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Iraq e Turchia

Il Kurdistan nel nuovo Medioriente

18 Dic 2012 - Umberto Profazio - Umberto Profazio

Nell’ambito della primavera araba e delle molteplici situazioni di crisi degli ultimi mesi, un posto tutto particolare spetta alla questione curda, forse la più sottovalutata nel nuovo scenario mediorientale. I regimi in cui si trovano le più consistenti minoranze curde sono sottoposti a formidabili pressioni esterne, che pongono le premesse per la possibile creazione di nuove entità statali e, anche, di nuovi confini. Di ciò sono consapevoli i curdi stessi, spesso protagonisti di iniziative che ne evidenziano il fermento.

Autonomia curda in Iraq
Il fermento dei curdi esiste da prima della primavera araba, in particolar modo in Iraq. La caduta del regime di Saddam Hussein, in seguito all’invasione americana del 2003, ha posto il problema della nuova struttura statale irachena. La celebre “esportazione” statunitense della democrazia nei paesi sottoposti a rigide dittature, ha avuto come risultato la creazione di uno stato repubblicano federale a Baghdad, con ampie autonomie per la regione del Kurdistan, al nord.

La nascita della Repubblica autonoma del Kurdistan è stata però vista con sospetto da tutti gli Stati vicini e confinanti, a partire dalla Turchia, storicamente impegnata a reprimere le istanze autonomistiche dei curdi nella regione sud-orientale dell’Anatolia, in prossimità dei confini iracheni. Il modello autonomistico curdo in Iraq ha però manifestato, negli ultimi mesi, diverse disfunzionalità: gli scontri tra Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, e il governo centrale di Baghdad sono divenuti sempre più frequenti e hanno messo in dubbio la stabilità istituzionale del paese nella sua interezza.

Disputa sui pagamenti
Segnali di questa conflittualità si sono avuti anche il primo aprile scorso, quando il governo del Kurdistan iracheno (Krg) ha annunciato l’interruzione delle esportazioni di petrolio. Lo stop è stato motivato accusando il governo centrale di Baghdad del mancato versamento di 1,5 miliardi di dollari alle compagnie petrolifere che operavano in Kurdistan. La disputa sui pagamenti in realtà si inquadrava in una questione ben più ampia: Baghdad accusava il governo regionale curdo di negoziare e concludere accordi di esplorazione e sfruttamento delle risorse petrolifere con le principali compagnie del settore, senza la necessaria autorizzazione del governo centrale.

Proprio come accaduto nell’ottobre del 2011, quando la ExxonMobil aveva sottoscritto un contratto di produzione direttamente con le autorità del Kurdistan senza consultare Baghdad. Causando la reazione del governo di Nuri al-Maliki, che ha escluso la ExxonMobil, e le altre compagnie che hanno intrapreso simili azioni, dalle nuove gare per l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse petrolifere irachene.

Nuovi contratti sono stati firmati dal Kurdistan con le principali multinazionali del settore e, vista l’impossibilità di convincere il Kurdistan e le compagnie a tornare sui loro passi, al-Maliki è stato costretto a cedere: nel settembre scorso è stato raggiunto un nuovo compromesso tra le parti, con Baghdad che ha ripreso a versare i pagamenti spettanti alle compagnie operanti nel Kurdistan.

Pericolo di scontri armati
La disputa non riguarda solo questioni economiche ed energetiche, poiché nelle ultime settimane ci sono stati nuovi segnali di scontro aperto. Molto più significativi sono senza dubbio i recenti fronteggiamenti armati tra le parti, che il 23 novembre hanno causato una vittima e diversi feriti a Tuz Khurmato, una città contesa dal Kurdistan iracheno e dal governo centrale.

La motivazione principale di questi scontri è la recente istituzione da parte di Baghdad di un posto di comando militare a Kirkuk, il Tigris Operation Command, responsabile del controllo delle zone settentrionali irachene, comprese quelle disputate con il Kurdistan. Tra le zone contese vi è appunto Kirkuk, importante centro petrolifero, a maggioranza curda ma con forti minoranze arabe e turkmene.Il 28 novembre un accordo sembra aver stabilito una tregua e i primi contingenti iniziano a essere smobilitati da ambo le parti, scongiurando, almeno per il momento, lo scontro.

Turchia e Siria
Ciò che è più interessante notare è la presenza di vere e proprie dispute territoriali tra il Kurdistan e Baghdad, come se si trattasse di due entità indipendenti e separate, rispondenti a logiche sovrane e autonome. Il contesto regionale, in continua evoluzione e pieno di sviluppi imprevedibili, contribuisce ad accendere le tensioni. I continui attacchi aerei da parte delle truppe turche nei confronti dei ribelli del Pkk colpiscono spesso le zone di frontiera curde dell’Iraq, provocando forti proteste a Baghdad. E la recente visita del ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu nel Kurdistan iracheno ha fatto infuriare l’esecutivo di al-Maliki. Anche perché Davutoglu ha fatto tappa a Kirkuk, senza aver comunicato preventivamente le sue intenzioni a Baghdad.

Questi nuovi rapporti tra la Turchia e il Kurdistan iracheno offrono ampie possibilità ai curdi, ma pongono seri dubbi sulla strategia di Ankara. Favorire la più ampia autonomia del Kurdistan iracheno, o anche una sua indipendenza, potrebbe infatti rientrare nella strategia di eliminare un problema interno, favorendo lo sviluppo di uno Stato curdo che diventerebbe quasi sicuramente un problema esterno, almeno per l’Iraq.

Ma le possibilità che la nascita di un Kurdistan indipendente alimenti instabilità anche all’interno dei confini turchi e nell’intera regione sono elevate. Ne è una dimostrazione la recente posizione assunta dalle minoranze curde in Siria, che cercano di restare neutrali durante la crisi tra i ribelli e il regime di Assad. E che, memori dell’attuale apparente successo delle comunità curde in Iraq, hanno recentemente chiesto una riforma dello Stato siriano in senso federalista.

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