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Dopo la caduta di Kisimayo

Il risveglio della Somalia

8 Ott 2012 - Nicola Pedde - Nicola Pedde

Raramente in Somalia ci si è abbandonati all’ottimismo nel corso degli ultimi vent’anni. Non pochi guardano ancora con scetticismo all’evoluzione del quadro politico e di sicurezza che negli ultimi sei mesi hanno interessato – positivamente – il martoriato paese. Non c’è dubbio, tuttavia, che la portata degli eventi in corso sia a dir poco straordinaria, con prospettive decisamente migliori rispetto al passato, nonostante le non poche insidie ancora presenti.

Svolta Usa
Tra le principali ragioni del mutato scenario somalo, deve necessariamente essere inserito il cambio di strategia degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo e alle milizie dell’Al Shabaab. Constatato, infatti, il fallimento dell’iniziativa militare etiopica a sostegno di un governo poco più che fantoccio, e l’altrettanto disastrosa “politica delle cannoniere” – volanti, in questo caso – con cui si intendevano colpire in profondità i centri nevralgici delle milizie islamiche, nel corso degli ultimi 18 mesi gli Stati Uniti hanno radicalmente mutato il proprio approccio alla crisi.

Ascoltando quello che ripetutamente era stato loro suggerito dai somali sin dal 2005, gli Usa hanno optato per un sostegno diretto alle autorità centrali del paese, hanno contribuito significativamente alla rinascita delle Forze armate locali, ed hanno infine sostenuto il ruolo e la capacità operativa delle forze di peacekeeping dell’Unione africana. Queste ultime sono state ulteriormente potenziate dall’ingresso del Kenya, che ha fornito un contributo molto importante nella lotta alle milizie dell’Al Shabaab nel sud del paese e nella provincia di Mogadiscio.

Gli Stati Uniti hanno quindi assunto un ruolo defilato e poco visibile, limitando la loro presenza in loco ad una stazione dell’intelligence sull’aeroporto di Mogadiscio e alla massiccia presenza di Uav a sostegno delle operazioni dell’Amisom e delle forze somale sul terreno.

Alla fine di agosto, inoltre, e terminato il ruolo delle autorità governative transitorie (Tfg), con la promulgazione di una nuova Costituzione (che dovrà essere poi ratificata), l’elezione di un nuovo Parlamento e, soprattutto, per la prima volta in oltre vent’anni con l’elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, Hassah Sheikh Mohamud.

Questa trasformazione istituzionale, garantita dalla presenza sul terreno delle forze dell’Amisom e dalle ricostituite Forze armate somale, ha permesso di riavviare la macchina dell’economia nazionale, ancora largamente basata sulle rimesse dall’estero e sugli aiuti internazionali, e di revitalizzare il supporto della società somala. Che oggi, per la prima volta in vent’anni, spera concretamente nella possibilità di una normalizzazione della situazione e nel ritorno del paese nel novero delle nazioni propriamente dette.

Lotta all’Al Shabaab
Con la caduta di Kisimayo, il 28 settembre, è venuta meno l’ultima vera roccaforte delle milizie islamiche dell’Al Shabaab in Somalia.

Dopo la disfatta subita pochi mesi prima a Mogadiscio e in alcune località della costa meridionale del paese, la città costituiva l’ultimo strumento significativo di sostentamento economico per le milizie islamiche, attraverso i cospicui proventi generati dal porto e dal taglieggiamento degli aiuti umanitari destinati alle popolazioni locali.

La conquista di Kisimayo, possibile solo grazie al ruolo delle forze militari del Kenya che da mesi la cingevano d’assedio, rappresenta quindi un risultato che va ben oltre la mera dimensione militare, sancendo da un lato la dispersione dell’Al Shabaab nelle aree rurali e dall’altra rinvigorendo l’immagine delle nuove istituzioni somale e della loro capacità di conseguire risultati concreti ed altamente significativi per la popolazione.

Gli attentati compiuti a Mogadiscio, Kisimayo e nel Kenya settentrionale nel corso degli ultimi giorni – con effetti peraltro minimi – testimoniano quindi l’incapacità dell’Al Shabaab di fronteggiare una minaccia divenuta ormai insostenibile, dovendo le milizie ricalibrare la propria azione solo sulla gestione di attentati ed agguati. E così facendo inimicandosi ulteriormente la popolazione e disperdendo il residuo supporto su cui potevano contare a livello internazionale.

Strada in salita
Non è certo in discesa, da oggi, il cammino delle nuove autorità somale. I detrattori dell’attuale governo ironizzano sul fatto che l’Amisom e le forze governative controllino effettivamente solo le aree urbane della Somalia centro-meridionale, trascurando tuttavia che la gran parte delle altre aree è desertica, montagnosa o comunque in larga misura non abitata. E quindi non strategicamente rilevante, almeno per il momento.

I veri problemi per il nuovo esecutivo sono invece rappresentati da un gran numero di esponenti politici del nuovo Parlamento di diretta emanazione dei warlords, i “signori della guerra” che hanno devastato il paese e condotto la Somalia alla rovina dopo la caduta di Siad Barre nel 1991.

Gli interessi economici di queste organizzazioni sono intimamente connessi all’instabilità politica del paese, perché sopravvivono solo nell’anarchia e nell’assenza di un’autorità centrale capace di esercitare le leggi e la giustizia. La principale sfida del nuovo Presidente è quindi di riuscire a limitare il ruolo di queste organizzazioni, concedendogli qualcosa in cambio per non scatenarne, come in passato, la violenta resistenza e opposizione. Obiettivo raggiungibile solo se la comunità internazionale continuerà a sostenere la Somalia, possibilmente incrementando il proprio contributo.

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