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Gas

Il tesoro nascosto sotto il mare di Gaza

6 Ott 2012 - Fabio Caffio - Fabio Caffio

Potrebbe finire il limbo in cui giace dal 1999 lo sfruttamento di un ingente giacimento di gas al largo della Striscia di Gaza. La concessione venne rilasciata nel 1999 dall’Autorità nazionale palestinese (Anp), presieduta allora da Yasser Arafat, alla compagnia britannica “British Gas” (BG Group) in compartecipazione con la “Consolidated Contractors Company” (Cci), società conglomerata greca facente capo a gruppi di interesse libanesi ed il “Palestine Investment Fund” (Pif).

La questione presenta implicazioni giuridiche circa i pretesi diritti sovrani dell’Anp sulla Zona economica esclusiva (Zee) e sulla piattaforma continentale antistante Gaza. Ma come ovvio ancor più rilevanti sono gli aspetti politici legati all’occupazione della Striscia da parte di Israele sino al 2008 ed al suo conflitto con la fazione di Hamas lì insediata. Quali le reali intenzioni di Israele?

Gli spazi marittimi di Gaza
Con gli Accordi di Oslo del 1993-95 tra Israele e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), nel cui ambito sembrò attuarsi un primo riconoscimento di quest’ultima come entità giuridica rappresentante il popolo palestinese, si creò una “Maritime Activity Zone” al largo della Striscia di Gaza estesa 20 mg aperta, nella parte centrale, alle attività di pesca e ricreative di battelli autorizzati dall’Anp.

Non si trattava però di una Zee sotto giurisdizione funzionale dello Stato costiero mancando una vera e propria entità statuale, ma piuttosto di una zona che gli Stati firmatari riservavano alla pesca locale. Tale zona fu peraltro ristretta successivamente da Israele che l’ha sempre controllata militarmente per motivi di sicurezza nazionale e che, dopo l’imposizione nel 2009 del blocco navale, ha fissato in tre miglia il limite dell’area di pesca.

Di chi è il gas?
Gli Accordi di Oslo non menzionano lo sfruttamento delle risorse energetiche dei fondali come diritto riconosciuto all’Anp. A questa stregua la concessione rilasciata da Arafat nel 1999 può ritenersi, giuridicamente, un atto nullo come sostiene Israele. Essa può al più considerarsi come espressione de facto di una giurisdizione da parte di un’entità non statuale. Ma anche Israele avrebbe de facto titolo a disporre delle risorse sottomarine al largo di Gaza ed in particolare del giacimento scoperto dalla “BG Group”, il Gaza Marine che ricade al di là della ipotetica zona di pesca.

Come potenza occupante della Striscia a seguito del conflitto del 2008 che la oppone alla fazione di Hamas, Israele ne controlla infatti le frontiere terrestri (escluse quelle con l’Egitto) nonché quelle aeree e marittime, esercitando quindi una sovranità provvisoria cui sono correlati, sulla base della IV Convenzione dell’Aja del 1907 e delle Convenzioni di Ginevra sul diritto dei conflitti armati, sia diritti che doveri verso la popolazione del territorio occupato.

L’art 55 della IV Convenzione dell’Aja del 1907 prevede in particolare che la potenza occupante abbia l’amministrazione e l’usufrutto dei beni dello Stato occupato. Privo di legittimazione appare invece il gruppo di Hamas che è insediato nella parte terrestre della Striscia dopo aver vinto le elezioni ma che è coinvolto in attività terroristiche ed è isolato internazionalmente.

A chi serve il gas?
Il gas del Gaza Marine forse non serve ad Hamas che, sapendo di non poterne disporre, si è già rivolta all’Egitto e poi al Qatar per ottenere il combustibile necessario ad alimentare la centrale elettrica della Striscia, che ad agosto ha ripreso a funzionare pienamente. Il gas potrebbe invece servire all’Anp sia per ricevere royalties da Israele che l’aiutino a superare l’attuale crisi finanziaria, sia per alimentare l’energia della Cisgiordania, territorio da essa amministrato e privo di sbocchi a mare.

Ma sicuramente sarebbe utile a Israele, che infatti ne ha già progettato il trasporto con gasdotto sottomarino sino al terminale di Ashkelon ove affluisce il gas del suo giacimento Mari-B. Tel Aviv ha inoltre necessità nel breve periodo – sino a che non sarà in produzione il giacimento “Leviathan” della sua Zee – di fonti alternative al gas egiziano che gli giunge con intermittenza dal gasdotto del Sinai, più volte oggetto di attacchi terroristici.

Giacimenti e gasdotti di Gaza e Israele

Soluzione equa
Israele ha ora nuovamente a portata di mano la possibilità di disporre del gas di Gaza, grazie alla mediazione condotta da Tony Blair in rappresentanza del “Quartetto” (Nazioni Unite, Unione Europea, Stati Uniti e Russia) che cerca di rimpinguare le casse dell’Anp. Guadagnando inoltre il miglioramento delle relazioni con l’Anp, che mira ad accrescere la sua visibilità internazionale e, per conseguenza, l’ulteriore isolamento di Hamas. E presentandosi anche, forse, come il titolare dei diritti concessori di cui ha disposto de facto per breve periodo l’Anp.

La partita è ovviamente complicata dal fattore relativo alla sicurezza nazionale di Israele, che sinora ha impedito qualsiasi soluzione. Sullo sfondo delle questioni politiche resta comunque il problema giuridico della legittimazione ad esercitare diritti sulla Zee da parte di una potenza occupante, di “non Stati” o di Stati non riconosciuti (si pensi alla disputa sui proventi del gas di Cipro condotta dall’autoproclamata “Repubblica Turca di Cipro del Nord”).

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