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Nuovo parlamento

La sorpresa delle elezioni israeliane

28 Gen 2013 - Maria Grazia Enardu - Maria Grazia Enardu

Le elezioni in Israele consegnano una Knesset spaccata quasi perfettamente a metà, 61 a 59, usando con la massima elasticità il concetto di destra e non destra. Nella prima categoria rientrano il Likud, Habait Hayehudi ma anche i due partiti religiosi; nella seconda tutto il resto: il centro, la sinistra e pure i partiti arabi che per convenzione non scritta non fanno mai necessariamente parte di alcuna maggioranza.

Risvegli
Il primo dato, di fondamentale importanza, è l’affluenza alle urne, salita del 4% rispetto alle elezioni del 2009 e in controtendenza con le ultime tornate. Le file a urne aperte avevano allarmato il primo ministro Natanyahu, che aveva fatto un appello ai suoi: correte a votare. Sapeva infatti che quell’aumento era contro di lui.

Israele si è svegliato, dopo una lunga ingessatura che lo portava, nel dubbio, a votare a destra. Non si governa con 61 deputati, per di più, quasi metà della Knesset è di facce nuove, poco esperte.

I numeri dicono quindi che il rischio di nuove elezioni è alto, ma solo dopo che avranno approvato il bilancio, causa prima dello scioglimento anticipato e madre di tutte le battaglie della Knesset. Un bilancio di tagli molto rilevanti, che richiede una manovra complessa.

C’è stato il successo del centro, inaspettato. Kadima, che in realtà era una succursale moderata del Likud, ha superato a stento la soglia del 2%, con un paio di seggi, perdendone 26.

Tutti gli altri voti sono emigrati, i più conservatori probabilmente verso il Movimento appena fondato da Tzipi Livni, nata e cresciuta nel Likud, ma gli altri sono confluiti nella novità “C’è un futuro”, il partito fondato tra lo scetticismo generale, da un giornalista, Yair Lapid, che ha persuaso molti indecisi o quasi astenuti assorbendo il voto di protesta. Lapid, del resto, è un cognome famoso: suo padre Tommy fondò un partito, Shinui (cambiamento) anticlericale e radicale, rimasto nella memoria di molti. Chi ha votato Yair oggi lo ha fatto tuttavia anche sperando che non ripercorra la stessa strada del padre, che non è andata molto oltre l’ostruzionismo velleitario.

Con 19 seggi sbucati dal nulla, Lapid deve dimostrare due cose inconciliabili: di saper fare politica nelle sedi istituzionali e nei corridoi, senza rimanerne intrappolato . È un giornalista, conosce bene classe dirigente del paese, ma anche lui ora deve sporcarsi le mani entrando nella mischia.

Il listone formato dal Likud del primo ministro Benyamin Netanyahu e dal partito dell’ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, pura alleanza elettorale, non è quindi riuscito a sfondare. Netanyahu ha perso, per ragioni interne, politiche ed economiche, e per aver portato il paese all’isolamento internazionale e a una frattura composta con gli Stati Uniti di Obama. L’aver puntato apertamente sul repubblicano Romney è stato il disastro finale.

Ma soprattutto ha ignorato il movimento delle tende, dell’estate 2011, ha deluso la classe media, preoccupato i militari. La risposta è stata un voto di protesta caratterizzato dalla dichiarata volontà di essere un paese normale. Un paese che vuole sicurezza, ma anche sviluppo e benessere.

C’è il problema dei i palestinesi e quello dell’Iran, ma programmare costosissime operazioni militari è stato un boomerang: nei quartieri dove vivono i piloti militari e le loro famiglie, hanno votato in maggioranza per Lapid, non per Netanyahu. Il Likud inoltre rischia la scissione, se i deputati del movimento dei coloni temessero cedimenti troppo accomodanti.

Incerta primavera
Naftali Bennett, con Habait Hayehudi, astro della destra estrema, ha triplicato i seggi, da 3 a 12, ma sperava di più e non ha i numeri per essere il volano di una destra rafforzata. Sono spariti i due partitini di ultradestra, assorbiti da Bennett e comunque senza quorum. Insomma, una semplificazione.

I religiosi ultraortodossi, nella componente sefardita, Shas, sono rimasti a quota 11, mentre quella aschenazita, United Torah Judaism, è passata da 5 a 7. Un elettorato fedele in crescita demografica, ma che non potrà più premere sul Likud riguardo a questioni centrali e costose come l’esenzione dal servizio militare. Il Likud deve infatti fronteggiare l’elettorato di Lapid, che sogna la separazione tra stato e sinagoga, a cominciare dal bilancio.

La sinistra, con stupore generale, ha avuto un exploit. Meretz, l’unico vero partito socialista rimasto in Israele e dato sull’orlo dell’estinzione, è passato da 3 a 6 seggi. Un piccolo miracolo.

I laburisti, che la leader Shelly Yacimovich considera partito di centro, hanno avuto un modesto incremento, riassorbendo la fazione del ministro della Difesa Barak e passando da 13 a 15: si temeva peggio. Yacimovich non intende entrare in un governo Netanyahu, e vedremo come si muoverà su questo punto.

Da ora in avanti, forse bisognerà guardare a Lapid con interesse vero, e non solo con curiosità. Bisognerà vedere come Netanyahu, che comunque guida il raggruppamento più ampio, pur se decimato, riuscirà a mettere insiee una coalizione. Gli costerà moltissimo e potrebbe uscirne umiliato. Ma ha anche una possibilità di dimostrare finalmente di essere uno statista.

Se dovesse fallire, si aprirebbero scenari ignoti. Un governo a guida Lapid, che ha il secondo raggruppamento, sarebbe una rivoluzione, pura fantapolitica. Più probabili nuove elezioni, al buio.

Martedì 22 gennaio l’elettorato ha fatto la sua parte e dato un segnale fortissimo, è esplosa una primavera di incerta definizione ma ben visibile. Israele ha bisogno di un governo, che riordini all’interno e parli con il resto del mondo. Perché alla fine Israele è una democrazia, e vuole un governo di centro, laico, tollerante, diplomatico.

Ha praticamente detto che vuole la capitale a Tel Aviv, la laica e ormai esasperata capitale reale ha segnato un bel punto contro Gerusalemme, la Giudea e la Samaria, i coloni, l’occupazione, la ricerca infinita di un partner affidabile. Anche i palestinesi dovranno riprendersi dalla sorpresa: dicono che non cambierà nulla e nel breve termine hanno sicuramente ragione, ma sarà bene anche che comincino a riflettere sulle prospettive della nuova situazione.

A Lapid l’augurio più sincero: di vincere le prossime elezioni e, nel frattempo, smentire finalmente l’assioma che vuole Israele incapace di avere un vero partito di centro.

Maria Grazia Enardu è ricercatrice di Storia delle Relazioni Internazionali e docente di Storia di Israele moderno, Facoltà di Scienze politiche, Firenze