Il governo è a Gerusalemme
Su Israele, soprattutto di questi tempi, si possono avere pareri più o meno cordiali, ma su una cosa bisogna essere chiari: non esiste il governo di Tel Aviv, il governo è a Gerusalemme.
Qui la questione diventa assai intricata, perché Gerusalemme tutta, quindi anche la parte est, occupata nel 1967, è stata allargata nei confini municipali e dichiarata capitale unica e indivisibile di Israele, due volte, nel 1967 e poi nel 1980. La parte Est non è stata annessa, come comunemente si dice. Si tratta di occupazione o estensione della giurisdizione, non esattamente sovranità, ma appunto è situazione complicata.
A renderla ancora più contorta, c’è il non piccolo dettaglio che anche Gerusalemme Ovest non è esattamente riconosciuta come capitale di Israele. Tutte le ambasciate, salvo episodici e brevi casi di paesi sudamericani, sono saldamente a Tel Aviv. Soprattutto quella degli Stati Uniti: neanche i Bush l’hanno spostata di un centimetro. Semmai, va segnalata la rara eleganza dello Stato del Vaticano, che quando ha aperto nel 1994 la sua nunziatura apostolica non l’ha collocata a Tel Aviv, città ebraica per eccellenza, ma a Giaffa Vecchia, città “araba” adiacente. Araba tra virgolette perché Giaffa ha oggi anche abitanti ebrei.
Il perché neanche Gerusalemme Ovest vada bene come sede di ambasciate richiederebbe una lunga spiegazione, che parta dal 1947-8, e questa non è la sede. Rimane il fatto che Tel Aviv era la sede del governo quando Israele nacque, nel maggio 1948, e lo rimase de facto nei mesi della guerra, cioè sino alla fine del 1948. Gerusalemme era indifendibile, c’era stato un accordo sottobanco con i transgiordani perché prendessero il West Bank senza incontrare particolare resistenza.
Ma non si misero d’accordo sulla città e Israele difese come poté la parte occidentale, rifornendola con convogli che venivano regolarmente bersagliati dalle forze arabe. I relitti dei mezzi bruciati sono ancora lì, in memoria. La preziosa Città Vecchia, o perlomeno il quartiere ebraico, venne difesa disperatamente dalla milizia di destra, l’Irgun, che però non riuscì a tenerla.
All’inizio del 1949, il governo era a Gerusalemme, chiaramente Ovest, e vennero presto costruiti gli edifici istituzionali, come la Knesset. Gerusalemme, sia pure solo Ovest era la capitale di Israele, né poteva essere altrimenti, per la lunghissima tradizione ebraica prima e sionista dopo.
Parlare di governo di Tel Aviv da allora non ha senso: sarebbe come parlare di governo di Torino (o Firenze) dopo il 1870 e perché, da posizioni cattoliche oltranziste, non si tollera che il Papa abbia perso Roma e il Quirinale. L’abitudine di parlare di governo di Tel Aviv è soprattutto dei giornalisti, non solo italiani, che poi aggiungono l’esercito di Tel Aviv, e magari si avventurano sugli aerei con la stella di David, chiaramente mandati da Tel Aviv.
Il che è tecnicamente vero: il ministero della Difesa e il comando centrale delle forze armate sono a a Tel Aviv. Nel quartiere centrale di Kirya, un edificio molto moderno con una grande colonna interna che regge un eliporto. Corre anche voce che gli Stati Uniti stiano curando la costruzione, con criteri di massima sicurezza, di una enorme struttura sotterranea, di cinque piani, vicino a Tel Aviv, con il malaugurante nome di Sito 911, come ha raccontato recentemente il Washington Post. Forse si sono resi conto che la grande colonna è troppo visibile, ma potrebbe essere anche opportuno cambiare la sigla.
In questa vicenda surreale, mentre gli ambasciatori con sede a Tel Aviv passano il loro tempo in auto, su e giù da Gerusalemme, dove ovviamente c’è il ministero degli Esteri, perché nessuno stato riconosce la capitale come capitale, tutti i visitatori illustri, capi di stato etc., vanno in visita a Gerusalemme, fanno il solito giro (presidente israeliano, Yad Vashem), magari hanno anche l’onore di un discorso alla Knesset.
Il che equivarrebbe, a voler essere pignoli, a un riconoscimento de facto della capitale, almeno nella parte Ovest. Certo, chi mette piede nella Città Vecchia sa di passare un’antica linea di armistizio – si spera – e sarà bene ricordare che la Giordania ha da 25 anni rinunciato a ogni diritto sulla Città, come anche sul West Bank. Ma è pur sempre una monarchia hascemita (ex Custodi della Mecca e Medina) e vuole mantenere un ruolo di protezione dell’Haram esh-Sharif, sia pure con discrezione.
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