La politica estera non fa più notizia
La parola eclissi indica un temporaneo oscuramento, parziale o totale, di un astro, dovuto all’interposizione di un altro corpo celeste. Mettiamo che l’astro sia la diplomazia e che il corpo celeste sia rappresentato dalla politica interna. Ecco spiegato che cosa succede sulle pagine di esteri dei quotidiani italiani: la diplomazia si sta eclissando. E non si sa quanto il fenomeno durerà, perché il corpo che le sta passando davanti, la politica interna, è quanto mai ingombrante.
In questo fenomeno, un po’ di responsabilità l’ha la stessa diplomazia, inadeguata al sistema mediatico, che mal si coniuga con il riserbo tradizionale di contatti e negoziati. Nel 2011, le Primavere arabe e la vicenda di Wikileaks hanno accelerato la trasformazione del ruolo degli ambasciatori, avvicinandoli sempre più a una trasparenza e, quindi, a una democratizzazione delle loro azioni.
Occasioni mancate
Ma è pur vero che la trattazione mediatica dei fatti di politica estera testimonia una responsabilità dei mezzi di comunicazione nel processo di eclissi: media e giornalisti sono più sensibili ai temi interni che a quelli internazionali e spesso leggono i secondi in funzione dei primi. Il caso dei rapporti tra Italia e Libia all’inizio del XXI secolo è solo un esempio di quanto sulle pagine dei quotidiani sia facile assistere ad una “mediatizzazione dell’effimero”, piuttosto che trovarvi approfondimenti sullo stato e sull’evoluzione delle relazioni fra i due paesi.
Analizzando gli articoli riconducibili ai rapporti tra Italia e Libia apparsi su Corriere della Sera, Libero e L’Unità tra il 2003 e il 2010, emerge una scarsa presenza dei pezzi in prima pagina: a sottrarre spazio al tema sono soprattutto la cronaca e la politica interna; se ne può dedurre un certo provincialismo dei giornalisti italiani, che dedicano poca attenzione alla politica estera, contribuendo al disinteresse da parte del pubblico.
Nel periodo osservato, i fatti che hanno ottenuto una maggior copertura sono le visite di Gheddafi a Roma e la vicenda delle vignette offensive nei confronti di Maometto stampate su una maglietta indossata in pubblico dall’ex ministro Roberto Calderoli: ben più, ad esempio, della firma del Trattato d’ Amicizia fra i due paesi, coronamento di anni di trattative e momento di superamento del passato coloniale.
Berlusconi e Gheddafi
Le visite del leader libico costituiscono dei veri e propri eventi mediatici. Gheddafi è stato accolto in Italia con grande fasto due volte, nel 2009 e nel 2010: in questi casi, l’attenzione dei cronisti è stata tutta rivolta alla teatralità degli eventi, oltre che ad alcuni particolari oggettivamente minori, più che alle motivazioni di fondo degli incontri tra il Qaid e il premier italiano – in entrambi i casi Silvio Berlusconi. Così, tutti sapevano dove Gheddafi aveva piantato la tenda, di quanto era giunto in ritardo all’appuntamento con il presidente della Camera Gianfranco Fini e quante ‘amazzoni’ lo avevano scortato una volta atterrato a Roma o quante ‘vergini’ avevano seguito le sue lezioni di Corano. Il colore diventa il vero soggetto degli articoli, mentre i colloqui politici e il loro contenuto fanno solo da sfondo a queste notizie accattivanti.
Analogamente, nella vicenda delle vignette i veri protagonisti sono l’ex ministro leghista costretto alle dimissioni e il suo partito, mentre restano ai margini le cronache delle reazioni dei libici e pure le considerazioni sulla estrema sensibilità del mondo islamico a certe provocazioni. E questo nonostante le protesta, a Bengasi in particolare, abbiano provocato una decina di vittime e danneggiamenti.
Sorprende, inoltre, la mancata trattazione, nei quotidiani analizzati, del baciamano di Berlusconi a Gheddafi, avvenuto durante un vertice della Lega Araba alla Sirte – il premier italiano era l’unico leader occidentale invitato. È difficile credere che la vicenda non fosse nota ai giornalisti. Pare, piuttosto, trattarsi di scelte di comodo, seppur suggerite da motivazioni diverse, da parte di Libero e del Corriere della Sera, mentre per l’Unità viene piuttosto da pensare a un’occasione di critica mancata da parte del giornale – una lacuna forse favorita dalla latitanza sulla notizia delle agenzie di stampa.
Provincialismo
Dopo lo scoppio delle rivolte del 2011, quando forse pareva più opportuno o comunque meno scomodo parlarne, la vicenda è stata riportata in primo piano. La rivoluzione libica e il coinvolgimento dell’Occidente hanno suscitato un interesse e provocato un cambiamento d’atteggiamento tali da indurre a ‘rivisitare’ i rapporti tra Italia e Libia, servendosi anche di fatti precedentemente lasciati in secondo piano come, appunto, il baciamano in questione.
Nella vicenda italo-libica, non sarebbero certo mancate le occasioni per utilizzare i mezzi di comunicazione di massa per costruire fiducia, avanzare proposte in funzione dei negoziati e costruire il sostegno dell’opinione pubblica agli accordi in fieri: è quella che lo studioso Eytan Gilboa chiama “media diplomacy” e cui sempre più spesso si richiamano le diplomazie occidentali.
È però sembrata mancare la consapevolezza dell’apporto che i media possono dare al successo e alla comprensione dei processi diplomatici: così, fatti che dovrebbero essere secondari diventano il fulcro delle notizie, oscurando cause ed effetti delle trattative a scapito non solo di politici e negoziatori, ma anche, magari, del buon esito dei processi. E l’informazione, in tutto ciò? Fin quando un titolo ‘furbo’ val più di una notizia ‘scomoda’, c’è da farci poco conto.
.