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Rivolte e maggioranza silenziosa

Le due anime della Turchia

18 Giu 2013 - Emanuela Pergolizzi, Nathalie Tocci - Emanuela Pergolizzi, Nathalie Tocci

Mentre nel cuore di Istanbul proseguono gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, dal quartiere periferico di Kazl?çe?me il primo ministro Recep Tayyip Erdo?an torna domenica 16 giugno ad infiammare le piazze.

Con una manifestazione preparata da giorni, il premier turco mostra il volto dell’ “altra Turchia”, finora lontana dalle piazze, ma che l’ha sostenuto per oltre un decennio, con una percentuale di consensi sempre maggiore.

Con l’escalation degli ultimi giorni sembra si sia definitivamente aperto il vaso di Pandora dei conflitti latenti nella società turca.

L’altra Turchia
Alle immagini delle violenze a Taksim, Istiklal e Gezi Park, Erdo?an oppone un nuovo scenario. Un palco allestito sul mare, a sinistra la bandiera turca – a destra, una sua gigantografia. Al centro decine di migliaia di manifestanti, centinaia di bandiere e – a metà discorso – un grande telo con l’immagine del premier ricopre la piazza.

Abbandonati i toni conciliatori dell’amico-rivale Gül, il presidente della Repubblica, il premier si rivolge a quanti hanno criticato l’operato del governo dall’inizio degli scontri. La prima accusa va ai social media, colpevoli di aver fomentato le tensioni giorno per giorno, a colpi di tweet. La seconda al Parlamento europeo, la cui risoluzione è una grave ingerenza verso un paese che non è membro dell’Unione. La terza, infine, alla stampa internazionale, cieca di fronte ai massacri in Palestina, disinteressata alla Siria ma attenta – minuto per minuto – agli scontri di Taksim.

La vera Turchia non è nelle piazze, sostiene il premier, “una primavera qui c’è stata, ma il 12 novembre 2002”, giorno della prima vittoria elettorale del suo partito, Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp). La favola della democrazia turca, faro guida per il Medio Oriente, perde definitivamente la maschera. Si scopre un paese profondamente spaccato: da un lato il (Akp) e i suoi sostenitori; dall’altro un movimento eterogeneo di curdi e nazionalisti, laici, liberali e alevi, portatori di istanze diverse, ma uniti nell’opposizione allo stile di governo di un leader sempre più autoritario.

Unità apparente
L’estensione delle proteste sul territorio e nel tempo ha colto impreparato il monolitico Akp, lasciandone intravedere le prime crepe. All’arroganza dialettica e al pugno fermo di Erdo?an si sono contrapposti toni conciliatori del presidente Gül, del vice primo ministro Arinc e del sindaco di Istanbul Topbas.

Il fallimento della politica del braccio di ferro tra polizia e manifestanti aveva portato ad una prima apertura, la proposta di un referendum sulle sorti del parco. La piattaforma associativa di piazza Taksim, che riunisce circa un’ottantina di organizzazioni non governative, aveva rifiutato la possibilità di un referendum-plebiscito riparatore appellandosi alla sentenza del tribunale che si era già espresso contro la distruzione del parco Gezi.

Di fronte alla chiusura, Erdo?an ha più volte espresso al ministro degli interni la volontà di “chiudere la faccenda in 24 ore”. Sgomberata Taksim con il massiccio uso dei Toma, i panzer turchi, la rivolta ha preso vigore strada per strada, in altri quartieri. Pur alternando dialogo e pugno di ferro, né l’anima dialogante di Gül né il pungo duro di Erdo?an sembrano trovarvi soluzione.

Intreccio esplosivo
Mentre il pendolo dell’Akp oscilla indeciso, Erdo?an sembra aver perso le sue due sfide principali: il processo di pacificazione turco-curdo e il progetto di riforma costituzionale in senso presidenziale.

L’appoggio dei deputati curdi, essenziale per rivedere la carta, non è più certo – lo confermano dichiarazioni di esponenti come Sirri Sureya Onder, rimasto gravemente ferito nelle manifestazioni.

Dall’altro è il premier stesso a fomentare la minoranza curda, rilasciando dichiarazioni sferzanti in cui accusa l’opposizione di “apporre la bandiera turca a quella di un terrorista”, facendo riferimento al leader curdo Abdullah Öcalan.

La Turchia è stretta in una morsa esplosiva tra l’incalzante minaccia siriana – evidente dalle bombe a Reyhanli dello scorso maggio – gravi spaccature interne e, infine, le aspre critiche occidentali. L’unico modo per districarsi è allentare l’approccio autoritario e aprire ad un dialogo organico con la popolazione. Sorprendentemente, tuttavia, con il discorso di Kazlicesme il premier sembra imboccare la strada diametralmente opposta.

Tallone d’Achille
Le critiche del governo alla risoluzione del Parlamento europeo contro le violenze di Gezi Parki è solo la punta dell’iceberg di ferite trascurate per troppo tempo. L’impotenza di Bruxelles rivela il tallone d’Achille delle relazioni turco-europee: la mancanza di credibilità del processo di adesione.

Una Turchia disillusa dalle ipocrisie e dalle false promesse dell’Unione non è più disposta ad accettare ingerenze nei suoi affari interni.

Anziché chiudere le porte della propria fortezza, all’Europa spetta – oggi, più che mai – di raddoppiare l’offerta alla Turchia, dando nuovo impulso al negoziato d’adesione aperto nel 2005. Aprire i capitoli negoziali 23 e 24, rispettivamente su sistema giudiziario ed i diritti umani, potrebbe contribuire a risanare la pericolosa frattura tra le due anime del paese, ricollocando la Turchia sulla carreggiata della democratizzazione.

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