IAI
Escalation di violenza

Siria, il peggio deve ancora venire

2 Ago 2012 - Andrea Dessì - Andrea Dessì

A un anno e mezzo dallo scoppio della rivolta popolare in Siria non s’intravvedono vie d’uscita, e la crisi peggiora di giorno in giorno. Nessuno vuole un intervento armato, ma con l’aumento degli attacchi e della repressione, una soluzione politico-diplomatica diventa sempre più difficile.

La dinamica settaria del conflitto e gli elevati livelli di violenza fanno da tempo parlare di guerra civile, con ripercussioni preoccupanti per la stabilità dell’intera regione. Dopo il recente attentato che ha colpito al cuore i centri di potere del regime, causando la morte del ministro della Difesa e tre alti ufficiali siriani, la posta in gioco è aumentata e il regime di Bashar al-Assad sta ora conducendo una controffensiva senza esclusione di colpi. Da quasi una settimana il numero di morti è superiore alle 100 vittime giornaliere e, mentre ciò potrebbe far pensare che il conflitto stia alla fase finale, è presto per ipotizzare un imminente crollo del regime di Assad.

Inasprimento
Dopo giorni di duri sconti a Damasco, il regime sembra ora aver ripreso il controllo di molti quartieri della capitale. Il Libero esercito siriano, principale gruppo armato d’opposizione composto da volontari civili e membri delle forze armate siriane che hanno abbandonato il regime, sembra aver optato per una ritirata ‘tattica’ dalla capitale per evitare ulteriori vittime tra i civili. Ma la decisa reazione del regime all’uccisione degli alti ufficiali indica che gran parte è ancora fedele ad Assad.

Le defezioni sono aumentate, ma non abbastanza da mettere a repentaglio l’apparato repressivo: come dimostra la recente escalation di violenza in tutto il territorio siriano, è difficile pensare che il conflitto si risolva in tempi brevi. Poiché nessuna delle parti può sperare in una vittoria schiacciante sul campo di battaglia, si teme un prolungato periodo di violenza durante i mesi caldi dell’estate, un periodo che coincide anche con l’inizi del mese sacro di Ramadan. Data la centralità geostrategica della Siria nella regione, tutto ciò può avere ripercussioni preoccupanti non soltanto in Libano, ma anche in Iraq, Giordania e perfino Israele.

Dagli inizi della sommossa popolare in Siria, scoppiata l’11 marzo 2011 nel villaggio di Dar’a nel sud del paese, si stima che almeno 14.000 siriani abbiano perso la vita negli scontri (19.000 secondo gli attivisti siriani). Stando ai dati rilasciati dall’Osservatore siriano per i diritti dell’uomo, una Ong legata all’opposizione con base a Londra, nel solo mese di luglio i morti sarebbero stati 2.750, il numero più alto di vittime mensili dall’inizio della rivolta(1). Secondo stime dell’Onu, inoltre, il conflitto ha causato più di un milione di sfollati all’interno del paese, mentre l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Acnur), che svolge operazioni di prima assistenza lungo i confini della Siria, dichiara che 36.600 rifugiati siriani sono ora in Giordania, quasi 33.000 in Libano e altri 8.445 in Iraq. A questi si aggiungono i 43.387 che hanno trovato rifugio in Turchia secondo dati forniti dal governo di Ankara(2).

Battaglia per Aleppo
Mentre nella capitale Damasco sembra essere tornata una certa calma, più al nord, nella città di Aleppo, lo snodo commerciale più importante del paese, da giorni si sta svolgendo una dura battaglia . Con 2,5 milioni di abitanti, Aleppo è la città più grande della Siria. Il regime sta ora inviando rinforzi verso la città, inclusi carri armati e mezzi corazzati, e mentre i ribelli dichiarano di aver in mano quasi la metà di Aleppo, si prospetta per i prossimi giorni un duro scontro armato tra esercito e rivoltosi. Secondo vari media, il regime sta usando anche l’aviazione per bombardare le postazioni dei ribelli. È la prima volta dall’inizio della rivolta che il regime fa un uso così massiccio dell’aviazione(3).

In altre zone della Siria i ribelli hanno più libertà di manovra grazie anche alla scelta del regime di concentrare gran parte delle proprie forze militari nelle due città principali, Damasco e Aleppo. Contemporaneamente, i ribelli hanno occupato i tre valichi di frontiera e questi si trovano lungo i confini con la Turchia nel nord del paese e a est verso l’Iraq. A fine luglio, inoltre, il governo turco ha annunciato la chiusura definitiva al commercio tra i due paesi, precisando però che i valichi di frontiera rimarranno aperti ai rifugiati che continuano ad affluire in massa dalle zone più colpite dal conflitto.

Spettro Al-Qaeda
A far ulteriormente lievitare la preoccupazione internazionale sono le notizie di una crescente penetrazione di elementi jihadisti affiliati ad Al-Qaeda. Fonti dei servizi d’intelligence irachene, ma anche tedesche, americane e britanniche hanno dato l’allarme, e nonostante le dichiarazioni (impossibili da verificare) dell’ex-ambasciatore siriano in Iraq ormai alleato dell’opposizione, secondo cui il regime di Assad sta utilizzando gruppi di fondamentalisti islamici per terrorizzare la popolazione, lo spettro di un risveglio di Al-Qaeda in Medio Oriente non può essere ignorato.

Dal dicembre 2011 sono scoppiate in territorio siriano almeno 35 autobombe e sono stati compiuti dieci attentati suicidi, quattro dei quali rivendicati dal gruppo Al Nursa (Al Nusra Front for the People of the Levant) che è legato ad Al-Qaeda. A questo gruppo si aggiungono altre due milizie armate attive in Siria, le Brigate Abdullah Azzam (Abdullah Azzam Brigades) e le Brigate dei martiri di Al Baraa ibn Malik (Al Baraa ibn Malik Martyrdom Brigades) di cui si conosce ancora molto poco. A dare ulteriore credito alla tesi di un incremento di infiltrazioni jihadiste in Siria, vi sono le dichiarazioni del capo di Al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, che ha più volte esortato i seguaci a recarsi in Siria per aiutare i ribelli, elogiati da lui come i “leoni del levante”.

Il timore è che questi gruppi mirino a fomentare lo scontro etnico-religioso in Siria per radicalizzare le posizioni, con sviluppi simili a quanto avvenuto in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein. Tale scenario complicherebbe molto qualsiasi tentativo di stabilizzazione del paese, o di maturazione di una soluzione politica, mentre aumenterebbe ulteriormente il rischio contagio nella regione. Specialmente in Iraq e in Libano, dove le divisioni settarie sono da sempre fonte di profonde tensioni.

(1) Vedi http://www.guardian.co.uk/world/2012/jul/22/syria-death-toll-tops-19000?newsfeed=true.
(2) Vedi http://data.unhcr.org/syrianrefugees/regional.php.
(3) Vedi http://www.washingtonpost.com/world/middle_east/syrian-aircraft-bomb-aleppo-as-rebels-fight-for-city/2012/07/24/gJQApanF7W_story.html.

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