IAI
Lotta al terrorismo

L’impiego dei droni dopo Petraeus

18 Nov 2012 - Stefano Borgiani - Stefano Borgiani

Le recenti dimissioni del generale David Petraeus da direttore della Cia aprono uno spiraglio ad un possibile ripensamento della strategia di impiego dei droni (velivoli senza pilota) armati nella lotta contro il terrorismo. Dagli attacchi dell’11 settembre, infatti, la Cia ha investito molto nelle operazioni con droni armati e Petraeus ha consolidato questa politica ordinando l’ampliamento della flotta.

Dal momento che Obama dovrà scegliere il nuovo direttore della Cia, potrebbe cogliere l’occasione per rivalutare il ruolo svolto dai droni. Sebbene non si sia mai opposto all’utilizzo dei droni nella lotta contro i terroristi, Obama potrebbe sfruttare il suo secondo mandato per cambiare strategia, dal momento che queste operazioni stanno sollevando sempre più interrogativi sul piano legale, etico e politico, danneggiando forse gli stessi interessi americani. La Cia, infatti, gestisce i droni da basi segrete, colpendo sospetti terroristi senza alcuna forma di responsabilità verso organismi esterni. Questo potrebbe dare l’impressione che gli Stati Uniti siano un paese “with a permanent kill list”. Obama dovrebbe lavorare con la Cia e il Congresso per riformulare un approccio più strutturato e trasparente nell’impiego dei droni armati.

Tecnologia che seduce
L’impiego di sistemi di controllo remoto nei conflitti moderni rappresenta lo sforzo di trasferire le proprie forze lontano dagli avversari e dal campo di battaglia. La strategia riflette in pieno il concetto di risk-free warfare, dal momento che le operazioni vengono condotte da migliaia di kilometri di distanza in un ambiente “benigno e privo di rischi”. Le nuove armi richiedono una riformulazione delle strategie e degli scenari di guerra e il confine tra la guerra convenzionale e quella strategica appare sempre più sfocato.

La robotica e i sistemi cibernetici sembrano assorbire gran parte delle spese militari e queste nuove tecnologie riducono il tempo tra il rilevamento dell’obiettivo e l’attacco. Anche la struttura delle forze impiegate è in continua evoluzione. L’aviazione militare degli Stati Uniti, infatti, ha dichiarato che sta formando più ‘drone operators’ piuttosto che piloti da caccia e bombardieri.

L’uso dei velivoli senza pilota non è recente; primitivi prototipi privi di equipaggio risalgono alla seconda guerra mondiale. Tuttavia, negli ultimi anni, la tecnologia in questo settore è maturata e i droni si stanno moltiplicando sia in numero sia nelle applicazioni. Sebbene essi siano fondamentalmente impiegati per fini militari, sono anche utilizzati in un limitato ma crescente numero di applicazioni civili tra cui il telerilevamento, la sorveglianza di aeree commerciali (monitoraggio del bestiame, mappatura degli incendi, sorveglianza di oleodotti), la ricerca scientifica e per operazioni di ricerca e soccorso.

Problemi
Se da un lato l’impiego dei droni armati nei conflitti moderni ha costituito sicuramente un vantaggio nelle operazioni militari, dall’altro pone interrogativi sugli effetti collaterali che può comportare nel medio-lungo termine.

L’impatto umanitario non deve essere sottovalutato. Le vittime civili che risultano da tali attacchi sono difficili da registrare con precisione, ma esse sembrano in numero crescente. L’incertezza delle stime è dovuta in parte al fatto che i droni vengono impiegati in aree remote e che le operazioni sono spesso coperte da segreto militare. Una stima prudente del New American Foundation suggerisce, per esempio, che un terzo delle vittime in Pakistan è costituita da civili, mentre secondo il Pakistan Body Count’s la stima è di 50 civili per ogni militante ucciso.

Tra le maggiori preoccupazioni quella dell’impatto psicologico sui combattenti è sicuramente tra le più controverse. L’estraniazione del pilota dalla realtà del teatro operativo e la conseguente aumentata dipendenza dalla componente virtuale (impersonalization of battle) abbassano la soglia operativa aumentando così il rischio di danni collaterali. Infatti, l’operatore, non vivendo in prima persona la realtà del teatro di azione, ha una percezione distaccata della stessa, e ciò influisce sulle scelte operative con conseguenze rilevanti anche a livello di applicazione del diritto internazionale umanitario. Si parla di ‘Playstation mentality to killing’: espressione che indica la dissociazione tra i combattenti e le conseguenze delle loro azioni, come il risultato dell’utilizzo di interfacce che richiamano quelle dei videogiochi.

Quanto alle implicazioni per il diritto internazionale umanitario il dibattito maggiore ruota intorno al rispetto dei principi di proporzionalità e discriminazione. Il principio di discriminazione riguarda il concetto di immunità del non combattente. Nel senso più ampio, il principio sostiene che le parti in conflitto hanno l’obbligo di distinguere tra obiettivi legittimi e non legittimi, una distinzione in base alla natura degli stessi obiettivi. Il principio di proporzionalità, invece, richiede al combattente stesso di determinare se il grado di violenza impiegato nel perseguire gli obiettivi militari è proporzionale all’importanza dell’obiettivo militare stesso.

Tra gli effetti indesiderati, alcuni autori sostengono che la riduzione del rischio per l’operatore sia trasferita verso obiettivi meno protetti e vulnerabili, come le forze di supporto o perfino sulle categorie dei non combattenti (ad esempio i familiari) innescando così una strategia di attacco asimmetrico. Tale meccanismo viene definito risk transfer, dal momento che il rischio non viene eliminato ma soltanto trasferito verso altri soggetti. Inoltre, l’impatto sulle comunità civili non deve essere trascurato. I droni sorvolano 24 ore al giorno le comunità colpendo abitazioni, veicoli e spazi pubblici senza preavviso. La loro costante presenza terrorizza uomini, donne a bambini facendo crescere l’ansia e il trauma psicologico.

Infine, il rischio di proliferazione e di impiego da parte di attori non statuali per fini terroristici è reale e richiede attenzione. La stretta relazione tra la tecnologia drone e quella dei velivoli con equipaggio, così come delle componenti tecnologiche, rende i controlli difficili da attuare (dual use technology). I vincoli posti dal regime di non proliferazione nel settore missilistico (Missile Technology Control Regime, MTCR) hanno limitazioni importanti che, tuttavia, permettono alle imprese aerospaziali di vendere sistemi di gestione del volo progettati per trasformare piccoli aeromobili con equipaggio in velivoli senza pilota (Unmanned Combat Aerial Vehicle, UCAV).

Questo vale in particolare per la tecnologia drone, le cui stesse caratteristiche (le piccole dimensioni, la modularità, la possibilità di conversione, i molteplici usi del velivolo, ecc) rendono difficile da gestire sotto il MTCR.

In definitiva, le attuali disposizioni del regime sono sostanzialmente più efficaci nel controllare la proliferazione dei missili balistici piuttosto che della tecnologia drone. Diverse ragioni spiegano questa diversità. Primo, vi è un consenso abbastanza solido tra i partecipanti del regime a favore della limitazione dei missili balistici, mentre lo stesso non vale per i droni. Secondo, poiché il MTCR esclude il controllo dei velivoli con equipaggio e delle relative tecnologie, gli Stati e i gruppi terroristici interessati possono sfruttare tali tecnologie nel corso del tempo per sviluppare la tecnologia drone. Infine, le disposizioni del MTCR contenute nell’allegato “Equipment, Software and Technology” non hanno tenuto il passo con l’espansione rapida della tecnologia disponibile in commercio, facilitata da una economia globalizzata.

Sfide future
La parte più difficile nel convertire jet privati in un sistema di attacco autonomo consiste nello sviluppare e integrare un sistema di gestione autonoma del volo. Gli Stati sono in grado di tali trasformazioni, ma lo stesso non vale per i gruppi terroristici che necessitano di know-how qualificato, difficile da reperire. Tuttavia, tale aiuto può essere accessibile.

Per rendere il MTCR in grado di gestire i rapidi cambiamenti tecnologici vi è una necessità urgente di valutare l’impatto dei droni armati e non sugli attuali controlli del regime. Poiché le vigenti disposizioni del MTCR possono essere adattate per ottenere controlli maggiori sulla tecnologia drone, il MTCR rimane lo strumento migliore attualmente a disposizione per rallentare il rischio di una proliferazione incontrollata. Pertanto, gli sforzi dovrebbero incentrarsi su una revisione del regime.

Come sottolineato, gli attacchi con droni armati non causano solo vittime civili e danni materiali, ma impattano negativamente sulle attività economiche, sociali e culturali delle comunità colpite. Le conseguenze umanitarie sono spesso sottostimate e devono essere rapidamente affrontate soprattutto alla luce dell’interpretazione e dell’applicazione del diritto internazionale umanitario.

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