso della forza in particolare.

E questo rivela una volta ancora la persistenza di un fenomeno – l’infatuazione europea, spesso acritica e contraddittoria, per Obama e per quel che rappresenta –non semplice da spiegare e sul quale presumibilmente si eserciteranno legioni di studiosi negli anni a venire.

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