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Dubbi e opportunità

“Svolta” di Hollande per l’Unione politica

21 Mag 2013 - Riccardo Perissich - Riccardo Perissich

La recente conferenza stampa in cui il presidente della Repubblica francese, François Hollande, ha posto al centro l’Europa, è stata salutata soprattutto in Italia come una svolta storica. Vediamo quanto sia vero. La centralità dell‘Europa è già importante se si pensa all’euroscetticismo diffuso che caratterizza la società francese. Ma il contenuto? È importante che abbia parlato di Unione politica.

Prima di lui lo avevano fatto la cancelliera tedesca Angela Merkel e, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Scheuble; erano coscienti che un sistema intergovernativo basato sul Consiglio europeo poneva seri problemi alla legittimità democratica di quanto si stava facendo per governare la crisi dell’eurozona; ed erano altresì insofferenti alla condizione di “leader by default” (e quindi di capro espiatorio della protesta popolare) in cui veniva a trovarsi la Germania. Irritati per essere stati accusati dallo stesso Hollande di praticare un’inutile fuga in avanti, avevano però lasciato cadere il tema.

Piccoli passi
In primo luogo il presidente francese ha proposto una comunità europea dell’energia, vecchia proposta di Delors, che Hollande sembra però voler limitare al sostegno delle energie rinnovabili; ci si può domandare se questa sia veramente la sola priorità degli europei, che dovranno presto fare i conti con gli effetti della rivoluzione che si prepara in America in seguito allo sfruttamento dello shale gas.

In secondo luogo ha proposto un programma eccezionale per combattere la disoccupazione giovanile: è un’idea italiana e vedremo presto quale sarà il suo contenuto.

In terzo luogo ha rilanciato un’idea, già ventilata dal presidente del Consiglio europeo Van Rumpuy, di creare un “bilancio dell’eurozona”; il tema sembrava uscito dall’agenda europea ed è un bene che Hollande lo abbia ripreso.

Infine ha proposto di creare un “governo dell’eurozona” dotato di un presidente permanente, incaricato di coordinare le politiche economiche, di avviare l’armonizzazione fiscale e di progredire verso una politica sociale comune.

Quest’ultima è evidentemente la proposta che più sembra dare contenuto alla nozione “unione politica”. Si noterà innanzitutto la differenza di approccio culturale tipica dei due paesi. I tedeschi, parlando di un diverso modo di elezione del presidente della Commissione e di maggiori poteri al Parlamento europeo, avevano posto l’accento sulla “legittimità”; Hollande ha invece parlato di “governo”.

Entrambe le nozioni sono importanti e la discussione è solo all’inizio. Teoricamente, un “governo dell’eurozona” esiste già ed è l’eurogruppo. Non c’è dubbio che funzioni male, come ha dimostrato la gestione della crisi di Cipro.

Non è invece certo che il problema si possa risolvere aggiungendo una nuova presidenza permanente a quelle che già esistono: Commissione, Consiglio europeo, Eurosummit (i capi di governo della zona euro). Il problema principale sollevato dall’intervento di Hollande è di natura giuridico/costituzionale. Lui sembra interessarsi essenzialmente all’eurozona.

Ora, è vero che l’euro (e i problemi legati alla sua gestione) costituiscono ormai il core business dell’Ue; ma è anche vero che il mercato unico e gli strumenti giuridici per fare le cose da lui indicate (energia, sociale, bilancio, fiscalità), nonché le istituzioni dotate di capacità operativa sono tutti nell’Ue. Finora si è data a questo dilemma una risposta pragmatica: ricorrendo alle cooperazioni rafforzate (come nel caso della Tobin tax e dell’Unione bancaria) oppure con un trattato intergovernativo (come nel caso del Fiscal Compact e dell’Esm).

“Alla francese”
Sempre pragmaticamente, si è accettato che questa differenziazione sia gestita dalle istituzioni dell’Unione. Tutti sappiamo che il pragmatismo ha i suoi limiti e che la resa dei conti arriverà quando si vorrà dare un contenuto più concreto alla nozione di “Unione politica”.

Il problema è che la distinzione fra paesi appartenenti all’euro e gli altri non è chiara. Alcuni di quelli che sono fuori non hanno nessuna intenzione di aderirvi e sono comunque ostili a qualsiasi rafforzamento dell’integrazione; è il caso della Gran Bretagna. Altri però (in primo luogo la Polonia) intendono entrare nell’euro e non è interesse di nessuno relegarli ai margini; si è potuta misurare la complessità del problema in occasione delle discussioni sull’unione bancaria.

Finora il consenso prevalente nel continente è stato di evitare iniziative che provocassero un inasprimento delle relazioni con il Regno Unito. Può darsi siano gli stessi britannici ad accelerare la resa dei conti, ma l’iniziativa di Hollande è interpretata da alcuni come una provocazione prematura. Su tutto aleggia il sospetto che in realtà abbia in mente una nuova versione della tradizionale concezione intergovernativa propria della tradizione francese; l’assenza di qualsiasi riferimento al Parlamento europeo lo fa temere.

C’è anche il dubbio che in questo modo la Francia si prefigga di aggirare le regole del mercato unico e di rimettere in discussione il Fiscal Compact. Sarebbe sbagliato iniziare a questo stadio un processo alle intenzioni e tocca ora agli altri (italiani e tedeschi innanzitutto) rispondere all’iniziativa di Hollande. È comunque importante che essa provenga dal capo di un paese dove il tema è rimasto tabù fin dai tempi di De Gaulle; lo stesso Mitterrand non fu capace di rispondere alla richiesta di Kohl di inserire nel trattato di Maastricht significativi progressi verso l’unione politica.

Il discorso di Hollande sarà probabilmente letto a Berlino e altrove con attenzione, ma anche con una dose di scetticismo. In effetti, la parte più importante del suo intervento non è stata quella sull’Europa, ma quella sulla politica interna. Il messaggio sul problema delle pensioni, del mercato del lavoro, della competitività e del necessario rigore finanziario si discosta per molti versi dai principali temi della sua campagna elettorale.

Alcuni in Francia l’hanno interpretato come una svolta. È prematuro dire se si tratti di una svolta simile a quella operata da Mitterrand nel 1983; l’assenza dell’atteso annuncio di un rimpasto governativo ha suscitato non pochi dubbi. A nessuno sfugge però che l’economia del paese si trova oggi in una situazione ancora peggiore di quella che determinò la decisione del suo predecessore. Hollande, del resto, lo ha detto chiaramente: la Francia potrà pesare in Europa solo se avrà risanato se stessa.

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