Il Pakistan dopo il voto
Ai risultati delle elezioni politiche in Pakistan, concluse il 12 maggio tra minacce, intimazioni, rapimenti, autobombe, morti e feriti con la vittoria dell’ex premier Nawaz Sharif, gli analisti continueranno a dedicare grande attenzione. Per vari motivi, tutti molto seri: a prescindere dalle ripercussioni interne, i risultati potrebbero esser in grado di peggiorare il già instabile rapporto con gli Stati Uniti , condizionare l’andamento dell’exit strategy della Coalizione dall’Afghanistan e le attività post-2014, modificare il precario equilibrio con l’India e, infine, porre a rischio la sicurezza del controllo della componente nucleare delle Forze armate. Che al momento, sebbene silenti, sembrerebbero essere l’unica istituzione del paese coesa ed affidabile. Nel bene e nel male.
Tre scenari
In quanto ai candidati, la potentissima Corte Suprema si era premurata per tempo di “impedire” per via giudiziaria Musharraf, rientrato da un esilio volontario proprio per partecipare a queste elezioni. Così, i personaggi significativi rimasti in lizza con proprie formazioni sono stati Asif Zardari, il chiacchierato presidente vedovo di Benazir Bhutto, il mondano campione internazionale di cricket Imran Kahn e il già citato Nawaz Sharif, a suo tempo defenestrato da Musharraf, uomo politico che da sempre – pur dichiarandosi laico – ha strizzato l’occhio ai Talebani cercandone il favore.
In uno spietato tutti contro tutti il paese è in stallo da anni, e non sarà questa tornata di elezioni – con questo tipo di vittoria – a risolvere il problema. Gli scenari prevedibili erano tre. Il caso desiderabile, ma anche il più improbabile, sarebbe stato che qualcuno – preferibilmente Kahn – avesse vinto con una maggioranza tale da formare un governo stabile. Così non è stato. Il secondo è ciò che effettivamente potrebbe accadere nei prossimi giorni, o mesi: i due grandi nemici, Sharif e Zardari, potrebbero essere costretti dalla realtà dei numeri ad una fragile quanto impopolare coalizione, l’uno ritornando a fare per la terza volta il primo ministro e l’altro rimanendo presidente. Tuttavia, sinora nessuno dei due era riuscito a dare buona prova.
Ma così è la politica. Ai patti scellerati i pachistani siamo ormai abituati: è sufficiente ricordare l’innaturale alleanza di Sharif con la Bhutto prima, e con lo stesso Zardari poi, quando la cosa più urgente sembrava abbattere il fastidioso Musharraf. Il terzo scenario è il caso che potrebbe sembrare il peggiore, ma che, nel prosieguo degli eventi, potrebbe anche rivelarsi il migliore: non si riesce a formare un governo, il parlamento resta bloccato e, con il paese nel caos politico, sociale ed economico, diventa necessario ricorrere a nuove elezioni.
Ma non tutto il male verrebbe per nuocere, visto che la speranza di molti è che Imran Kahn, unica forza davvero fresca tra tanto vecchiume, per ora non aderisca ad alcuna coalizione post o pre-elettorale e – ristabilito dopo la strana caduta durante l’ultimo comizio – preservi integra la sua immagine per vincere alle urne la prossima battaglia, che i più ritengono inevitabile. Questa soluzione avrebbe l’appoggio di una parte del partito di Zardari, ormai verso la dissoluzione, dei molti scontenti che hanno votato Sharif “turandosi il naso”, di tutti coloro che avrebbero votato per Musharraf – e non sono pochi – e di una forte maggioranza dei militari, che sinora sono stati a guardare.
Non ci sono medici credibili
I talebani pachistani, il cui enorme sviluppo era stato tollerato, per non dire favorito, nei due precedenti governi di Nawaz Sharif, assieme alla corruzione delle attuali élites, sono ormai il maggiore ostacolo al progresso ed alla crescita moderna di questo paese ricco di potenzialità. Basti pensare che proprio per il reato di “corruzione” Sharif era stato estromesso dal suo primo governo e Zardari prima processato, poi perdonato in parte e protetto da temporanea immunità.
In quanto ai talebani, si oppongono a qualsiasi tipo di elezioni, che considerano contro i precetti dell’Islam, e a qualsiasi forma di costituzione o di governo che non siano basati sulla loro interpretazione della sharia. Sono tanti, in continuo aumento ormai anche fuori dalle aree tribali. Avevano annunciato che chi si sarebbe recato alle urne lo avrebbe fatto a proprio rischio e pericolo, e – nonostante la vigilanza di 600 mila poliziotti coadiuvati dai migliaia di militari in ordine pubblico – hanno compiuto una serie di attentati senza precedenti.
Tra i candidati, centrali e periferici, l’unico a non aver subito minacce pare sia stato Nawaz Sharif, e questo contribuisce a porre non poche perplessità sulla sua libertà d’azione in qualsivoglia futuro governo.
Medicina poco digeribile…
Con queste premesse, al momento sembrerebbe che nel paese non ci siano medici con una credibilità sufficiente per prescrivere al grande malato una terapia ad effetto rapido e sicuro.
Eppure, a parole, questa terapia sembrerebbe facile da definire: combattere la corruzione, a tutti i livelli; cercare di chiudere o depotenziare le “fabbriche di talebani” – ci sono oltre diecimila madrasse (scuole coraniche) fuori controllo – imponendo anche l’insegnamento delle materie ordinarie, come in tutte le altre scuole; ricondurre i Servizi interforze (Isi) sotto un più diretto controllo dell’Autorità militare e di governo, per quanto di rispettiva competenza; attenuare, anche mediante limitate modifiche costituzionali, l’invadente pervasività delle Corte Suprema e di tutto il sistema giudiziario; riprendere con nuovo slancio la campagna per i diritti delle donne; riguadagnare, impegnandosi in questa serie di azioni, una fiducia internazionale sufficiente a riavviare quella ricapitalizzazione che, sola, potrà evitare la bancarotta. La Comunità internazionale non può permettersi che il Pakistan diventi uno Stato fallito.
… ma una speranza c’è
Visti i precedenti, è difficile che Sharif, o Zardari, oppure tutti e due assieme, possano trovare la forza, la sinergia, la volontà e la credibilità per tentare di attuare questo tipo di programma. Che, guarda caso, è lo stesso con cui aveva cercato di ricostruire il paese il tanto deprecato Musharraf, abbattuto ben due volte dalla Corte Suprema prima ancora che dai verdetti elettorali.
Forse, chissà, in un futuro non prossimo un governo rigenerato da personaggi alla Imran Kahn potrebbe anche riuscirci.
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