Appoggio europeo ai ribelli siriani
Secondo quanto si apprende, Regno Unito e Francia sono giunti alla determinazione di fornire armi adeguate alle forze che si oppongono al regime di Assad in Siria. Chiederanno di porre il tema in discussione in ambito Ue affinché l’embargo comunitario sulle armi attualmente in vigore sia dismesso. Ma il primo ministro britannico Cameron e il presidente francese Hollande, così come i rispettivi ministri degli esteri Hague e Fabius, parlano come chi è intenzionato ad andare avanti comunque, anche in mancanza di un accordo Ue. “Not out of the question we may have to do things in our own way” ha affermato David Cameron, secondo l’emittente britannica Bbc (riferendosi alla Siria, ma esprimendo un punto di vista britannico verso l’Europa che comincia a generalizzarsi).
Escalation
Queste dichiarazioni vengono dopo che John Kerry, il nuovo segretario di Stato americano, ha invece di nuovo escluso la cessione di armi nella riunione della Coalizione nazionale siriana avvenuta a Roma il 28 febbraio scorso. In quell’occasione, Kerry ha promesso un aiuto supplementare di 60 milioni di dollari, destinato però a materiali non letali. Qualche commento occidentale ha visto nelle dichiarazioni di Kerry uno “shift”. Ma qualche giorno più tardi il ministro degli esteri saudita in una conferenza stampa con Kerry ha seccamente negato qualsiasi shift e criticato vivamente gli Stati Uniti per la loro inerzia. Perciò, è dall’Europa che sembra arrivare una risposta interventista, più in linea con gli auspici arabi di quella americana.
La posizione sulla Siria che stanno ora assumendo Francia e Gran Bretagna è semplicemente la continuazione dell’intervento in Libia e di quello in Mali. È una reazione razionale in una situazione in cui, da un lato, i conflitti che tormentano il Medio Oriente e le loro conseguenze sono una minaccia innanzitutto per i paesi europei e, dall’altro, l’amministrazione Obama sta confermando e consolidando nel suo secondo mandato la determinazione a non lasciarsi coinvolgere in questi conflitti, lasciando gli europei scoperti.
In effetti, la minaccia sembra allargarsi. Gli ultimi tre-quattro mesi di intelligence dicono che l’Iran ha significativamente moltiplicato i suoi sforzi di rifornimento di armi e personale al regime di Assad. I rifornimenti vengono effettuati via area passando nello spazio iracheno. Essi avvengono anche passando nello spazio aereo turco per arrivare a Beirut ed essere di qui trasportati in Siria su gomma. Nel frattempo continuano anche i rifornimenti da parte della Russia. Inoltre, i membri di Hizbollah sono in piena mobilitazione e combattono sui vari fronti del conflitto.
È dunque in corso un serio sforzo dell’alleanza siro-russo-iraniana per ribaltare il vantaggio conquistato dai ribelli sunniti negli ultimi mesi e riprendere in mano l’iniziativa. A fronte di questi maggiori sforzi di sostegno al regime degli Assad, le forniture di armi di Turchia, Arabia Saudita e Qatar non appaiono all’altezza. Negli ultimi mesi ci sono state forniture di armi dalla Croazia, acquistate dai sauditi e trasportate da aerei giordani – forse “led from behind” dagli Usa – ma rispetto alla mobilitazione degli alleati di Assad si tratta di operazioni marginali, sia per la quantità che per la qualità delle armi e dei sostegni forniti.
Settarismo
L’iniziativa di Francia e Regno Unito, probabilmente concordata con gli Stati Uniti, prende senza dubbio spunto da questa evoluzione e potrebbe aprire una nuova fase in un conflitto molto aspro le cui sorti appaiono tuttora incerte. Tuttavia, l’iniziativa supera una lunga fase di esitazione e incertezza sul piano militare, ma non la vaghezza degli obiettivi politici che l’Occidente persegue.
Se l’appoggio militare occidentale favorisse la vittoria della eterogenea coalizione di forze sunnite che oggi combattono contro Assad – che va dagli islamisti moderati ai jihadisti e ai qaidisti – l’Occidente otterrebbe una vittoria geopolitica importante verso l’Iran, che sarebbe però assortita dall’affermazione di tendenze molto conservatrici nell’insieme del mondo arabo e quasi certamente accompagnate da forti instabilità e conflitti settari fra sunniti e fra questi ultimi e tutti gli altri. Le vittime della vittoria sunnita sarebbero l’Iran e la Russia, ma anche i cristiani, gli alawiti , i curdi e ogni altra minoranza.
La differenza fra la Libia e la Siria è che nella prima esiste un gruppo dirigente nazional-liberale che, per quanto estremamente debole, ha molto chiara la necessità di stabilire un regime basato sulla cittadinanza (e d’altra parte nelle elezioni ha ricevuto un chiaro mandato popolare in questo senso).
Un gruppo analogo non esiste o è drammaticamente minoritario in Siria. Qui infatti il confitto tendeva ad essere democratico e nazionale all’inizio, ma in quella fase l’Occidente ha assolutamente rifiutato ogni coinvolgimento e ha lasciato invece che fossero i suoi alleati regionali, la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar e la Giordania a intervenire. Ciò ha accentuato la dimensione settaria del conflitto fino a trasformarlo in quello che è oggi. Politicamente l’intervento europeo di oggi non può evitare di essere a rimorchio di obiettivi sunniti (turchi, sauditi, etc.) che solo in parte coincidono con quelli occidentali di stabilità e modernizzazione politica.
Dire se l’iniziativa franco-britannica sia benvenuta o meno non è facile. Allo stato, per essere militarmente efficace dovrebbe avere una considerevole ampiezza logistica e di intelligence (non viene meno infatti la necessità di una discriminazione nella distribuzione delle armi alle brigate), ma non sappiamo se sarà possibile realizzare un’iniziativa di ampiezza adeguata. Ma anche se l’iniziativa riuscisse ad essere efficace sul piano militare, il suo significato politico resta incerto ed ambiguo. Probabilmente, un impegno europeo più largo ed ampio sarebbe necessario, ma su questo quasi certamente non si può contare.
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