IAI
Rapporto dei Consoli generali Ue

Se Israele perde l’Europa

21 Mar 2013 - Maria Grazia Enardu - Maria Grazia Enardu

I paesi Ue non hanno una politica estera unica, ma esprimono comunque a Israele una pluralità di critiche con varie sfumature. Si parla anche, ma a livello davvero teorico, di possibili risoluzioni Ue su questioni come il boicottaggio di merci provenienti dalle colonie del West Bank. Nel frattempo, ogni paese discute come meglio crede, alimentando un dibattito nell’opinione pubblica europea.

Nuovo quadro
Nel novembre 2012 l’Assemblea generale dell’Onu ha votato a favore della promozione della Palestina da osservatore a stato non-membro, con 138 sì, 41 astensioni, nove no.Tra gli stati dell’Unione europea, i voti pro-Palestina sono stati 14, tutti di paesi classificati di solito come occidentali, tra cui anche Cipro, Grecia, Malta. I paesi più importanti sono stati la Francia, che ha annunciato per prima la sua decisione, poi Spagna e Italia.

Le astensioni sono invece venute dai 12 paesi entrati nell’Ue più recentemente, dalla Bulgaria alla Slovenia, oltre a tre paesi che non volevano una mozione considerata ostile da Israele, come Olanda, Germania e Gran Bretagna. Ma anche questi paesi Ue hanno comunque cambiato linea: sino a pochi anni fa, avrebbero votato insieme a Israele, quindi anche il gruppo degli astenuti Ue si è allontanato da Israele. Contraria alla mozione è stata solo la Repubblica Ceca.

Guardando poi la lista dei paesi europei che non fanno parte dell’Unione, i favorevoli alla mozione palestinese sono stati cinque, tra cui Svizzera, e addirittura la Serbia, di solito annoverata tra gli amici di Israele. Come ha detto a caldo un’anonima voce del ministero degli esteri di Israele, “abbiamo perso l’Europa”. Anche l’astensione di Germania e Gran Bretagna va letta negativamente: i due paesi hanno espresso in varie sedi netta contrarietà alla politica di occupazione.

È stato solo l’inizio. Pochi giorni dopo gli ambasciatori di Israele in Gran Bretagna, Danimarca, Francia, Spagna, e Svezia sono stati convocati per ascoltare critiche alla decisione del loro governo di costruire nella zona E1, che chiuderebbe Gerusalemme Est dal resto del West Bank. Anche la cancelliera tedesca Angela Merkel si è fatta sentire, direttamente con il primo ministro Netanyahu in visita a Berlino.

Economia e politica
Non ci sono ancora vere decisioni della Ue, però nel frattempo si concerta l’azione sul campo, nel West Bank, tramite i consoli generali presenti nei territori occupati.

È stato recentemente reso pubblico un rapporto dei diplomatici di inizio gennaio 2013 Reinforcing the EU policy on East Jerusalem 2012. Viene attribuito ai 22 consoli generali dei singoli paesi Ue (tra cui anche un rappresentante UE per i territori occupati) che hanno uffici a Ramallah e Gerusalemme Est. Non ci sono infatti consolati dei paesi baltici, del Lussemburgo e della Slovacchia.

La rilevanza del documento, in forma di rapporto diretto agli uffici dell’Unione europea, sta non solo nel contenuto ma nella sua unanimità. E’ un’analisi seguita da raccomandazioni, 15 pagine che possono non avere alcun seguito ma che in ogni caso costituiscono un parere autorevole e un precedente. I consoli fanno un rapporto all’anno: quello che c’è di diverso in questo caso è, semmai, una maggiore enfasi, il mutato clima europeo ed internazionale, ma soprattutto il fatto che la stampa israeliana e internazionale lo ha citato con risalto.

I consoli deplorano gli effetti dell’occupazione israeliana su ogni aspetto della vita dei palestinesi, dall’economia alle scuole, dai trasporti all’archeologia, dalla sanità al culto. Particolare attenzione va all’edilizia (distruzione di edifici palestinesi, costruzione di case per ebrei), soprattutto a Gerusalemme (Est) e nel circondario.

Pressione dal basso
I consoli fanno una lunga serie di raccomandazioni, ben 31: dal favorire una forte risposta comune alla crescita degli insediamenti soprattutto nell’area est di Gerusalemme, all’evitare che i beni prodotti nel West Bank godano del trattamento preferenziale previsto dagli accordi tra Israele e Ue; all’impedire che qualunque progetto europeo sostenga, direttamente o indirettamente, sia gli insediamenti sia i loro partner; al trattare già da ora Gerusalemme Est come capitale di uno stato palestinese che ancora non c’è. Si tratta di una lista puntigliosa, che i consoli si augurano diventi la base di decisioni della Ue o perlomeno di un gran numero di paesi.

Perché alla fine questo è il valore del documento e la sua forza, su Israele e contro la politica di occupazione. Se è evidente che la Ue è lenta a decidere sanzioni, e se alcuni paesi procedono in ordine sparso su vari punti, è anche vero che il rapporto ha le firme di tutti i consoli. Diplomatici di rango minore ma pur sempre rappresentanti dei rispettivi stati, di cui applicano le direttive. Sono sul campo, vedono, agiscono nelle loro competenze. I consoli generali sono quindi uno strumento di pressione dal basso, l’avvertimento che la stessa pressione, in modi e tempi da stabilire, può partire dall’alto, dalla stessa Ue.

Il rapporto è stato discusso a Bruxelles a livello di ambasciatori del Comitato Politica e Sicurezza dell’Unione e pare non sarà portato a prossime riunioni dei ministri degli esteri. Ma fa parte di una campagna informale di pressioni ancora morbide ma inequivocabili: va ripreso un serio processo di pace e nel frattempo Israele non deve continuare ad alterare il già stravolto status quo.

I consoli generali dei paesi Ue sono la prima linea di un lavoro di osservazione e formulazione di politiche che vede l’Unione, tutta, cercare un ruolo attivo, di pace e stabilità, tra Israele e Palestina, e nel Medio Oriente.

.