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Verso il voto di giugno

Libano nella morsa siriana

28 Apr 2013 - Giacomo Galeno - Giacomo Galeno

A fine marzo, Michel Sleiman, presidente della Repubblica libanese, ha firmato le dimissioni del primo ministro Najib Miqati. Il 6 aprile, Tammam Salam, è stato incaricato, con un voto in parlamento che non ha lasciato dubbi (124 favorevoli su 128), di procedere alle consultazioni per la formazione di un nuovo governo che avrà come obiettivo “l’interesse nazionale”: superare le divisioni politiche interne ed evitare che gli eventi siriani si estendano al Libano.

Governo Miqati
Nel gennaio del 2011, dopo la caduta del governo di Saad Hariri, leader della coalizione 14 marzo, Najib Miqati era stato incaricato di formare un nuovo governo. La coalizione 14 marzo, gridando al colpo di stato, rifiutava ogni tipo di partecipazione al nuovo esecutivo. Solo alla metà di giugno 2011, Miqati riusciva a dare vita ad un nuovo governo interamente formato da membri della coalizione 8 marzo.

Nel frattempo (marzo 2011) l’inizio della rivoluzione in Siria aveva acuito la polarizzazione interna al Libano e gettato benzina sul fuoco del confronto sunnito-sciita (Arabia Saudita-Iran).

Nel maggio del 2012, in presenza di un governo monocolore, di un conflitto alle porte potenzialmente disastroso per il paese e dell’approssimarsi delle elezioni legislative (giugno 2013), il presidente libanese Sleiman promuoveva la riapertura delle sessioni del “Dialogo nazionale”, con lo scopo di trovare soluzioni condivise per il mantenimento della pace in Libano: definizione di una strategia di difesa nazionale (inquadramento dell’arsenale di Hezbollah nell’esercito nazionale); adozione di una posizione comune di “dissociazione” riguardo gli eventi siriani; risoluzione pacifica dei conflitti interni.

L’11 giugno 2012 si svolgeva la prima ed ultima sessione del “Dialogo nazionale”, cui il 14 marzo rifiutava di partecipare. Il colpo di grazia alle speranze di dialogo tra 14 e 8 marzo veniva inflitto dall’attentato del 19 ottobre 2012 al capo dei servizi segreti delle Forze interne di sicurezza, Wissam al-Hassan (vicino al 14 marzo). Le proteste che seguivano al funerale di al-Hassan inducevano Miqati a presentare le dimissioni, rifiutate dal presidente della Repubblica. Il 23 ottobre 2012, con una dichiarazione congiunta, i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza ed il Segretario generale dell’Onu dichiaravano il loro sostegno al governo Miqati, allora in bilico.

Discesa in campo
La modifica della legge elettorale in vigore – gli accordi di Doha (2008) riprendono quella del 1960 – sembra oggi essere la priorità per tutte le forze politiche. Unico leader politico favorevole al mantenimento dell’attuale legge è Walid Jumblat (druso, Partito socialista progressista – Psp). Tale sistema gli garantirebbe infatti il numero necessario di deputati per essere l’ago della bilancia tra le due coalizioni principali. Secondo indiscrezioni sarebbe proprio Jumblat il maître à penser della soluzione politica che ha portato alle dimissioni di Miqati ed alla scelta di Tammam Salam come premier designato.

I primi di marzo, Miqati dichiarava la sua volontà di partecipare alle elezioni di giugno annunciando poco dopo le sue dimissioni, accettate dal presidente Suleiman.

Strategia Salam
Nelle intenzioni di Miqati, le dimissioni miravano ad allentare le tensioni fra le coalizioni 8 e 14 marzo, consentendo a quest’ultima di tornare a far parte del governo. La designazione, al suo posto, di Tammam Salam si spiega per il suo profilo politico “neutrale” ed, in un certo senso, marginale.

Salam appartiene al notabilato sunnita di Beirut, e ciò lo pone in una posizione di mediazione tra i sunniti di Saida, rappresentati dalla famiglia Hariri, ed i sunniti di Tripoli, rappresentati da Miqati. È parlamentare del 14 marzo il cui leader è Saad Hariri, anche se tra le famiglie Salam e Hariri i rapporti non sono sempre stati idilliaci. Anche rispetto al regime siriano, la famiglia Salam, ha sempre tenuto una posizione ambivalente ed opportunistica, che l’ha portata a scontrarsi e ad allearsi con il regime a seconda delle contingenze.

Equilibri futuri
Se, come sembra probabile, le elezioni si svolgeranno sotto il sistema in vigore, i rapporti di forza in parlamento tra le coalizioni 14 ed 8 marzo non dovrebbero cambiare. Ciò consentirebbe a Jumblat di continuare ad essere l’ago della bilancia. Tammam Salam dovrebbe dunque essere il premier di un governo transitorio di unità nazionale (probabilmente di rapida formazione), un arbitro col solo compito di controllare il corretto svolgimento delle elezioni.

A rimescolare le carte della futura maggioranza potrebbe esserci la nascita di un “blocco centrista”, sostenuto dal presidente Sleiman (cristiano), verso il quale potrebbero convergere il Psp di Walid Jumblat (druso), il partito Amal di Nabih Berri (sciita e presidente della Camera), l’ex premier Najib Miqati (sunnita) ed il partito falangista (Kataeb) di Amin Gemayel (cristiano). Questo blocco, contenendo tutte le comunità confessionali, potrebbe da solo formare un governo tagliando fuori le ali estreme.

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