IAI
Caso Abu Omar

La condanna dell’Italia agli agenti della Cia

9 Ott 2012 - Mirko Sossai - Mirko Sossai

Sono definitive le condanne a 7 e 9 anni per i 23 imputati di nazionalità statunitense, contumaci e latitanti, tra i quali agenti della Cia, funzionari consolari e un ufficiale dell’aeronautica, coinvolti nel rapimento di Abu Omar nel febbraio 2003. Si terrà invece un nuovo processo dinanzi alla Corte d’appello di Milano per i cinque componenti del Sismi, tra i quali l’ex direttore Pollari. In attesa delle motivazioni, sono questi i punti essenziali della decisione che la Corte di Cassazione ha pronunciato lo scorso 19 settembre.

Come noto si tratta del primo caso relativo alla prassi delle ‘extraordinary renditions’ ad esser giunto alla fase di merito. La ricostruzione del sequestro di Abu Omar – prelevato a Milano mentre era indagato per terrorismo, trasferito all’aeroporto di Aviano, quindi condotto con un volo segreto dapprima alla base di Ramstein in Germania, senza il beneficio delle garanzie e delle procedure giuridiche dovute nei casi di espulsione o estradizione, e successivamente in Egitto, dove sarebbe stato torturato – evidenzia plasticamente i caratteri qualificanti il fenomeno.

Più volte, anche nel quadro del Consiglio dei diritti umani dell’Onu, si è denunciata la violazione grave di numerosi diritti umani internazionalmente tutelati. In Europa, dal Parlamento europeo e in seno al Consiglio d’Europa, sono stati ribaditi i limiti quanto alla privazione della libertà e al trasferimento di sospetti terroristi derivanti dagli obblighi internazionali cui sono sottoposti gli Stati, compreso l’obbligo di non-refoulement.

Non è possibile approfondire in questa sede la questione della responsabilità internazionale dell’Italia rispetto al rapimento di Abu Omar: resta il fatto che il nuovo processo nei confronti degli ex vertici del Sismi potrebbe offrire ulteriori elementi intorno alla complicità italiana. Va anche ricordato che è pendente un ricorso presentato dallo stesso Abu Omar contro l’Italia alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il segreto di Stato può essere causa di impunità?
Il vero colpo di scena è certamente costituito dall’accoglimento del ricorso presentato dal Procuratore generale da parte della Suprema Corte, che ha così disposto un nuovo processo nei confronti degli ex funzionari del Sismi. La sentenza di primo grado del 4 novembre 2009 aveva dichiarato l’improcedibilità nei confronti dei cinque imputati italiani in ragione del “segreto di Stato opposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e confermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 106 del 2009”: per il giudice monocratico era stato tirato “una sorta di ‘sipario nero’ su tutte le attività operate dagli agenti Sismi […] impedendone in via assoluta la valutazione”.

Tale posizione era stata confermata nel dicembre 2010 dalla Corte d’appello, che non aveva condiviso la tesi avanzata dal Procuratore Armando Spataro in merito a una interpretazione ‘costituzionalmente orientata’ della pronuncia della Consulta sul conflitto di attribuzioni del giudice monocratico contro la Presidenza del Consiglio.

La Cassazione pare invece aver aderito all’impostazione per cui l’area delimitata dal ‘segreto di stato’ – ossia i rapporti fra i servizi segreti italiani e quelli stranieri e gli assetti organizzativi ed operativi del SISMi – non possa in realtà coprire in maniera indistinta e assoluta anche elementi di prova che potrebbero condurre alla condanna dei funzionari italiani.

Si poteva procedere nei confronti degli imputati statunitensi?
La condanna in via definitiva dei 23 imputati statunitensi è giunta pochi giorni prima del viaggio del Presidente del Consiglio Monti negli Stati Uniti. Non vi è dubbio che la sentenza della Cassazione possa rappresentare un nodo politico delicato nei rapporti tra i due paesi. I principali motivi di critica, sollevati anche dalla dottrina statunitense, hanno riguardato sia la compatibilità della disciplina italiana del processo in contumacia con le norme a tutela dei diritti umani, sia il mancato riconoscimento agli imputati statunitensi dell’esenzione dalla giurisdizione penale.

Rispetto a quest’ultimo profilo, i giudici italiani da un lato hanno affermato la sussistenza delle immunità diplomatiche per il responsabile della Cia in Italia e per due segretari d’ambasciata, dall’altro hanno ritenuto non esenti da giurisdizione i due imputati che operavano in qualità di funzionari consolari a Milano al tempo del sequestro. I giudici statunitensi hanno peraltro rigettato, all’inizio del 2012, il ricorso presentato da una dei due consoli contro il Dipartimento di Stato per non aver invocato l’immunità giurisdizionale ad ella spettanti nel corso del procedimento a suo carico.

Da parte statunitense è soprattutto contestato l’esercizio della giurisdizione nei confronti del responsabile della sicurezza presso la Base di Aviano. La materia è disciplinata dalla Convenzione di Londra del 1951 tra gli Stati membri della Nato, relativa allo status delle forze armate. Anziché applicare il principio della giurisdizione concorrente prioritaria dello stato di invio, a seguito dell’asserzione di giurisdizione da parte del Procuratore militare di Aviano, i giudici italiani hanno affermato la propria giurisdizione esclusiva in ragione del fatto che il reato a lui ascritto non sarebbe stato punibile dalle leggi statunitensi. Ciò sulla base di una lettura in realtà discutibile della disposizione dello Uniform Code of Military Justice che punisce i sequestri di persona.

Saranno estradati in Italia?
È questa la domanda che molti commentatori si sono posti all’indomani della sentenza della Cassazione. La materia dell’estradizione dall’estero in Italia è disciplinata sia dalla legge ordinaria, ossia dalle norme del Codice di procedura penale, sia dalle convenzioni internazionali a tal proposito concluse. Tra Italia e Stati Uniti esiste un obbligo di estradare in base al Trattato bilaterale concluso nel 1983, il cui contenuto è stato recentemente integrato a seguito dell’Accordo concluso dall’Unione europea con Washington nel 2003.

Per l’estradizione è decisiva la volontà discrezionale del ministro della giustizia, che è infatti competente a presentare la domanda agli Stati Uniti, su richiesta della Procura generale di Milano. Già nel novembre del 2005 erano stati consegnati al Ministero i fascicoli per l’ estradizione degli imputati statunitensi. Ma nell’aprile del 2006 l’allora ministro Castelli aveva deciso di non presentare le richieste di estradizione.

Va infine ricordato che l’emissione di un mandato d’arresto europeo comporterebbe un obbligo per le autorità degli Stati membri dell’Ue di darne esecuzione: se i 23 condannati statunitensi si venissero a trovare in uno di essi scatterebbe l’arresto e la consegna alle autorità italiane.

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