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Verso il nuovo governo

Il tormentato cammino dell’Egitto

31 Lug 2012 - Giorgia Manno - Giorgia Manno

La nomina di Hisham Qandil a primo ministro dell’Egitto, giunta il 24 luglio a tre settimane dall’elezione del presidente della Repubblica Mohamed Morsi , ha colto relativamente di sorpresa il paese, confermando le profonde divisioni che ne paralizzano il sistema politico. Nonostante non sia affiliato ad alcuna forza politica e la Fratellanza ne abbia sottolineato l’indipendenza Qandil è abbastanza vicino a quest’ultima e sembra condividerne le priorità. Per questo la sua nomina è stata molto criticata dalle altre formazioni politiche, che avrebbero preferito un esperto economico e finanziario all’altezza della difficile crisi del paese. La prospettiva di un governo di larghe intese sostenuto da un ampio raggio di forze politiche, cui sta puntando il nuovo primo ministro, sembra dunque tutta in salita.

Coniglio dal cilindro
Già ministro per le risorse idriche del precedente governo e scarsamente conosciuto in patria e all’estero, Qandil è stato eletto dopo la rinuncia di diversi altri candidati che hanno giudicato inadeguato (e fazioso) il programma di governo dei Fratelli musulmani.

I poteri del governo che Qandil dovrà nominare, saranno comunque molto limitati. I due reali centri di potere del paese rimangono infatti la presidenza e il Consiglio supremo militare (Csm) che mantiene un potere di veto sulla nomina di quasi tutte le cariche più importanti. L’equilibrio tra le istituzioni, il processo decisionale e gli sviluppi del quadro politico rimangono estremamente incerti.

Dopo lo scioglimento del parlamento a giugno da parte della Corte suprema costituzionale, il potere legislativo, di bilancio, sulla sicurezza e difesa e, infine, di veto sulla nuova Costituzione sono passati nelle mani del Csm, che è guidato dal generale Hussein Tantawi.

La nomina di un primo ministro con un profilo più basso degli altri candidati, unita all’incertezza politica, confermano la diffidenza degli osservatori internazionali. Tutti elementi che potrebbero allontanare il prestito di 3,2 mld di dollari del Fondo monetario internazionale, condizionato al raggiungimento di una minima stabilità interna.

Il tentativo del presidente Morsi di nominare un primo ministro che godesse di ampio consenso e fosse in grado di dar vita ad una coalizione di unità nazionale si è dunque infranto contro le secche del settarismo politico egiziano. La possibile elezione di tre vice presidenti esterni alla Fratellanza, che hanno funzioni prevalentemente simboliche, non sembra in grado di risolvere il problema.

L’evoluzione della transizione egiziana si prospetta quindi lenta e graduale. Una parte dell’opinione pubblica e degli osservatori individuano nella Turchia un possibile modello di riferimento per l’Egitto, grazie al delicato equilibrio raggiunto tra i militari e le istituzioni politiche.

Nuovo Egitto
Quel che lascia perplessi, tuttavia, è che dopo la rivoluzione dello scorso anno siano emerse ai vertici del paese due personalità che appaiono scarsamente carismatiche ed incisive. Morsi deve la sua vittoria alla potente macchina elettorale della Fratellanza e alla squalifica dalla corsa elettorale dell’esponente di spicco di Libertà e Giustizia, Khairat El-Shater. Qantil, dal canto suo, ha grandi competenze nel settore idrico, certamente utili per la questione delle acque del Nilo, ma troppo lontane dalle altre rilevanti sfide nazionali. È molto verosimile, in questo quadro, che i militari riescano a limitare ancora di più il già ridotto spazio d’azione del presidente.

Il programma di governo “Rinascimento” predisposto dalla Fratellanza musulmana che può essere considerato come base di partenza dal nuovo primo ministro prevede riforme in diversi settori nevralgici: rafforzamento delle istituzioni democratiche per garantire la trasparenza dell’azione di governo; rilancio economico guidato da una riforma del sistema bancario e dall’avvio di oltre cento progetti nazionali che dovrebbero offrire vantaggi alle piccole e medie imprese; maggiore coinvolgimento della società egiziana nei processi decisionali; riforma del sistema educativo su scala nazionale, affiancato dalla lotta alla disoccupazione e all’analfabetismo; possibile riforma dell’esercito e delle forze di polizia e rilancio del ruolo regionale dell’Egitto, insistendo sulla collaborazione arabo-islamica nella regione ma diversificando anche i rapporti internazionali.

Luci e ombre
La crisi economica morde il paese da troppo tempo, con un drastico calo del turismo e delle riserve in valuta estera, un crollo degli investimenti esteri, e un preoccupante aggravio del deficit fiscale. Prima ancora di raggiungere risultati concreti, la nuova amministrazione egiziana dovrà rilanciare l’immagine del paese, rassicurando gli investitori. La nomina di Qandil è stata tuttavia accolta con freddezza dalla borsa egiziana, segno della diffidenza dei mercati verso una figura poco nota.

La stabilità andrebbe raggiunta sciogliendo i tanti interrogativi che avvolgono la politica nazionale. Non vi sono certezze sulle prossime tappe della transizione, né sulla futura distribuzione di poteri tra le varie istituzioni. In questo quadro diventa molto importante la definizione del nuovo testo costituzionale. I rapporti di forza e l’equilibrio istituzionale, la natura parlamentare o presidenziale del sistema politico e, infine, il ruolo della sharia (legge islamica) sono i principali nodi all’orizzonte del nuovo Egitto.

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