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Medioriente

Israele e la bomba

4 Nov 2012 - Giorgio Gomel - Giorgio Gomel

In “Israele e la bomba” Avner Cohen, uno studioso israeliano, ha ricostruito le vicende del programma nucleare del suo paese. Al libro, uscito nel 1998, nonostante l’opposizione della censura militare israeliana, è seguito nel 2010 un altro suo saggio “The worst-kept secret: Israel’s bargain with the bomb”.

Ambiguità
Quali i fatti essenziali? Con il sostegno della Francia, Israele iniziò a costruire alla fine degli anni cinquanta un reattore nucleare a Dimona, nel deserto del Negev. La produzione di armi nucleari prese avvio dopo la guerra del ’67. Sospetti, illazioni, ipotesi iniziarono a circolare sui media mondiali negli anni successivi; la prima conferma dall’interno scaturì dalle rivelazioni nel 1986 di Mordechai Vanunu , un tecnico addetto a Dimona, poi catturato a Roma dai servizi segreti israeliani, trasferito in Israele e condannato a lunghi anni di carcere, ora in libertà.

La diplomazia di Israele si è conformata nel corso degli anni ad una posizione di “ambiguità” in materia nucleare. Israele non ha infatti ammesso di possedere armi atomiche e ha ribadito fin dagli anni sessanta, in più occasioni, di non volere essere il primo paese a introdurre dette armi nel Medio Oriente. In coerenza con tale posizione, il governo di Israele non ha sottoscritto il Trattato di non-proliferazione nucleare, così come altre nazioni nucleari (India, Pakistan, Corea del nord).

Quantità e qualità del dispositivo atomico del paese sono ignote. Secondo stime della Federation of American Scientists (2007), Israele disporrebbe di un numero compreso fra 75 e 400 testate e di una moltitudine di vettori – missili balistici a medio e lungo raggio della classe Jericho, aerei, sottomarini della classe Dolphin di produzione tedesca. Sottomarini e missili assicurano a Israele una capacità di reazione (“second strike”) a un attacco atomico.

Questa capacità è un deterrente essenziale, nella dottrina strategica del paese, data la sua particolare topografia – un paese minuscolo, densamente popolato nei suoi centri abitati, circondato da avversari – e storia politica – la sua legittima esistenza nella regione ancora in forse, non riconosciuta da buona parte del mondo arabo e sotto ripetute minacce di aggressione da parte dell’Iran. In più, la necessità di “fare da solo” in caso di guerra, privo come è di una garanzia internazionale della propria scurezza e integrità.

Effetto a cascata
Almeno in due episodi bellici Israele, secondo alcune ricostruzioni, avrebbe posto le sue forze in stato di allerta nucleare: l’8 ottobre 1973, nei primissimi giorni della guerra del Kippur sotto l’avanzare degli eserciti egiziano e siriano, e nuovamente durante l’attacco dei missili irakeni Scud sulle città di Israele nel corso della guerra del Golfo del 1991. Israele ha poi agito unilateralmente per impedire a paesi ostili di dotarsi di armi atomiche, con l’attacco aereo contro il reattore nucleare di Osirak in Iraq nel giugno 1981 e contro un presunto reattore in Siria nel settembre 2007.

È il potenziale di disseminazione di armi di distruzione di massa nel Medio Oriente che preoccupa di più, a mio parere. La stessa “ambiguità” di Israele, cioè l’ammettere la capacità di costruire l’arma nucleare, pur senza riconoscere necessariamente di possederla, può essere uno stimolo perverso per altri paesi ad emulare Israele, annullando così il suo vantaggio strategico e provocando una corsa pericolosa agli armamenti nella regione. Fra questi, l’Iraq degli anni ’80; la Libia che fortunatamente rinunciò al programma nel 2003; la Siria, oggi nel marasma della guerra civile e con ampie dotazioni di armi chimiche e batteriologiche.

Il caso più grave, oggetto di un duro contrasto con la comunità internazionale, è quello dell’Iran, con le sue velleità egemoniche nell’area. L’amministrazione americana ha finora dissuaso Israele dall’intento di sferrare un attacco preventivo contro le installazioni nucleari iraniane. Lo ha fatto, accompagnando l’azione diplomatica con un forte aumento della cooperazione militare con Israele, nelle attività di spionaggio e di sabotaggio informatico volte a inibire il programma atomico iraniano, nello sviluppo di un solido sistema di difesa antimissile.

Usa e Iran
Stati Uniti e Israele sembrano convergere su un punto fermo: impedire all’Iran di dotarsi di armi atomiche. La questione non è quella della mera capacità di produrre dette armi – che il governo di Israele misura nella dotazione iraniana di uranio arricchito al 20%, ma – come affermano gli americani – della volontà esplicita e provata dell’Iran di produrre la bomba. Il che esige uno stock sufficiente di uranio altamente arricchito, la sua conversione in metallo per produrre una testata, il meccanismo di avvio dell’esplosione atomica, i missili balistici capaci di portare la testata sull’obiettivo.

Ma è chiaro che, al di là della contesa fra Iran, Israele e il resto del mondo che si oppone all’arma nucleare nelle mani del regime di Ahmadinejad, il pericolo di una proliferazione di armi atomiche riguarda paesi che sono fieri antagonisti dell’Iran e potenziali imitatori del suo programma nucleare, cioè, l’Arabia Saudita e gli sceiccati del Golfo persico.

Un ultimo elemento di riflessione. La stessa deterrenza offerta dalle armi nucleari contro un’aggressione non-convenzionale è messa in discussione all’interno di Israele. Alcuni opinionisti e studiosi osservano che per un paese piccolo come Israele che fosse totalmente devastato da un attacco atomico il disporre di una capacità di reazione (“second strike”) sarebbe un’opzione tragicamente inutile.

Sarebbe più importante e benefico per la sicurezza del paese un impegno da parte degli stati della regione, verificato puntigliosamente dalle agenzie internazionali, ad evitare di costruire o smantellare, allorché esistenti, propri arsenali nucleari. Qualora questi stati abbandonassero ogni velleità di acquisire l’arma atomica e si giungesse inoltre a un accordo di pace complessivo che garantisse il diritto all’esistenza e la sicurezza di Israele, si potrebbe avviare un negoziato per il disarmo, per affrancare pienamente il Medio Oriente dalle armi di distruzione di massa.

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