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Rivolte arabe

L’Unione politica che piace al Golfo

11 Set 2012 - Umberto Profazio - Umberto Profazio

A inizio agosto il segretario generale del consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) Abdulatif bin Rashid al-Zayani ha annunciato che entro settembre verrà discussa la proposta di maggiore integrazione dei membri dell’organizzazione.

La proposta è seguita a mesi di intenso dibattito sull’idea saudita di realizzare un’Unione del Golfo, sul modello dell’Unione europea. Avanzata lo scorso dicembre da re Abdullah, l’idea ha infatti suscitato notevoli polemiche: i suoi critici più feroci temono infatti che possa diventare uno strumento per consolidare l’egemonia regionale di Riyadh.

A prescindere dalle valutazioni di merito, la rinnovata vitalità del Gcc nell’area non può essere sottaciuta, anche in contrasto con l’immobilismo delle strutture politico-sociali dei paesi interessati. Ne sono prova, negli ultimi mesi, l’intervento delle forze militari del Gcc per reprimere la rivolta in Bahrain o anche l’accordo di transizione ai vertici in Yemen, ottenuto proprio grazie all’impegno del Gcc. Ma una più attenta analisi della situazione fa capire perché la contraddizione tra attivismo regionale e immobilismo statuale è, in realtà, soltanto apparente.

Petrolio, gas e integrazione economica
La percorribilità della proposta saudita di trasformare il Gcc in un’unione politico-economica sul modello dell’Ue può essere valutata dal punto di vista economico, politico e militare. Per quanto riguarda l’economia, le strutture produttive dei paesi del Gcc sono senz’altro molto simili, essendo basate soprattutto sull’esportazione di idrocarburi. Nella regione sono presenti i più importanti giacimenti di petrolio e gas del mondo (secondo i dati della BP nel 2011 il 54,2% delle riserve mondiali di petrolio e il 40% delle riserve di gas si trovano nell’area del Golfo Persico).

Sotto questo profilo, il progetto di unione potrebbe avere buone possibilità di successo: secondo la teoria dell’integrazione economica un’unione può funzionare quando i paesi membri hanno una struttura produttiva simile, in grado di massimizzare i benefici comuni. In ambito energetico, tuttavia, la parte del leone la fa l’Arabia Saudita (primo produttore mondiale di petrolio), con Riyadh principale centro d’interessi economico-politici nella regione.

Conservatorismo politico
Non è un caso che la proposta di unione provenga proprio dai sauditi. Gli eventi della primavera araba hanno spinto infatti le monarchie del Golfo a cercare risposte per evitare di essere travolte. Nella regione non si sono registrate crisi tali da minacciare la stabilità delle istituzioni. L’unico caso eclatante è stato quello dello Yemen, dove il presidente Saleh ha abbandonato il potere in seguito ad un accordo di transizione firmato proprio sotto gli auspici del Gcc. Ma lo stesso accordo non ha sostanzialmente contribuito a risolvere la crisi nel paese, anche a causa della perdurante influenza di Saleh e dei membri della sua famiglia a Sana’a.

È del tutto evidente che l’intervento del Gcc in Yemen è avvenuto all’insegna del conservatorismo politico, al solo fine di evitare che la crisi yemenita potesse avere ripercussioni sul già fragile quadro regionale.

E sempre all’insegna del conservatorismo si è svolta la prima e unica operazione militare condotta dalle forze del Gcc nella loro storia: la repressione della rivolta del Bahrain del 14 marzo 2011. La ribellione sciita contro il dominio della monarchia sunnita degli al-Khalifa è stata sedata grazie all’intervento delle truppe dell’Arabia Saudita e degli Emirati arabi uniti (Eau), in seguito ad una espressa richiesta del governo del Bahrain. Ed è stato proprio il governo di Manama ad aver accolto in maniera più entusiasta la proposta di unione che, secondo il piano presentato da Riyadh, dovrebbe iniziare proprio dall’unione tra Arabia Saudita e Baharin.

L’ombra di Teheran
Sullo sfondo rimane il braccio di ferro con l’Iran per l’egemonia regionale. L’uso delle truppe della Peninsula Shield Force nella repressione della rivolta sciita a Manama ha causato le immediate critiche da parte di Teheran, la cui rivalità con l’Arabia Saudita, che segue la frattura religiosa tra sunniti e sciiti, è sempre più accesa.

I piani di riarmo in cui sono coinvolti i diversi paesi membri del Gcc continuano: Arabia Saudita ed Oman hanno recentemente concluso acquisti di jet da compagnie occidentali, mentre gli Stati Uniti che appoggiano il piano di unione del Gcc, sembrano intenzionati a dispiegare un imprecisato numero di F-22 nella base di al-Dahfra negli Eau. Un recente rapporto del Senato americano suggerisce inoltre di mantenere o incrementare la presenza militare Usa in Kuwait.

Oltre a sottolineare l’interesse degli Stati Uniti per una maggiore integrazione regionale in chiave anti iraniana, questo quadro suggerisce un nuovo termine di paragone per l’integrazione dei membri del Gcc: non più, soltanto, l’integrazione economica dell’Ue, ma anche, e forse soprattutto, quella militare della Nato.

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