Chi difende i mercantili italiani
La sfortunata vicenda dei marò imbarcati sulla Enrica Lexie, che ancora non vede una conclusione, anche per le errate mosse del governo italiano di fronte alla condotta non conforme al diritto internazionale dell’India, ha generato il solito balletto delle responsabilità, rischiando di rimettere in discussione l’impianto della L. 130/2011, varata dopo interminabili polemiche, che consente l’imbarco di personale armato sui nostri mercantili.
Riduzione degli attacchi
Un dato è certo. Il fenomeno pirateria è in corso di riduzione, come attesta il numero decrescente degli assalti pirateschi succedutisi negli ultimi mesi del 2012 e nella prima parte del 2013. Le cause della riduzione sono da individuare nell’efficienza delle flotte in missione antipirateria e soprattutto nelle scorte armate a bordo delle navi. Permangono invece le aree di instabilità che alla pirateria hanno dato origine, e in particolare le zone prive di un governo effettivo, capace di mantenere la legge e l’ordine.
Qualche progresso è stato fatto, ma è limitato. Sarebbe quindi pura follia mettere in disarmo le scorte armate sulle navi. Tra l’altro i pirati, che a quanto sembra godono di informazioni abbastanza precise, concentrerebbero i loro attacchi contro le navi prive di scorte. L’armatore sarebbe costretto a cambiare bandiera per poter utilizzare i servizi antipirateria possibili secondo altre legislazioni e il tutto produrrebbe un ulteriore danno alla già disastrata economia nazionale. Non si tratta quindi di tornare indietro, ma piuttosto di migliorare la legislazione esistente, emendandola se necessario.
Sistema italiano
La legge italiana prevede un sistema duale: scorte militari e imbarco di guardie giurate. Le prime sono divenute utilizzabili subito dolo l’entrata in vigore della legge 130, non appena il ministro della Difesa ha emanato l’apposito decreto; le seconde si sono fatte attendere essendo state subordinate all’adozione di un regolamento ad hoc, da emanarsi con decreto del ministro dell’Interno (di concerto con altri ministri interessati).
Il decreto è stato oggetto di un parto travagliato ed ha visto la luce solo recentemente. Basti pensare che esso porta la data del 28 dicembre 2012, ma è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il 29 marzo di quest’anno! Comunque le scorte private possono essere imbarcate solo quando non sia possibile utilizzare quelle militari (ad es. per carenza di personale).
Scorte militari e contractor
Scorte militari e scorte private hanno in comune pochi elementi e differiscono profondamente. Ambedue le categorie di personale possono essere imbarcate solo su navi battenti bandiera italiana e operare nelle acque internazionali identificate con decreto dell’autorità governativa. Attualmente si tratta delle rotte più a rischio di pirateria, cioè Oceano Indiano e Golfo di Aden. Ma le similitudini finiscono qui.
Le scorte armate militari, che sono soggette al codice militare di pace, possono operare per la necessità della protezione del naviglio commerciale, quindi invocare una causa di giustificazione che va oltre la legittima difesa strettamente intesa. Mentre quelle private possono invocare come causa di giustificazione per l’uso delle armi la legittima difesa, così come disciplinata dall’art. 52 del codice penale.
Nonostante i cambiamenti introdotti dalla modifica legislativa del 2006 alla normativa penale, è da ritenere che la reazione ammissibile per i contractor sia inferiore a quella che invece legittima l’uso delle armi da parte dei team militari.
Diversa ovviamente è anche la catena di comando. Per quanto riguarda i team militari, debbono essere seguite le regole d’ingaggio predisposte dal ministero della difesa e il team è sottoposto al comando del militare più altro in grado; per quanto riguarda i team privati, i componenti debbono seguire le istruzioni di chi è stato designato a coordinare il team, ma essi sono sottoposti all’autorità del comandante della nave.
Disciplina perfettibile
La disciplina esistente, tanto per quanto riguarda i team militari, quanto per quanto riguarda i team privati è, per diversi aspetti, perfettibile.
Per quanto riguarda i team militari, occorre, anche alla luce dell’incidente della Enrica Lexie, esaminare se non convenga porre fine al dualismo attualmente esistente nella catena di comando (comandante della nave in relazione alla rotta, comandante del team militare in relazione all’uso delle armi).
Da più parti si è levata la voce secondo cui anche le decisioni circa la rotta della nave devono essere prese in accordo con il ministero della difesa. Probabilmente per ottenere questo risultato non è necessario cambiare la legge, ma sarebbe sufficiente perfezionare il decreto del ministero della difesa, che identifica le aree a rischio pirateria e autorizza l’imbarco dei militari (o addirittura integrare il protocollo d’intesa tra ministero della difesa e Confitarma).
Per quanto riguarda i team privati, è presto per dire che occorre modificare il regolamento appena adottato, anche se sono da registrare critiche sia da parte degli armatori sia da parte degli operatori di sicurezza privata, in merito ai corsi teorico-pratici che i contractor hanno l’obbligo di seguire prima dell’imbarco. Ma una preparazione adeguata, seguita da una certificazione rilasciata dalle autorità competenti, è imprescindibile.
Basti pensare che lo stato italiano incorre in responsabilità internazionale qualora venga meno all’obbligo di assicurare la diligenza necessaria sull’operato delle società di sicurezza private. Potrebbe essere chiamato a rispondere dei danni provocati dai contractor.
Codici di condotta
A livello europeo si riscontrano varie soluzioni: team militari (Francia e Olanda), team privati (Belgio, Danimarca, Regno Unito, Spagna ). In taluni paesi il dibattito sull’imbarco di personale armato è in corso (Germania). Forse sarebbe opportuno trovare un minimo comun denominatore a livello di Unione europea, mediante uno strumento che lasci spazi di discrezionalità agli stati membri, ma provveda ad un’armonizzazione della materia. Un’iniziativa legislativa sovranazionale comporta sempre un notevole lasso di tempo.
Altre iniziative possono essere intraprese, come la preparazione di un codice di condotta per le compagnie di sicurezza che offrono servizi nel campo marittimo. Si tratterebbe di uno strumento non giuridicamente rilevante, ma che potrebbe offrire un significativo contributo alla regolamentazione del fenomeno, in analogia con quanto è già stato fatto su impulso della Svizzera per i contractor al seguito delle forze armate o impegnati in operazioni di peace-keeping.
Gli armatori si sono già mossi ed hanno ammorbidito le resistenze dell’Imo (Organizzazione marittima internazionale) inizialmente contraria all’imbarco di contractor. Ma occorre un’iniziativa a livello governativo. Un’occasione per l’Italia?
.