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Forze di pace

Il Sinai in bilico tra Egitto e Israele

24 Nov 2012 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Sullo sfondo degli attuali rapporti tra Israele ed Egitto si intravede lo storico negoziato di Camp David del 1978, che permise agli Stati Uniti di mediare tra i due paesi garantendo una condizione stabile alla penisola del Sinai. Parlarne ancora può sembrare un controsenso visto che Gaza sembra la prova del fallimento di quella lucida utopia.

In realtà si tratta di un fallimento parziale, poiché l’odierno assetto politico-militare della Striscia è oramai fuori del campo di applicazione di uno dei due accordi conclusi da Carter, Begin e Sadat, e cioè dal “Framework for Peace in the Middle East”.

Smilitarizzazione
Quello che conserva intatta tutta la sua validità è invece il “Framework for the Conclusion of a Peace Treaty between Egypt and Israel” che è stato poi seguito dall’Accordo di Pace del 26 marzo 1979 (di seguito “l’Accordo”) e dai relativi quattro Annessi, il quale, peraltro, stabilisce il confine tra i due paesi “senza pregiudizio dello status della Striscia”.

In forza di questo accordo Israele accettò, nel 1982, di lasciare il Sinai, occupato durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967, smantellando insediamenti di coloni, basi militari ed installazioni petrolifere ed arretrando di 3 km. dal confine egiziano (la “Zona D”).

In contropartita Israele ottenne che fosse preclusa alle forze militari egiziane una zona ricadente tra i 20 ed i 40 km dai suoi confini (la “Zona C”), ma accettando che l’Egitto potesse presidiare militarmente la sponda orientale del Canale (la “Zona A”). Entrambe le parti si impegnavano sia ad astenersi da atti di belligeranza, che a garantirsi reciproca sicurezza anche mediante l’ausilio di una forza di pace.

Fonte: MFO.

Libertà di navigazione ad Aqaba
Un ulteriore vantaggio fu acquisito da Israele sulla base dell’Art. V dell’Accordo secondo cui: a) alle navi di Israele o facenti capo a porti israeliani è garantita, senza alcuna discriminazione, la libertà di passaggio attraverso il Canale di Suez e le sue rotte di avvicinamento lungo il Golfo di Suez ed il Mediterraneo; b) lo Stretto di Tiran che separa il Sinai dalla Penisola Araba costituisce una via di libera comunicazione internazionale tra il Mar Rosso ed il Golfo di Aqaba (in cui vi è il porto israeliano di Eilat).

L’inziale previsione di una forza d’interposizione dell’Onu fu osteggiata da Russia e Cina costringendo Usa, Egitto ed Israele a dar vita, con un Protocollo del 1981, ad un organismo ad hoc: la “Multinational Force and Observers” (Mfo) che è in esercizio dal 1982.

Gli Stati Uniti forniscono quasi la metà del personale (1.656 componenti provenienti da 12 Paesi) oltre a erogare sostegno economico e militare ad Egitto e Israele ( nel 2010, rispettivamente 1,5 e 3 mld. di Dollari annui).

Anche l’Italia è coinvolta attivamente nella Mfo in quanto, sin dal 1982, ne ospita a Roma la sede (inizialmente negli Usa) e fornisce un contingente navale di 3 pattugliatori della Marina Militare dislocati a Sharm el Sheikh che assicurano, in modo molto apprezzato, la libertà di navigazione nello Stretto di Tiran.

Minaccia beduina
Dopo trent’anni di routine lo scenario del Sinai, con la caduta di Mubarak, è mutato. Ritirate, per fronteggiare i disordini interni, parte delle forze ivi stanziate, si è creato un improvviso vuoto di potere nelle aree orientali in cui all’Egitto è consentito schierare: a) nella “Zona B”, 4 battaglioni di “Border Units” dotati di armamento leggero con il compito di garantire la sicurezza e supportare le forze civili di polizia; b) nella “Zona C” eguali forze di polizia in copresenza di unità della Mfo addette alla sorveglianza.

In conseguenza si sono verificati numerosi attacchi di forze beduine fondamentaliste culminati ad agosto di quest’anno nel tentativo, al valico di Rafah, di sconfinamento in Israele di un commando proveniente da Gaza costato la vita a 16 guardie di frontiera egiziane; a settembre vi è stato uno scontro a fuoco al Campo Nord della Mfo. Ben 14 sono invece stati gli attentati al gasdotto egiziano che attraversa il nord della penisola per rifornire Israele e Giordania e che di fatto ha ora cessato di funzionare.

Fonte: Middle East Voices.

Risposta egiziana
Benché colto di sorpresa, il leader egiziano Morsi ha subito compreso che il pericolo insito nella minaccia poteva essere la perdita di controllo del Sinai che è a tutti gli effetti sotto piena sovranità egiziana; Israele avrebbe potuto inoltre pretendere di sconfinare a titolo di legittima difesa.

Pur se l’Accordo del 1979 non lo prevede, risulta che forze militari egiziane sono intervenute con elicotteri armati nelle aree settentrionali e meridionali a rischio, con il consenso o addirittura su richiesta di Israele.

Sembra anche che il presidente egiziano Morsi abbia dichiarato che per assicurare all’Egitto il pieno controllo del Sinai poteva essere necessario modificare alcune clausole applicative dell’Accordo (l’ultima modifica, relativa al confine Egitto-Gaza, risale al 2007).

La Mfo ha svolto sinora il suo mandato di supervisione in modo impeccabile, secondo I canoni dell’imparzialità del peace-keeping.

Per fronteggiare la nuova minaccia terroristica parrebbe ora necessario o consentire all’Egitto una presenza militare nella “Zona C” (che non sarebbe accettata da Israele) o affidare alla Mfo compiti di contrasto (che l’Egitto considererebbe una violazione della propria sovranità).

La verità è che la complessa architettura dell’Accordo è quanto mai solida e funzionale sia agli interessi di Egitto ed Israele, sia alla volontà Usa di assumersi la responsabilità di preservare l’equilibrio da essi faticosamente raggiunto.

Tutti gli attori (tra i quali è lecito comprendere l’Italia in forza del suo ruolo) paiono perciò consapevoli che non c’è alternativa all’attuale configurazione della Mfo la quale, come evidenziato nel recente Rapporto del 2012, contiene in sé gli strumenti per garantire all’Egitto di mantenere la sicurezza del Sinai.

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