Guerra dell’acqua tra Egitto e Etiopia
L’Egitto è nuovamente in transizione. Mentre il premier Hazem Beblawi cerca di formare il nuovo governo, il suo vice, Mohammed el-Baradei, inizia a lavorare sui dossier internazionali. Oltre alle relazioni con l’Occidente, el-Baradei dovrà anche pensare a quelle con i vicini africani, a partire dall’Etiopia.
Prima di essere deposto dai militari, l’ex presidente Mohammed Mursi aveva infatti iniziato una vera e propria guerra per l’acqua con Addis Abeba. Il casus belli? L’avvio, a fine maggio, dei lavori per la deviazione delle acque del Nilo blu. La diga Renaissance che Addis Abeba ha iniziato a costruire rischia infatti di ridurre in misura sostanziale il flusso delle acque verso gli altri nove paesi attraversati dal Nilo, in primis Egitto e Sudan.
Storica diatriba
La controversia sulla distribuzione dell’acqua del Nilo – circa 90 milioni di metri cubi annui – è già stata affrontata da Egitto, Sudan e Gran Bretagna nel 1929. L’accordo firmato in quell’anno assegnava al Cairo 48 milioni di metri cubi di acqua, mentre a Khartoum ne andavano quattro.
Dopo l’indipendenza sudanese e mentre l’Egitto cercava fondi per costruire la Grande diga di Assuan – la seconda dopo quella terminata nel 1902 dai britannici – questi accordi hanno avuto bisogno di una revisione. Nel 1959, Egitto e Sudan hanno infatti concordato di spartirsi equamente 10 miliardi di metri cubi d’acqua fatta confluire nel Lago Nasser. Al primo spettano poi 55.5 miliardi di metri cubi annui – due terzi di quelli portati ad Assuan – mentre al secondo il rimanente terzo, ovvero 18.5 miliardi.
Così facendo questi due paesi hanno messo le mani sulle acque del Nilo, escludendo di fatto dalle trattative l’Etiopia che ha da subito rivendicato i suoi diritti su quell’acqua che nasce anche sul suo territorio. L’eredità di questi accordi? Potenziali conflitti non solo tra Sudan, Egitto ed Etiopia, ma anche con gli altri sei paesi attraversati dal Nilo. Nel 1997 anche le Nazioni Unite hanno affrontato la questione attraverso una Convenzione, ma neanche questa è riuscita a sciogliere i principali nodi legali.
Sogni etiopici
È anche per questo che nel 2011 l’Etiopia ha annunciato il suo progetto di costruzione di una diga in grado di produrre oltre seimila megawatt di energia per sé e per i vicini, compreso il neonato Sud Sudan. Tra i principali costruttori compare anche il gruppo italiano Salini. Qualora venisse completata, la diga sarà la più grande centrale idroelettrica dell’Africa e creerà il più esteso lago artificiale dell’Etiopia, con una capacità di 63 miliardi di metri cubi d’acqua.
Per contenere le smanie di Addis Abeba di trasformarsi in un hub dell’energia continentale, già l’Egitto di Mubarak aveva iniziato le negoziazioni. L’ultimo incontro tra le parti si era tenuto proprio il 25 maggio, quando Egitto ed Etiopia avevano raggiunto un accordo per “proseguire nelle attività di coordinamento per la questione del Nilo blu, impegnandosi a non danneggiarsi reciprocamente”. L’intesa prevedeva l’istituzione di una commissione mista tra Egitto, Etiopia e Sudan per discutere il progetto etiopico. L’annuncio di Addis Abeba ha però azzerato tutto, suscitando la viva preoccupazione degli altri due paesi e mobilitando la diplomazia cairota.
Solo la via diplomatica
Se, da un lato, i partiti di quella che fino al 3 luglio scorso era l’opposizione egiziana hanno l’occasione di mettere in luce l’incapacità governativa della dirigenza islamista, dall’altro quest’ultima ha cercato di contenere gli eccessivi allarmismi, trattando con la controparte etiope.
Grazie alla creazione di una commissione tripartita che comprende anche il Sudan, l’Egitto ha tentato di capire quale potrebbe essere l’effettivo impatto della realizzazione della diga. Il rapporto di questa commissione non ha però soddisfatto il Cairo e l’ex presidente Mohammed Mursi ha convocato a raccolta anche alcuni membri dell’opposizione per decidere le mosse da compiere. Questo incontro, però, non ha fatto che aggravare la crisi diplomatica. Non sapendo di essere in diretta sulla televisione di stato, alcuni partecipanti hanno infatti pronunciato frasi fuori luogo che non sono piaciute ad Addis Abeba.
Gaffe a parte, in Egitto non vi è neanche una comune percezione della effettiva gravità della questione e l’ex governo islamista non si è mostrato eccessivamente preoccupato.
Secondo Hani Raslan, responsabile dell’unità di ricerca Nile Basin al centro cairota di studi politici e strategici di Al-Ahram, la costruzione della diga avrebbe però effetti devastanti sull’Egitto e sulla sua sicurezza. È proprio per questo che Hamdeen Sabbahi, nazionalista arrivato terzo alle ultime presidenziali, propone di punire quanti sostengono, anche finanziariamente, il progetto etiope. Secondo Sabbahi, alle navi che provengono da questi paesi dovrebbe essere impedito il transito lungo il canale di Suez. Nelle file dei salafiti, gli islamisti più radicali, c’è chi, come sheikh Abdel-Akher Hammad della Gamaa Al-Islamiya, descrive l’azione etiope come una vera e propria dichiarazione di guerra.
Fino ad ora il governo però non ha avuto dubbi. La questione deve essere risolta per via diplomatica. L’Egitto stretto dalla crisi economica non potrebbe mai pensare a un intervento militare che fermi la costruzione, soprattutto dopo aver scoperto che il Sudan – il cui regime non ha mai nascosto di essere a favore degli islamisti egiziani – è piuttosto accomodante nei confronti dell’Etiopia.
Per aumentare le piste di negoziazione, Mursi chiese anche l’aiuto di Tawdros II, il nuovo papa della chiesa copta. Vista la relazione con la chiesa etiope, il compito di Tawdros sarebbe quello di convincere Addis Abeba a trovare una soluzione che soddisfi entrambi le parti, mettendo la parola fine a una diatriba difficile da gestire per un paese occupato nella sua complessa transizione.
Con l’uscita di scena di Mursi, l’Unione africana ha accusato i militari di essere dei golpisti, espellendo l’Egitto dal suo circolo. Questo potrebbe costringere El-Baradei a rivedere la tattica egiziana, visto che la decisione dell’Unione rischia di indebolire la posizione del Cairo nei confronti dell’Etiopia.
Sul dossier però nessuno si è ancora pronunciato. Secondo alcune indiscrezioni, Addis Abeba potrebbe anche pensare di approfittare di questo complesso momento egiziano per allungare il passo sulla costruzione. Con i militari nuovamente sulla scena, a voler testare nuovamente il terreno però è anche l’Etiopia.
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