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Nuova partnership strategica

Obama tende la mano a Israele

18 Mar 2013 - Roberto Aliboni - Roberto Aliboni

La visita del presidente Obama in Israele inizia il 20 marzo prolungandosi per due giorni. Un terzo giorno sarà dedicato a Ramallah, in Cisgiordania e Amman, in Giordania. Si continua a dire da molte parti che la visita sia destinata, fra l’altro, a riprendere in mano la questione israelo-palestinese, ma ciò è stato smentito dalla stessa Casa Bianca. Già da tempo Obama ha perso interesse strategico per l’argomento. Dalla campagna elettorale fino al discorso sullo stato dell’Unione, del resto, il presidente Usa non ha mai menzionato i palestinesi, e soltanto una volta Israele.

Nuove priorità
Il governo israeliano nato dalle recenti elezioni non sembra avere, d’altra parte, un orientamento diverso dal precedente. Alcune affermazioni del leader emergente Yair Lapid avevano fatto pensare a un ritrovato interesse verso la questione israelo-palestinese. Ma nel corso della campagna elettorale è risultato evidente che Lapid la conosce poco e, al di là di una superficiale sensibilità verso i palestinesi, non è latore di nessuna specifica volontà o priorità politica al riguardo.

La nuova coalizione di governo si caratterizza per il ridimensionamento di Netanyahu e del suo partito, costretti a fare posto a Lapid, lasciandogli mano libera per la realizzazione degli obiettivi culturali, sociali ed economici che hanno portato alla sua elezione. Tuttavia, Netanyahu e gli altri leader nazionalisti della compagine hanno fermamente conservato la guida della politica estera e di sicurezza. La signora Tzipi Livni ha il mandato di guidare il negoziato coi palestinesi, ma con questo governo è davvero assai difficile che un negoziato abbia inizio.

È possibile, dunque, che nei comunicati finali compaia un qualche riferimento di Israele a mantenere aperta l’opzione (sulla base delle condizioni che notoriamente la rendono poco o nulla praticabile), ma è per altri motivi che Obama intende incontrare il nuovo governo israeliano. Sicuramente, per motivi che attengono alla difficile evoluzione strategica della regione e alla realizzazione degli obiettivi Usa durante il secondo mandato Obama.

Da parte di Netanyahu e di Israele c’è, del resto, lo stesso desiderio. In entrambi i casi, l’evoluzione in corso rende il tema molto urgente. La chiave dell’incontro potrebbe dunque essere la concorde necessità di tracciare una rinnovata e rafforzata partnership strategica fra due paesi che nella configurazione regionale emergente tendono a restare isolati e incontrare crescenti difficoltà.

Approccio regionale
L’obiettivo principale nel secondo mandato di Obama sembra essere un’intesa con l’Iran sul suo programma nucleare. Fra le molti ragioni che tengono gli Usa lontani dal conflitto siriano è possibile che ci sia il desiderio di astenersi da uno scontro militare, sia pure indiretto, con l’Iran, inclusa la fornitura di armi ai ribelli. Non è neppure escluso che Washington sia pronta ad un accomodamento sulla Siria se questo servisse a raggiungere un conveniente compromesso sul tavolo nucleare.

In questa prospettiva, non c’è dubbio che Obama rinnoverà ad Israele la richiesta di astenersi da gesti e provocazioni militari verso Teheran, lasciandogli il campo libero nei suoi negoziati. Questa richiesta potrebbe essere rafforzata da misure di pianificazione militare congiunta e dall’avvio di meccanismi di consultazione sulla sostanza dei negoziati.

Una seconda area di intesa strategica riguarda l’Egitto. Nella sua opera di distanziamento dalla regione, Washington non ha posto ostacoli, anzi ha favorito l’ascesa dei Fratelli Musulmani in Egitto. Questi si sono impegnati a rispettare il Trattato di Camp David con Israele. Nella prospettiva americana, questo impegno è garantito non solo dall’appoggio politico che Washington ha fornito al partito dei Fratelli, ma anche dal ruolo che gli stessi hanno preservato ai militari (nel quotidiano e nella nuova costituzione) nonché dall’aiuto economico che gli Usa assicurano all’Egitto.

Washington ha appoggiato il prestito di 4,8 miliardi di dollari che il Fondo monetario internazionale ha predisposto per il Cairo e, nel corso dell’ultima visita del nuovo segretario di Stato John Kerry, hanno promesso un pacchetto di 450 milioni dollari. La permanenza del Trattato di Camp David, incluso l’annesso militare, è un punto essenziale nella strategia americana di ritiro dalla regione. Questo interesse unisce fortemente americani e israeliani. L’incontro dovrebbe quindi servire a mettere a punto una serie di politiche comuni, che riguardano soprattutto il Sinai, l’apertura di Gaza e i rapporti con Hamas.

Mano tesa
In terzo luogo, la crisi siriana crea tutta una serie di minacce per Israele, a causa dei gravi fattori di instabilità che da questa crisi si trasmettono verso il Libano, la Giordania, l’Iraq e la Palestina. Israele in questi ultimi anni ha concentrato le minacce alla sua sicurezza sull’Iran, ma intanto l’attacco al regime di Assad e la rottura con la Turchia lo hanno fortemente isolato anche nel suo vicinato. Obama arriva in Israele dopo che il primo ministro turco Erdoğan ha dichiarato – mentre il segretario di Stato Usa visitava la Turchia – che il sionismo è un crimine verso l’umanità (accostandosi vividamente ad Ahmadinejad).

Il Vicino Oriente è diventato più pericoloso per Israele e ciò non può che preoccupare gli Stati Uniti: sia in generale rispetto al loro irremovibile impegno verso la sicurezza di Israele, sia più specificamente perché le minacce che si addensano su un Israele oggi più isolato che mai costringerebbero gli Usa a interrompere la loro marcia di allontanamento dal Medio Oriente.

Un’intesa sulle politiche e la pianificazione è qui più difficile, perché si tratta di assicurare che Assad sia rovesciato ma non dai jihadisti, che l’Iran sia contrastato nella guerra fra “prozie” in corso in Siria, che Hezbollah non riceva armi o almeno troppe armi: tutti obiettivi che richiederebbero un impegno più diretto, che gli Usa invece stanno facendo di tutto per non prendere. Ironicamente, Francia e Gran Bretagna potrebbero diventare interlocutori strategici più interessanti. Ma l’interesse preminente Usa per la sicurezza di Israele resta e, quindi, i due partner troveranno forme e modi rassicurazione reciproca.

Le alleanze e le partnership strategiche americane nel Mediterraneo e Medio Oriente sono indebolite dalla strategia di ritiro e ridimensionamento della presenza Usa. Quella con Israele è probabilmente destinata a rafforzarsi proprio a causa dell’indebolimento delle altre. È assai verosimile perciò che la visita di Obama serva proprio a questo.

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