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Speciale giovani e rivoluzioni

Iran, onda verde e risacca

15 Mag 2013 - Mohsen Moheimany, Paola Rivetti - Mohsen Moheimany, Paola Rivetti

Speranza e disillusione: questi i sentimenti con i quali comunità accademica e politici hanno guardato ai giovani iraniani negli ultimi anni. In linea con gli altri paesi della regione, la popolazione iraniana è composta soprattutto da giovani e questo porta alla ribalta una serie di questioni legate al ricambio e al divario generazionali.

Secondo il Centro statistico iraniano, nell’ultimo decennio la popolazione al di sotto dei 25 anni di età è cresciuta dal 16 al 23 per cento. Anche se i giovani guardano con grande interesse e attenzione allo sviluppo socio-politico del paese, questo è ancora gestito da una élite in media anziana.

Nulla da fare contro la disoccupazione
Lo squilibrato sviluppo economico nazionale, la crisi finanziaria, le sanzioni e l’imprevedibile risultato dei negoziati sulla questione nucleare hanno un impatto importante sulle condizioni di vita giovanili.

Inoltre, come denuncia un membro della Commissione per gli Affari economici del Parlamento, la domanda di lavoro dell’elevato numero di giovani laureati si scontra con un mercato dell’occupazione in forte contrazione, portando così a un innalzamento dei livelli di disoccupazione e sotto-occupazione anche tra chi detiene titoli di studio universitari.

Un recente rapporto del Centro statistico afferma che il governo di Mahmoud Ahmadinejad non è riuscito a ravvivare il mercato dell’occupazione, creando il numero più basso di nuove opportunità lavorative dell’ultimo decennio.

Universitari schedati
Oltre alle difficoltà economiche, sui giovani iraniani pesa la repressione delle libertà politiche e civili. Questo è evidente soprattutto nelle università, dove dal 2009 i gruppi studenteschi tradizionalmente pro-riformisti sono stati progressivamente emarginati. All’interno dei campus è stato poi adottato un codice disciplinare più restrittivo delle libertà politiche e personali.

In aumento anche la percentuale di studenti espulsi dalle università e dal sistema educativo nazionale. Anche se la Costituzione sancisce il diritto all’educazione, ai giovani questo viene spesso negato.

Nel 2005, il governo di Ahmadinejad ha introdotto una misura disciplinare che attribuisce ai soggetti ritenuti pericolosi marchi speciali sui loro curriculum. Se si è ‘stellati’, ovvero se si è partecipato o organizzato delle attività politiche nelle università, si può essere espulsi dal sistema universitario.

Al di là dell’università, il restrigimento delle libertà politiche e civili ha anche colpito i partiti politici. Dopo la crisi elettorale del 2009, i due principali partiti di opposizione, il Fronte Mosharekat e i Mujahidin della rivoluzione, sono stati dichiarati illegali. Questi partiti coinvolgevano un significativo numero di giovani. Entrambi avevano sezioni giovanili e godevano di un legame speciale con le associazioni studentesche e con i giovani attivi sulle più disparate cause.

La relazione tra partiti di opposizione e università è stata fondamentale per la mobilitazione dei giovani durante e dopo le elezioni presidenziali del 2009, quando i ragazzi si sono mobilitati per sostenere i candidati riformisti, Mir Hussein Moussavi e Mehdi Karrubi. Le stesse reti di attivisti sono state poi facilmente individuate e represse dopo le proteste del 2009-2010. Gli arresti hanno colpito centinaia di membri del verde, a cui molti giovani hanno partecipato con entusiasmo.

Una speranza per i riformisti
In seguito a questo giro di vite, i riformisti e le forze di opposizione stanno guardando alle presidenziali del prossimo giugno come un’opportunità per ricostituire e ravvivare dal basso le reti di attivisti. ‘Se non costruiamo alleanze stabili tra i giovani per le prossime elezioni, perderemo l’opportunità di avere un ruolo nella politica e non ci troveremo mai più’, dichiara Mohammad Reza Jalaipour, uno dei membri più giovani del comitato elettorale Terza ondata che nel 2009 ha sostenuto Moussavi.

La strategia delle forze riformiste è infatti quella di puntare su società che valorizzino e coinvolgano i giovani per recuperare visibilità e peso politico in seguito alla repressione post-2009 e per aprire la strada a un contesto politico più tollerante e aperto dopo le elezioni presidenziali del 2013.

Considerando la difficile situazione economica in cui i giovani iraniani si trovano, non è da escludere che il malcontento sociale cresca e dia vita a nuove ondate di protesta. Direzione e beneficiari di questo possibile sviluppo sono tuttavia sconosciuti. ‘Nei prossimi anni avremo a che fare con un grande numero di giovani istruiti alla ricerca di lavoro. Il prossimo presidente, chiunque sia, dovrà pianificare attentamente le proprie mosse e lavorare per la stabilizzazione di questa potenziale crisi’, avverte Masoud Nili, docente universitario e economista.

La disoccupazione crescente, la diffusione del malessere sociale rintracciabile nell’aumento dei disordini e dei crimini comuni e il clima di oppressione sociale e politica potrebbero alimentare il sostegno al movimento verde, la principale forza di opposizione.

A prescindere dall’evoluzione della campagna elettorale per le presidenziali appena iniziata, il nuovo leader del paese dovrà quindi confrontarsi con l’attivismo giovanile che non accenna a scomparire. I ragazzi continueranno a chiedere anche ai nuovi uomini al potere di risolvere tutti questi vecchi problemi che impediscono la piena realizzazione di un settore importante e vivissimo della società.

Mohsen Moheimany è dottorando in Scienza politica e Relazioni internazionali presso la Dublin City University. La sua ricerca si occupa di analizzare l’impatto del terzo settore sul sistema di governance in Iran. Ha precedentemente conseguito un Master in Public Policy presso la Nottingham University.
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