La Francia dopo il Mali
Nelle montagne dell’Adrar degli Ifoghas, nel nord del Mali, le truppe francesi sono uscite vittoriose dalla battaglia dell’Amettetaï: il movimento operato dalle truppe di fanteria della Marina (una volte chiamate fanteria coloniale) da una parte, il contingente ciadiano e i paracadutisti della legione straniera dall’altra stanno stanando l’organizzazione di Aqmi nel Mali, fiaccandone le capacità logistiche.
Asse con Washington
Gli uomini del secondo reggimento paracadutisti della legione hanno perlustrato a piedi la catena dell’Adrar per bonificare le numerose grotte, incontrando spesso una robusta resistenza, come dimostrato dal numero di perdite sia francesi che ciadiane. La capacità nel condurre questo tipo di operazioni va ricongiunta con l’esperienza recente di contro-insurrezione nelle valli della Kapisa in Afganistan, ma anche con gli interventi passati nel Ciad e in Algeria.
La riuscita dell’azione militare francese in Mali sta producendo una serie di riflessioni: la prima è la evidente costatazione dell’efficacia di una missione strutturata e realizzata da un singolo paese, quindi non in coalizione, per uno scenario ad alta intensità di combattimento. Il contributo decisivo fornito dalle truppe ciadiane illustra inoltre l’utilità militare di alleati regionali non propriamente democratici ma meno riluttanti all’impiego della forza.
In questo scenario, la Francia sta anche guadagnando peso nei confronti degli Stati Uniti. Molti dimenticano la profondità e l’importanza dell’alleanza militare fra Parigi e Washington, avvalorata dalla stretta collaborazione in materia di intelligence. Nel contesto attuale segnato dalla volontà di un relativo disimpegno degli Usa dal quadrante europeo − espressa nel concetto di burden sharing − la leadership francese nell’operazione in Mali rappresenta un modello di grande interesse, già illustrato dall’apprezzamento espresso dal Vice-Presidente Biden nella sua recente visita a Parigi. La Francia si sta quindi affermando come l’interlocutore privilegiato degli Stati Uniti per le questioni inerenti la difesa in Europa, a scapito anche del Regno Unito, alleato fedele di Washington ma spesso lontano dal cuore del vecchio continente.
Infine bisogna osservare come l’intervento francese ricongiunga sia la sua politica post-coloniale, la lunga tradizione di interventi in Africa, con i più recenti impegni volti alla difesa della sicurezza internazionale sotto mandato delle Nazioni Unite realizzati in coalizione con altri paesi. Si tratta di un trend già osservato con l’intervento in Libia e oggi ulteriormente rafforzato con l’operazione in territorio africano.
Rinazionalizzazione?
Si potrebbe quindi giungere alla paradossale conclusione di una ri-nazionalizzazione della politica di difesa francese, inserita in un contesto di difesa della sicurezza internazionale. Se questo modello sta dimostrando i suoi pregi nel quadro di operazioni ad alta intensità, è necessario comunque saperne riconoscere anche gli aspetti contraddittori.
È attualmente in corso uno sforzo di revisione strategica della politica di difesa francese sotto la forma della redazione di un libro bianco. La volontà di riduzione del deficit pubblico impone tagli in ogni settore, incluso quello della difesa: se il ministero delle Finanze mira a diminuirne il budget a 28 miliardi di euro, a sua volta quello della Difesa spera di mantenerlo a quota 31.5; la lotta quindi si annuncia particolarmente aspra.
Quasi certamente i preannunciati tagli ci saranno, il che significherà privarsi di risorse umane e ridurre alcuni investimenti in equipaggiamenti. D’altro canto l’intervento in Mali ha evidenziato le necessità di colmare alcuni gap di capacità nell’ambito della logistica e dell’intelligence: mentre le forze francesi aspettano con urgenza l’entrata in funzione dell’aereo da trasporto A400M, il ministero della Difesa sta aprendo parallelamente una trattativa in forma privata con l’americana General Atomics e l’israeliana IAI per acquisire droni di tipo MALE.
Questi elementi confermano quindi la volontà della Francia di non rinunciare alle sue capacità di condurre autonomamente una missione sul modello maliano. I tagli potrebbero portare sia a un’ulteriore riduzione delle Forze Armate, sia all’abbandono di alcune componenti della forza di dissuasione nucleare, come ad esempio la componente aerea assicurata dai velivoli Rafale.
Francia e Ue
Dal momento che i tagli avranno comunque conseguenze significative sulle capacità militari, la Francia non può tuttavia abbandonare la sua tradizionale linea di sostegno a un’Europa della difesa. In quest’ottica, la visita di François Hollande del 6 marzo a Varsavia è stata l’occasione di riunire sia i paesi del gruppo di cooperazione di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia) sia quelli del triangolo di Weimar (Polonia, Germania e Francia).
Il Presidente francese ha rilanciato la volontà di rinforzare la cooperazione europea in materia di difesa con un discorso che rifletteva la posizione critica nei confronti di un’Europa intenta a lasciare a Parigi l’arduo compito di risolvere la crisi del Mali. Inoltre, il ricondurre la richiesta di uno stato maggiore permanente europeo, vecchia rivendicazione francese, non nasconde la debolezza dei progetti di difesa comune.
Nel passato, la Francia ha spesso considerato la politica europea della difesa come mezzo per risuscitare la Grande Armée di napoleonica memoria, ovvero una struttura francese alla quale venivano ad integrarsi vari reggimenti europei. L’esempio del Mali dimostra la validità di questo concetto in termini di efficacia al combattimento ma allo stesso tempo suppone una serie di deleghe e/o cessioni di sovranità alquanto irrealistiche nell’odierno contesto europeo di relativa transizione federale.
Dopo la fine dell’intervento militare del nord del Mali, si entrerà a breve in una fase di ricostruzione e di mantenimento della sicurezza nella quale altre e diverse capacità europee, sia militari sia civili, saranno chiamate a dare il loro contributo. In modo pragmatico si potrebbe quindi considerare che a seconda delle fasi, potrebbero essere richiesti diversi modelli di coalizione.
La Francia oggi sembra uno dei pochi paesi in grado di affrontare la decisione di un intervento armato di alta intensità, anche considerando i legittimi vincoli politici e istituzionali di altri partner europei come l’Italia o la Germania. Bisogna pero sottolineare che la fase di combattimenti intensi è essenziale ma anche breve. A questa seguono fasi di stabilizzazione per le quali necessariamente dovranno intervenire differenti capacità e competenze condivise da molti paesi europei.
Da un punto di vista strettamente europeo, è possibile intravedere una lettura pessimistica dell’intervento francese in Mali, considerandolo come uno strappo, un tornare indietro rispetto al difficile cammino verso una politica di sicurezza e difesa comune. Allo stesso modo però si può ritenere il caso Mali come un “piccolo Afghanistan”, nel quale prima una potenza esercita un ruolo di leadership per poi essere assistita da una coalizione di paesi.
Seguendo quest’ultima logica, la leadership francese nel paese africano non sarebbe certo piu criticabile di quella statunitense in Afghanistan. Ed è magari con tale approccio pragmatico che i partner europei dovrebbero considerare il futuro delle cooperazioni militari con la Francia, in Mali o altrove; un approccio che lascia inoltre la possibilità di rafforzare gli strumenti e l’impegno comune europeo per quelle operazioni militari a più bassa intensità di combattimento.
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