Avversari senza dialogo
L’Egitto ricade nel vortice della violenza. Quanti si oppongono al ritorno del deposto presidente islamista Mohammed Mursi sono la maggioranza, ma i suoi sostenitori sono pronti lottare fino alla morte.
La forza con la quale i militari vogliono disperdere gli islamisti è anacronistica e pericolosa; il pacifismo evocato dalla Fratellanza una maschera che non riesce a nascondere le armi utilizzate per scatenare l’altrettanta violenza che ha contribuito a incendiare il paese.
La polarizzazione e l’incapacità al compromesso che hanno caratterizzato la presidenza Mursi hanno portato a uno scontro frontale che danneggia in primis la popolazione, ma anche l’instaurazione di una democrazia liberale.
Anche se fino ad ora è stato l’esercito a confrontarsi con i sostenitori del deposto presidente, gli assalti ai luoghi di culto cristiani e i costanti discorsi di chi spera di riuscire a “pulire” il paese dagli islamisti mostrano il rischio di una escalation di violenza civile.
Inclusione prima, democrazia poi
In un contesto di democrazia non consolidata, è sul concetto di inclusione che si devono concentrare quanti cercano un’uscita dalla crisi.
Anche se tutte le mediazioni tentate non hanno portato risultati, è essenziale che le parti, a partire dal nuovo governo, si sforzino sinceramente per negoziare una rapida cessazione della violenza che metta da parte i progetti propri di ciascuna fazione.
Anche se le vicende degli ultimi giorni non sembrano andare in questa direzione, l’esercito dovrebbe facilitare una transizione inclusiva che coinvolga tutte le parti in causa, sperando che le dinamiche dell’Egitto portino a un evoluzione simile a quella della Turchia di fine anni ‘90.
Per conservare il sostegno della maggioranza della popolazione, i militari devono evitare atti di violenza come quelli degli ultimi giorni che iniziano a portare defezioni all’interno del fronte dei suoi sostenitori.
A Mohammed El-Baradei, da luglio vice premier del nuovo governo, è stato affidato il compito di spiegare al mondo intero che quello in Egitto non è stato un golpe, ma semplici dimissioni di un premier.
Ancora una volta, dopo aver eliminato il nemico comune, il fronte che ha portato al rovesciamento del governo Mursi rischia quindi di spaccarsi. In questo fronte confluiscono liberali, giovani, copti ed ex mubarakiani con idee diverse circa il ruolo che spetta ai militari.
Difficilmente il sostegno di cui gode ora l’esercito sarà illimitato. A mostrarlo è anche la ricomposizione del vecchio fronte di opposizione al regime militare, nel quale inizia a confluire l’anima giovanile del Tamarrod, la campagna che ha organizzato la prima manifestazione per la deposizione di Mursi.
Rischio scenario algerino
Anche se l’Islam politico sembra più compatto, è comunque un attore variegato e molto dipenderà dall’evoluzione delle sue dinamiche interne. I salafiti, islamisti su posizioni più conservatrici, hanno da subito accettato il piano dei militari e anche se adesso condannano la violenza, difficilmente faranno passi indietro, visto l’aumento del loro peso politico.
Anche senza un ritorno di Mursi, l’islam politico sarà una componente rilevante dello spettro politico egiziano ed è difficile pensare che accetti un ritorno alla clandestinità.
Tanto i sondaggi condotti nelle ultime settimane che la mappa delle recenti manifestazioni mostrano che gli islamisti sono contestati anche nelle loro roccaforti. Le immagini di violenza contro i loro affiliati potrebbero far guadagnare qualche voto, ma per recuperare i consensi persi nell’ultimo anno sarà necessaria una riflessione interna che coinvolga l’ala più riformista e quella giovanile che chiedono di essere incluse nelle dinamiche politiche.
I rischi derivanti da un’eventuale uscita della Fratellanza dal percorso democratico sono elevati. Le posizioni più estremiste potrebbero prendere il posto di quelle più moderate, riproponendo uno scenario simile a quello algerino degli anni’90.
Dalle piazze ai palazzi
Tra questi due fronti che lottano per il potere, si trova la maggioranza della popolazione, favorevole a un compromesso, ma incapace di influenzare significativamente il corso degli eventi.
Le manifestazioni con le quali milioni di cittadini hanno chiesto l’uscita di scena di Mursi hanno confermato che il popolo è pronto a mobilitarsi e che tale mobilitazione sta diventando uno strumento di legittimità per quanti vogliono gestire le dinamiche del paese.
La vera sfida è quella di riuscire a convertire le manifestazioni di strada in una pratica politica che accetti e consolidi le regole del gioco democratico, anche quando portano a risultati sgraditi, rifiutando pericolose scorciatoie che implicano l’aiuto di chi si serve della legittimazione popolare per realizzare i propri progetti.
La nuova fase della transizione egiziana non sarà né breve, né priva di conflitti. Sbagliato però pensare che l’Egitto sia al punto di partenza. Se i militari non mantenessero le loro promesse, dovrebbero affrontare le folle pronte e abituate a scendere in strada.
Per garantire sicurezza, mettendo fine al caos che governa le città egiziane, l’esercitò dovrebbe capire che il paese non si stabilizza premendo il grilletto delle pistole.
Entrambe le parti devono comprendere che non possono andare avanti da sole e che aprire il fuoco sull’avversario non è il modo per arrivare a elezioni realmente democratiche.
Per fare uscire l’Egitto dal vortice di violenza sempre più profondo, gli attori in campo devono unire le energie e focalizzarsi sugli interessi della popolazione ignorati prima dal vecchio regime e poi da quanti l’hanno sostituito alla guida del paese.
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