IAI
Intervista a Roberto Aliboni e Maurizio Massari

L’Italia davanti all’ascesa islamista

8 Feb 2013 - Azzurra Meringolo - Azzurra Meringolo

Se c’è una cosa che gli eventi in Mali e in Algeria hanno confermato è che il bacino sud del Mediterraneo, area che da sempre rappresenta una zona di particolare interesse strategico per l’Italia, sarà una delle principali preoccupazioni della politica estera della prossima legislatura. Mentre i paesi attraversati dalle Primavere arabe sono indaffarati nelle loro complesse e incerte transizioni, l’Italia dovrà in primis individuare le priorità della sua agenda regionale.

Secondo il professor Roberto Aliboni, consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali ed esperto di Medio Oriente, non ci sono dubbi. “L’ascesa degli islamisti jihadisti nel Sahel è una nuova sfida. Noi europei eravamo abituati a localizzare questi gruppi in Asia centrale, invece sono molto più vicini. In questo momento gli Stati Uniti non sembrano intenzionati ad occuparsene e quindi dovremmo pensarci noi”.

La questione centrale sulla quale dovrebbero concentrarsi le energie di chi si occuperà di politica estera resta però il rapporto con le forze islamiste più moderate che sono alla guida dei paesi delle Primavere arabe. “Si dovrà capire che cosa ne è dei partiti islamisti di centro, se questi faranno dei progressi e se sapranno costruire programmi verosimilmente democratici. In tal caso, la politica sarebbe quella di appoggiare tali partiti e il loro governi. Il tutto per dare stabilità alla regione, consentire l’afflusso di aiuti e la ripresa economica” aggiunge Aliboni.

Già nei mesi scorsi, l’Italia del governo tecnico ha pensato di stringere relazioni con questi paesi, siano esse economiche, commerciali e culturali. Secondo Maurizio Massari, inviato speciale del Ministero degli Esteri per il Mediterraneo e Medio Oriente, oltre a continuare su queste piste bisognerà ampliare la rete e intensificare i rapporti. “Oltre ai governi, sarà importante coinvolgere le diverse componenti della società civile: giovani, donne e realtà economiche emergenti.

Lo scenario politico di questi paesi non è limpido e molte decisioni andranno prese in fretta. L’Italia ha un forte potenziale in questa regione ed è interesse reciproco mantenerlo vivo. Se viene presa una decisione strategica nei confronti di questi paesi, bisognerà anche adeguare le risorse nazionali e investire molto di più rispetto a quello che è stato fatto fino ad ora”.

Occhi aperti su Damasco e Gerusalemme
Resta aperta poi la questione siriana, problema sul quale il nuovo governo dovrà confrontarsi alla luce di future evoluzioni. Secondo Massari, qualora la situazione si sbloccasse e la Siria entrasse nell’epoca post Assad, potrebbe rendersi necessaria la creazione di una forza stabilizzatrice internazionale.

L’eventuale partecipazione dell’Italia in questa forza di peacekeeping “non dovrebbe però avere conseguenze dirette sulla missione dell’Unifil” la forza di interposizione italiana in Libano sotto egida delle Nazioni Unite. “Dobbiamo tenere salda la nostra presenza ( circa 200 unità che hanno il compito di stabilizzare la frontiera tra Libano e Israele, ndr). La prossima legislatura dovrebbe mantenere lo status quo”.

Infine, il prossimo Parlamento non potrà ignorare il conflitto israelo-palestinese. Votando a favore del riconoscimento della Palestina come paese osservatore all’interno delle Nazioni Unite, lo scorso 29 novembre il governo Monti ha sollevato polemiche non solo israeliane, ma anche del centrodestra italiano che negli ultimi anni si era allineato su una posizione differente.

“In questi decenni, l’Italia si era tenuta su una linea di appiattimento rispetto a quella seguita dagli Stati Uniti e anche in quest’ultima occasione ci si sarebbe aspettati un voto italiano contrario alla richiesta palestinese. La decisione presa dal premier Mario Monti è però difficile da analizzare e bisogna ancora capire se questa discontinuità rispetto alla linea di Silvio Berlusconi rifletterà un cambiamento nella politica estera italiana. Quello che sappiamo è che se a vincere sarà il centro sinistra, l’approccio italiano a questa questione sarà differente” spiega Aliboni.

L’Italia al fianco di potenze internazionali
Nell’affrontare tutte queste questioni, l’Italia non potrà essere sola, ma dovrà dare il suo contributo, muovendosi in concerto con le potenze europee, quelle del Patto Atlantico e gli altri attori internazionali. In ambito europeo, servirà una seria riflessione sul futuro dell’Unione del Mediterraneo.

“Sta vivendo in un limbo” chiosa Aliboni”. Rispetto all’ambizioso progetto politico ed economico iniziale, l’Unione ha cambiato faccia. Quello che resta ora è la possibilità che questa diventi un’agenzia economica per realizzare dei progetti. Non ha però un finanziamento adeguato e questo è assicurato solo dall’Unione Europea, anche se il progetto iniziale era contro il partenariato euromediterraneo”.

Visto l’incerto futuro europeo, anche gli stati arabi sembrano perdere interesse nel progetto politico di questa Unione, restando attratti solo dalle prospettive economiche. Questa piattaforma non sembra quindi in grado di costruire un ponte tra nord e sud del Mediterraneo. “L’Italia stessa non ha avuto molto interesse nell’Unione” conclude Aliboni.

Strumento in parte alternativo sembra il Foromed, la piattaforma cinque più cinque che raccoglie stati arabi – Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia – e Paesi europei –Francia, Italia, Malta, Portogallo e Spagna. “Si tratta di un progetto più compatto rispetto all’Unione e sta assumendo una competenza sempre più specializzata e una fisionomia efficace.

Anche questa iniziativa ha però i suoi limiti. Non include l’Egitto, un paese centrale per il dialogo tra le due sponde del Mediterraneo” nota Massari. “Si potrebbe quindi pensare a un allargamento ad altri paesi, auspicando la creazione di un foro di dialogo concreto, in grado anche di realizzar progetti di cooperazione. Questa dovrebbe essere una piattaforma mediana tra il ristretto Foromed e la troppo ampia Unione del Mediterraneo”.

.