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Presidenza contro magistratura

Lotta di potere in Egitto

3 Mag 2013 - Azzurra Meringolo - Azzurra Meringolo

Ennesimo round dello scontro tra presidenza e magistratura egiziane. I sostenitori del presidente islamista Mohammed Mursi lo incitano a non mollare, ma questo deve prima difendersi dai colpi di quanti lo accusano di voler limitare l’indipendenza del potere giudiziario dalla politica.

A fare suonare il gong di questa ennesima ripresa è stata la manifestazione per la purga del giudiziario organizzata il 19 aprile dai membri della Fratellanza musulmana. Marciando verso il palazzo della giustizia, gli islamisti hanno criticato la sentenza con la quale, il 15 aprile, un tribunale ha ordinato il rilascio del deposto presidente Hosni Mubarak.

Controrivoluzione
Per il tribunale si tratta di una questione puramente tecnica, visto che il vecchio dittatore ha terminato i due anni di custodia previsti dall’ordinamento egiziano. Per la base islamista, dietro questi tecnicismi si nasconderebbe però una mossa controrivoluzionaria sferrata da quanti, anche nelle fila del giudiziario, vogliono un ritorno al passato.

Il primo risultato della marcia per l’epurazione del giudiziario è stata l’uscita di scena del ministro della giustizia, Ahmed Mekki. Pur non essendo un membro della Fratellanza musulmana, Mekki è conosciuto come un personaggio vicino alla Confraternita. Per i giovani rivoluzionari non arruolati nelle fila islamiste è una figura controversa, criticata per la sua condotta e le sue decisioni spesso a difesa di quel governo che ha ora abbandonato.

Le sue dimissioni hanno quindi diviso trasversalmente piazza e corridoi politici tra quanti sono contenti delle defezioni interne e quanti sono preoccupati invece per quella che chiamano la resa del giudiziario davanti all’avanzata degli islamisti.

Possibile riforma
Ad alimentare il conflitto in corso è anche una proposta di legge presentata dal partito islamista moderato al-Wasat, a una commissione della Shura, la camera alta del parlamento egiziano. Qualora fosse approvata, questa legge abbasserebbe l’età pensionabile dei giudici da 70 a 60 anni. Per i magistrati sarebbe un “massacro interno”, architettato per dare il ben servito a circa tremila togati scomodi e fare spazio a quelli leali alla Confraternita.

Secondo alcuni giudici, questa proposta sarebbe addirittura anticostituzionale, visto che violerebbe l’articolo 169 che prevede che i membri del giudiziario siano consultati prima dell’introduzione di leggi che li riguardano. In aggiunta, sarebbe anche in contraddizione con l’articolo 170 che garantisce l’irremovibilità dei giudici. Secondo la costituzione, la Shura non avrebbe neanche il potere di proporre leggi, prerogativa che spetta al presidente, al governo e ad ogni membro della Camera bassa che al momento aspetta di essere rieletta.

A essere preoccupati sono anche i movimenti di giovani rivoluzionari come il 6 Aprile e il Fronte democratico, che il 23 aprile sono scesi in strada chiedendo alla presidenza di preservare l’indipendenza dell’ordine giudiziario.

Cercando di evitare un’escalation della crisi, Mursi è intervenuto direttamente. Anche se non ha il potere di ritirare la proposta, sta cercando di raggiungere un compromesso proprio con quei togati che la sua base elettorale gli chiede di allontanare dai tribunali.

Per farlo ha incontrato il club dei giudici, un gruppo che ha da sempre lottato contro il vecchio regime e che ha annunciato di inviare un messaggio alla Corte penale internazionale per denunciare la marcia per la purga del giudiziario. A seguito di questo incontro e sperando in qualche progresso positivo, l’opposizione ha deciso di cancellare il corteo in programma per il 29 aprile che aveva come meta la Shura.

Epurazione mancata
Tutt’altro che una novità, il conflitto in corso tra presidenza e magistratura è uno dei nodi più profondi e problematici della transizione egiziana.

Già a novembre Mursi aveva emanato un decreto, poi ritirato, con il quale si attribuiva poteri eccezionali e vietava ai giudici di sciogliere l’Assemblea costituente. La magistratura aveva parlato di “un attacco senza precedenti” all’indipendenza del potere giudiziario, indicendo uno sciopero immediato di tutti i tribunali e uffici della procura. Mursi aveva poi licenziato il procuratore generale Abdel Meguid Mahmoud, promuovendolo ambasciatore in Vaticano e sostituendolo con il più fedele Talaat Abdullah.

A non condividere questa decisione era stato non solo l’attuale dimissionario ministro della giustizia, ma anche una Corte d’appello egiziana che aveva accusato Mursi di aver compiuto una mossa fuori legge. La Corte suprema ha chiesto ad Abdullah di lasciare il posto appena preso, ma il procuratore non ha ceduto, accusando la corte di intromettersi in questioni che non rientrano nelle sue competenze.

A complicare ulteriormente il conflitto in corso è la natura stessa della transizione egiziana. Nel paese nato dalle ceneri del vecchio regime non vi è stata una seria epurazione dell’ex impalcatura istituzionale e molti personaggi che avevano a lungo sostenuto il regime non sono usciti di scena. Pur rappresentando il nuovo Egitto, Mursi non può scordare che il suo movimento ha per decenni bandito e perseguitato da parte di quel giudiziario che ha dato man forte al regime e al suo violento sistema di repressione.

Adbel Meguid, ad esempio, era stato nominato procuratore da Mubarak che se ne è servito per tenere sotto controllo quella parte della magistratura pericolosa per la stabilità del regime e opposizione, che iniziava a far sentire la sua voce. È anche per questo che la piazza islamista insiste tanto su una sua definitiva uscita di scena.

Dietro la questione dell’indipendenza della magistratura non si nascondono quindi solo interessi che il nuovo potere vuole difendere, ma anche diatribe pluridecennali che alcuni, a dispetto dell’indipendenza del giudiziario, vorrebbero risolvere con un regolamento dei conti definitivo.

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