L’Araba Fenice della Conferenza sul Medioriente
Avrà luogo la Conferenza sulla Zona priva di armi di distruzione di massa in Medio Oriente in programma per il 2012 di cui è stato ampiamente riferito in precedenti articoli? Ormai siamo agli sgoccioli ed è difficile immaginare che la Conferenza possa essere tenuta entro fine anno ad Helsinki, luogo programmato per l’incontro.
I tre co-sponsor (Regno Unito, Russia e Stati Uniti) non hanno ancora diramato l’invito, nonostante che il Facilitatore, nella persona del finlandese Lajava, abbia fatto il tour delle capitali interessate e messo a fuoco l’architettura, con la definizione dell’agenda, i paesi da invitare, le regole di procedura, ed i seguiti. Il tema è stato ampiamente dibattuto nel secondo seminario del Consorzio dell’Unione europea sulla non proliferazione svoltosi a Bruxelles il 5 e 6 novembre.
Due prospettive a confronto
La Conferenza, che con ogni probabilità sarà posticipata nel migliore dei casi al 2013, non dovrebbe durare più di tre giorni, una settimana. Ma si tratterebbe solo del primo round. I seguiti non sono facili da immaginare. Si confrontano due scuole di pensiero. Secondo la prima, la Conferenza dovrebbe avere per oggetto solo le questioni espressamente dedicate alla sicurezza.
A parere della seconda, è difficile immaginare una regolamentazione della sicurezza, senza risolvere i nodi politici, che sono tanti e non consistono solo nella sistemazione del conflitto israelo-palestinese. Questa seconda scuola di pensiero sembra prevalere, o almeno ha riscosso la maggioranza dei consensi nel seminario di Bruxelles. Il seminario si è svolto sotto gli auspici dell’Ue, attore certamente importante. Ma non va dimenticato che la Conferenza di Helsinki porterebbe l’imprimatur delle Nazioni Unite, che hanno proceduto, tramite il Segretario generale, a nominare il Facilitatore.
L’abbandono dell’idea di una Conferenza per quanto possibile asettica, staccata dagli aspetti più squisitamente politici, non è del tutto convincente. La questione delle armi di distruzione di massa è stata finora un tema di cui sono depositarie le elite mediorientali, espressione dei vecchi regimi, sopravvissute alla primavera araba. In fondo i negoziatori e gli esperti sono gli stessi. È tutto da dimostrare che sia saggio, o almeno conveniente in termini di raggiungimento dei risultati, affidarsi all’opinione pubblica e alle forze sprigionate dalla primavera araba. Tra l’altro talune delle nuove elite non si sono ancora manifestate. Ad esempio al seminario di Bruxelles si è notata l’assenza di una delegazione diplomatica egiziana. Si rischia di prolungare inutilmente il processo.
Contro l’idea della Conferenza asettica si citano i risultati deludenti dell’Arms Control and Regional Security Working Group (Acrs), che doveva accompagnare il processo di Madrid volto alla definizione della questione palestinese. Ma proprio per questo l’Arcs, che si è riunito nel 1992-1995, dimostra il contrario di quello che gli si vorrebbe imputare. Il suo fallimento si potrebbe attribuire non al fatto che l’Acrs trattasse solo problemi di sicurezza, ma alla sua interconnessione con il parallelo processo politico.
Non si nasconde che la sicurezza è strettamente legata alla definizione del quadro politico. Occorrerebbe però una dimensione nuova della sicurezza e dimostrare che essa può essere militarmente ottenuta senza il possesso di armi di distruzione di massa.
In fondo una delle cause del fallimento dell’Acrs è stata la sua timidezza, essendo volto a discutere solo le Csbms e le misure di trasparenza, ma non le armi di distruzione di massa. Molti stati sono vincolati dai trattati che le bandiscono. Non per questo si sentono indifesi e alla mercé di eventuali aggressori.
Per il Medio Oriente occorrerebbe pensare ad un qualche meccanismo che garantisse la sicurezza degli stati privi di armi di distruzione di massa dopo la creazione della relativa Zona. Occorrerebbe cioè pensare non tanto (o non solo) a garanzie negative, quanto a garanzie positive. La loro messa a punto dovrebbe implicare una sorta di patto di non aggressione e il soccorso dello stato attaccato da parte di stati estranei alla regione.
In altri termini ciò che qui viene proposto è un processo inverso a quello generalmente auspicato. Si definiscano i termini di una zona priva di armi di distruzione di massa. L’acquisita sicurezza dovrebbe sprigionare un processo politico ed il conseguimento di obiettivi di soft security, a cominciare dai contatti tra persone, i diritti umani e la cooperazione economica. Per non parlare del terrorismo. Il primo obiettivo sarebbe quello di impedire che i terroristi si impadroniscano di armi di distruzione di massa, obiettivo poco credibile per le armi nucleari, ma niente affatto trascurabile per le armi chimiche o quelle biologiche.
Nubi all’orizzonte
Sulla Conferenza, qualunque sia il suo oggetto, si addensano ostacoli non trascurabili. Ne citerò solo due, il primo insuperabile, qualora l’evento temuto si realizzasse, il secondo di minore importanza e quindi risolvibile. L’Iran ha annunciato che parteciperà alla Conferenza di Helsinki. Il bombardamento dei siti nucleari iraniani, più volte evocato, farebbe fallire ogni speranza di convocazione della Conferenza e ne minerebbe il fondamento. L’esito delle elezioni americane sembra per il momento aver fugato questo pericolo.
Il secondo riguarda la partecipazione della Palestina, che ha ribadito il sostegno a favore della Conferenza anche durante il convegno di Bruxelles. A che titolo parteciperebbe? Come Movimento di liberazione nazionale (Mln) o come stato? La Palestina ha ora aggiustato il tiro. Vista l’impossibilità di divenire un membro delle Nazioni Unite, vorrebbe partecipare all’Assemblea generale in qualità di osservatore, non più come Mln (status di cui attualmente gode), bensì come stato non membro.
La questione è già stata sollevata in luglio alle Nazioni Unite in occasione del negoziato del trattato sul commercio di armi convenzionali ed ha tenuto in ostaggio il negoziato per tre settimane. Se la Palestina condizionasse la partecipazione (necessaria) alla Conferenza di Helsinki alla sua accettazione come stato, due dei co-sponsor (Regno Unito e Usa) porrebbero il veto alla Conferenza (per non parlare di Israele). Ecco che le questioni politiche farebbero di nuovo capolino e metterebbero in forse la stessa convocazione della Conferenza che dovrebbe essere invece dedicata esclusivamente alla sicurezza.
In conclusione quello che viene qui proposto è la convocazione di una conferenza dedicata esclusivamente ai temi della sicurezza, svincolata, per quanto possibile, dai temi più squisitamente politici, estremamente conflittuali e per questo di difficile soluzione (al classico conflitto israelo-palestinese ora si è aggiunta la guerra civile in Siria). La sicurezza dovrebbe far da detonatore al processo politico. Come garantire la sicurezza, una volta stabilita una zona priva di armi di distruzione di massa? Esempi di trattati di garanzia non mancano. Qualora la negoziazione di un trattato rischiasse di bloccare il processo, si potrebbe pensare ad una risoluzione del Consiglio di sicurezza che autorizzasse i tre co-sponsor, collettivamente o individualmente, ad intervenire in caso di aggressione ad uno stato della regione.
.